Quando un figlio può fare a meno dei genitori?
Il cuore di ogni mamma ha una risposta chiara e semplice per questa domanda: MAI!!
Il rischio è che anche l'autore si comporti come un genitore disperato all'idea che il proprio figlioletto se ne vada di casa e che cerchi in ogni modo di rimandare il distacco.
In parte è per la sensazione di perdere il controllo sulla propria creatura, accettare che sia ormai diventata altro da noi, in grado di vivere di vita propria. In parte è pura è semplice paura del giudizio. Mandare nel mondo il nostro manoscritto, a un agente, a un editor, a un editore, anche solo a un lettore beta, vuol dire accettare che qualcuno emetta dei giudizi su di esso. Potrebbe dirci che non gli è piaciuto, che non è adatto alla pubblicazione o addirittura che abbiamo buttato via il nostro tempo.
Eppure è un passo che va fatto, prima o poi.
Ho visto in un documentario delle anitre fare il nido in cima a un'altissima rupe, dove nessun predatore può arrivare. Arriva il momento, però, in cui gli anatroccoli, che ancora non sanno volare, devono buttarsi di sotto, cercando di mirare al morbido tappeto di muschio che sta intorno a una polla d'acqua. Sbagliassero mira e arrivassero sulle rocce, per loro non ci sarebbe niente da fare. E sono così piccoli e così fragili che obbligarli al salto pare una follia. Tuttavia nel nido, pur così sicuro, non c'è cibo. Quindi, saltare o morire.
Quando siamo pronti al salto?
Impaginazione gradevole e di facile lettura
Sembra una sciocchezza, ma pare che arrivino a editor, agenti e editori manoscritti letteralmente illeggibili. Assicuriamoci quindi che la nostra impaginazione sia ordinata e di facile lettura.
Niente caratteri stravaganti, per segnalare pensieri o passaggi particolari basta il corsivo.
Nel caso volessimo giocare con i caratteri, magari per un libro per bambini in stile "Geronimo Stilton", meglio spiegarlo nella lettera di presentazione e fornire solo una pagina o un capitolo d'esempio.
Niente scritture lillipuziane. Carattere almeno corpo 12.
Interlinea almeno 1,5.
Testo giustificato.
I dialoghi si possono scrivere in svariati modi. C'è chi usa «», chi (come me) –, chi altre notazioni grafiche. Le regole specifiche variano a seconda dei casi. Basta scegliere una versione e attenervisi per tutto il testo.
I capitoli separati da una interruzione di pagina.
Le pagine numerate.
Il file convertito in un formato di facile lettura o un PDF. Se si provvede a un invio cartaceo, meglio una rilegatura semplice, ma funzionale.
Se la persona/la casa editrice a cui desiderate inviare il manoscritto ha delle regole specifiche è meglio attenervisi. A volte gli editori usano questo espediente come primo filtro del tipo "vediamo se almeno si è informato su di noi e su cosa vogliamo".
La caccia grossa al refuso è conclusa
Il refuso è l'incubo di noi tutti, sicuramente è il mio incubo.
I refusi peggiori sono quelli frutto di una revisione. In una frase decido di cambiare il soggetto (di solito a ogni revisione le mie frasi si accorciano), magari da singolare diventa plurale. Controllo bene, ma una parola nella frase rimane al singolare. Non è un errore ortografico che il correttore mi possa segnalare, leggendo velocemente il testo fila ugualmente e quindi il refuso rimane lì, magari per una, due, tre revisioni. Vuol dire che ne servono quattro, l'ultima delle quali mirata proprio a queste minuzie.
Bisogna inoltre rassegnarsi al fatto che QUALCHE refuso rimarrà. Inevitabilmente. Ma dovrà essere QUALCHE. Ovvero il numero minore possibile.
Nessuno si sognerebbe mai di bocciare un testo perché in 500 pagine ci sono tre concordanze sbagliate. Se però ci sono tre concordanze sbagliate in 5 righe è probabile che la lettura venga abbandonata a pagina 3.
Abbiamo ascoltato e valutato tutte le osservazioni degli eventuali lettori beta
Chi abitualmente si avvale dell'aiuto di amici lettori sa che ogni giudizio amatoriale su un testo è filtrato dal proprio gusto personale. Tuttavia archiviare le osservazioni come dettate esclusivamente dal gusto è quanto meno sciocco. Se un lettore ci segnala una dissonanza, al 90% dei casi un problema c'è, anche se il lettore non è riuscito a individuarlo con precisione.
