giovedì 25 novembre 2021

Hidamari Ga Kikoeru – Un manga che racconta la disabilità – Letture

 


Quante storie con protagonisti adolescenti vi vengono in mente in cui uno di protagonisti è affetto da una patologia gravissima?
Quante invece in cui uno dei protagonisti ha una disabilità permanente? Scommetto che sono meno.
In quante di queste la disabilità non è così grave da impedire lo svolgimento di una vita "normale" ma è comunque una caratteristica che segna inevitabilmente il carattere e le scelte del personaggio in questione?
Il numero si riduce ancora.
E in quante di queste storie ci si prende del tempo per spiegare in dettaglio cosa significa vivere con una tale disabilità e quali sono gli accorgimenti pratici per rendere la quotidianità più semplice?
Ora siamo a pochissime.

Ringrazio enormemente la mia spacciatrice di letture Manuela per avermene fatto conoscere una, anche se ho pianto da metà del primo volume fino alla fine.

Hidamari Ga Kikoeru – Fumino Yuki

Taichi è uno studente lavoratore al primo anno di università con le idee ancora poco chiare sul proprio futuro. Si imbatte per caso in Kohei che, come sempre accade in queste storie, è il suo opposto. Ricco, bello, focalizzato sui suoi studi di legge, apparentemente snob. Quello che Taichi scopre con sconcerto è che la freddezza di Kohei è dovuta a una causa precisa: da qualche anno l'udito del ragazzo è diminuito. Taichi diventa quindi il suo prendi appunti, cioè la persona che segue insieme a lui la lezione per aiutarlo a non perdere troppi pezzi e entra così a contatto con il mondo della disabilità uditiva. Inizierà ad accorgersi che Kohei non è l'unico studente con questa problematica, che ci sono tanti tipi di ipoacusia e sordità. Taichi finirà per trovare la propria vocazione professionale e l'amore.

Prima di proseguire nella recensione è bene avvisare che la tematica qui a casa Tenar non è esattamente neutra. Quando ho preso in mano in primo volume sapevo che o l'avrei gettato con spregio dalla finestra o sarei andata avanti a leggere a oltranza, singhiozzando in modo indecoroso.

Un approccio rispettoso alla disabilità
La prima cosa che colpisce è il modo assai poco romanzesco con cui la disabilità viene raccontata. Kohei non è "il bel ragazzo maledetto dalla propria malattia" come spesso capita in questo genere di storie. È un giovane studente brillante che sa badare a se stesso. Ha degli obiettivi professionali precisi che si impegna a raggiungere con puntigliosa precisione. Non è decisamente il tipo di personaggio malato che deve essere salvato. Quello che è stato bullizzato a scuola è Taichi, cresciuto dal nonno, non certo Kohei, che ha una mamma ricca e famosa. Questo, tuttavia, non vuol dire che sia felice. Innanzi tutto la sua disabilità è recente, a seguito di un'infezione apparentemente banale (cosa che può succedere, purtroppo). La sua è principalmente la storia di un adattamento dalla normalità a una disabilità subdola, che non si vede, si ha la tentazione di nascondere e minimizzare. Kohei impara a leggere le labbra, a convivere con gli apparecchi acustici e i loro mille difetti. E tuttavia, nel costante tentativo di minimizzare e nascondere, finisce per chiudersi sempre più in se stesso. Non chiedere di ripetere, non imporre agli altri le proprie esigenze (come evitare i luoghi affollati con molto rimbombo e scarsa visibilità) lo porta a isolarsi sempre più dai suo coetanei che diventano "gli altri" da cui è diviso da una tenda invisibile, ma per lui ben reale. Inoltre la condizione di Kohei non è stabile. Appena si abitua il suo udito peggiora. Perde un altro tassello di normalità, deve adattarsi a un nuovo apparecchio, a nuovi inconvenienti. I suoi compagni di prima sono diventanti "gli altri", ma i sordi che comunicano con il linguaggio dei segni sono "loro", un gruppo a cui non sente di appartenere, con regole e abitudini che non gli vengono naturali. Kohei si sente in una sorta di terra di nessuno. Troppo sordo per condurre la vita di prima, troppo poco per entrare senza rimpianti nel mondo di chi non ha mai udito alcun suono. Ogni cosa gli costa uno sforzo aggiuntivo, leggere le labbra, come imparare il linguaggio dei segni. Il senso di fatica e di straniamento perenne di Kohei è reso benissimo.

Uno sguardo su un mondo multiforme
In quanto prendiappunti ufficiale di un ragazzo ipoudente, Taichi inizia ben presto a conoscere gli altri studenti audiolesi della propria università e finisce per voler lavorare in un'azienda che si occupa di linguaggio dei segni. Uno dei miglior pregi di questo manga è di dare conto di quanto variegato sia un'universo delle disabilità uditive, sconosciuta persino a chi di quell'universo fa parte.
Kohei è diventato ipoudente da adolescente, ha perciò una perfetta padronanza della parola, sente alcuni suoni e si aiuta con la lettura delle labbra, gli viene proposto l'impianto cocleare (per semplificare al massimo una sorta di orecchio artificiale). Maya, la studentessa a cui Kohei fa da tutor ci sente molto meno di lui. Ryu è sordo dalla nascita, comunica da sempre con il linguaggio dei segni, è perfettamente integrato nella comunità dei parlanti con la lingua dei segni e tratta con sufficienza chi invece vuole tornare a sentire.
Il mondo della sordità è molto variegato e negli ultimi anni si è frazionato ancora di più in due gruppi principali a volte in contrasto molto acceso. Da un lato c'è chi si affida ad apparecchi sempre più sofisticati, come appunto l'impianto cocleare che permettono nel migliore dei casi un recupero che trent'anni fa sarebbe stato definito miracoloso. Questi apparecchi, però, non funzionano per tutti, sono estremamente costosi (in Italia solo alcune regioni li forniscono grauitamente e quando intendo estremamente intendo decine di migliaia di euro), necessitano una costante manutenzione e accorgimenti particolari. Dall'altra c'è chi difende la lingua dei segni come una cultura autonoma e la sordità una condizione con cui si può vivere senza necessariamente medicalizzarla.
Io che mi trovo nella stessa posizione di Taichi faccio fatica a capire l'acredine di certi scontri, dato che mi sembra naturale che chi magari ha ascoltato o suonato musica voglia poter tornare a farlo, come è naturale che chi ha sempre parlato la lingua dei segni voglia che questo linguaggio sia conosciuto il più possibile. Proprio come Taichi non vedo incompatibilità tra le due cose, ma, senza prendere posizioni nette, il manga ci permette, attraverso i diversi personaggi, di empatizzare con tutti i punti di vista.