"Quei tot capitoli mi sono sembrati un po' noiosi", ad esempio, è un bel campanello d'allarme. Può essere che il nostro lettore sia un fanatico dell'azione e che quei capitoli corrispondano alla storia d'amore tra i protagonisti, che lui giudica un'inutile melensaggine. È anche vero che, forse, abbiamo concentrato la storia d'amore tutta in pochi capitoli, causando una repentina interruzione delle altre linee narrative.
Anche alla millesima lettura, la storia ci emoziona ancora
A volte arriva un momento in cui l'autore non ne può più del proprio testo. Non ha più voglia di rovinarsi gli occhi alla ricerca dei refusi, di angosciarsi per quella svolta di trama che ancora non si sa se funzioni oppure no.
Eppure, nonostante tutto, quando rilegge il proprio testo si emoziona. È passato del tempo da quando l'ha pensato, da quando l'ha scritto, da quando per la prima volta ne ha avuto in mano la versione definitiva. Eppure ancora si emoziona.
Ci sono, purtroppo, fiori che appassiscono in fretta, passioni che si affievoliscono e fuochi che si spengono. Capita anche nella scrittura. Ci si rende conto che, forse, quella storia che ci appariva fantastica non lo è poi così tanto. Il mio computer è pieno di appunti e abbozzi di storie così, che non sono arrivate non solo a vedere la luce, ma neppure a compimento.
Se invece, a distanza di tempo, ancora la nostra storia ci entusiasma, allora vuol dire che ha diritto a provare a vivere al di fuori di noi e del nostro computer.
Accettare il fatto che la nostra storia non sia ancora perfetta
E che parta così, verso l'ignoto, con questa sua intrinseca imperfezione.
Può darsi che incontri un animo sensibile, che ne apprezzi il valore e ci aiuti a migliorarla.
Può darsi che ci vengano segnalati gli errori che contiene e che il suo scopo, nella nostra vita, non sia altro che un utile esercizio per l'opera successiva.
Bisogna accettare che quasi nessun testo è stato pubblicato così come l'autore l'ha concepito la prima volta. Ci sono casi illustrissimi di capolavori su cui gli editor (o i loro antenati) hanno a lungo lavorato di lima, prima di renderli le opere che oggi conosciamo. Ho scoperto da poco, ad esempio, che La certosa di Parma è stato sfoltito dall'editore di quasi 300 pagine. La storia dell'editing dei racconti di Carver, invece, è nota ai più.
Quasi certamente la nostra opera contiene imperfezioni che ci verranno fatte notare.
Se siamo fortunati, da questa consapevolezza nascerà una nuova, migliore versione del nostro scritto.
Esiste poi la possibilità che la nostra opera non venga considerata valida. In questo caso possiamo prendercela con il Grande Complotto, con gli Alieni e i Grandi Antichi, ma può essere, semplicemente, che non sia abbastanza matura.
Se noi stessi non siamo abbastanza maturi per affrontare questa eventualità, allora di sicuro la nostra opera non è ancora pronta. Meglio tenerla nel nostro cassetto, convinti di cullare un capolavoro, piuttosto che dare in escandescenze per un giudizio negativo.
Tenar e il suo manoscritto
Io sono qui, in ansia come ogni autore in procinto di gettare nel mondo la propria opera. Devo revisionare gli ultimi capitoli. Capire se un'ulteriore rilettura sia necessaria. E poi osare. Cercare una strada per la mia storia.
Mi sento come se avessi passato gli ultimi mesi a distillare una sola, splendida goccia d'acqua. Salvo poi rendermi conto di vivere circondata dai fiumi, dai laghi, dai mari. E la mia è solo una (splendida) goccia d'acqua che deve unirsi al grande flusso. Come posso sperare che riluca in mezzo a tutta quell'abbondanza di luci? Nelle mie mani, dov'è sola, mi appare bellissima, ma là fuori...
Non ho alternative. Devo farle affrontare il mare aperto.
Voi cosa ne pensate? I vostri manoscritti sono pronti per l'invio?