Uno sguardo sulla società
Questo non è un manga che racconti grandi drammi (l'allungare il brodo è il suo difetto maggiore), ma diciamo che la società nel suo insieme ne esce bene ma non benissimo.
Ci mostra un'università (presumo d'élite, dato che Kohei è ricco) piena di servizi che qui da noi non ho mai visto. Ci sono gruppi di volontariato specializzati nell'aiutare studenti con disabilità. La figura del prendiappunti è istituzionalizzata. Ci sono traduttori professionisti per il linguaggio dei segni. E tuttavia la scuola nel suo insieme è quanto di più ostile si possa immaginare alla disabilità. Perché è pensata per i "normali" e chiunque non rientri in questi parametri deve faticare dieci volte di più o soccombere.
Questo è tanto più vero in Italia. Ogni volta che uno studente da noi si rompe una gamba scatta il "protocollo panico". Sposta la classe al piano terra, chiedi al bidello che per favore porti la cartella al ragazzo, fai entrare il ragazzo prima o dopo gli altri perché ci sono comunque dei gradini e bisogna evitare che venga spintonato. Prega che guarisca presto. Abbiamo una scuola molto migliore della media. Abbiamo tante aule, scale antincendio non fatiscenti, ampi e comodi spazi esterni. Non siamo per nulla attrezzati per uno studente in carrozzina. Le aule sono un incubo acustico. Non mi è mai capitato un alunno non vedente e non voglio neppure pensare a come potrei organizzarmi. Gli insegnanti di sostegno sono formati sopratutto a buona volontà e distribuiti con criteri imperscrutabili. Nessuno dei nostri studenti ipoudenti ne ha mai avuto uno, mentre il prendiappunti, come anche questa storia dimostra, è fondamentale. Alla domanda la risposta qualificata è stata "ma lui capisce". La disabilità intellettiva è devoluta alla fortuna e alla buona volontà, quella fisica, salvo casi gravissimi, è più o meno ignorata, l'idea è che se uno capisce se la deve cavare. La fatica di riuscire ad adattarsi a un mondo che non fa nulla per aiutarli è tutta devoluta al singolo. Quando questa fatica è fatta notare, c'è subito chi pensa (e lo dice) che quello "se la tira", "vuole farsi notare", "sta cercando scuse". Tutti questi aspetti sono raccontati benissimo nel manga, ma valgono pari pari anche per l'Italia.
Se non altro il nostro paese è un pochino, almeno per la mia esperienza, un pochino più aperto e inclusivo, almeno a livello umano. Kohei all'inizio del manga non ha nessun amico, da ragazzo popolare che era si è trovato del tutto solo. Nel mio mondo reale tutte le persone con una disabilità fisica che conosco a vario titolo hanno un giro di amici solido. Taichi viene considerato da tutti speciale per il suo modo empatico di relazionarsi e per la sua scelta professionale, in Italia, almeno per la mia esperienza, i Taichi sono abbastanza diffusi. È anche vero, però, che uscire dal proprio giro ristretto di frequentazioni è difficile, perché la società non è inclusiva e le infrastrutture lo sono meno e perché comunque il rischio è quello di essere considerati solo per la propria disabilità. E la disabilità è ancora una cosa brutta. Poco presentabile. L'amico disabile ti fa sembrare tanto sensibile finché è una cosa limitata nel tempo, però, insomma, portarselo sempre in giro... Nel manga viene detto espressamente che va bene tutto, ma non ci si sposa "con uno di quelli", che poi certo "loro si trovano meglio tra loro". Qui in casa Tenar ci si scherza su queste cose, i disabili che sono come i panda, da tutelare, ma nel loro recinto. Ci si scherza, ma preferiremmo non doverlo fare.

Ci sarebbe anche la storia d'amore
L'autrice nella postfazione al primo volume racconta in modo scherzoso di come, entusiasta per la proposta di pubblicazione ricevuta, non si fosse accorta che la casa editrice fosse specializzata in storie "boy love" e che quindi sti due ragazzi bisognava ben farli innamorare.
Ora il "boy love" in Giappone è un genere estremamente codificato che presenta storie d'amore tra ragazzi non realistiche che si sviluppano come commedie romantiche leggere e sono destinate a un pubblico femminile. Non frequentando il genere non ne so molto e non saprei dire perché alle ragazze giapponesi piacciano storie d'amore tra maschietti in un contesto fittizio che considera (la società giapponese in realtà non lo fa) queste storie del tutto normali.
Ora il tentativo di aderire al genere è il più grosso difetto di questo manga. Non perché un innamoramento tra i due non ci stia, anzi, ma perché la necessità di mantenere il tutto sul tono "commedia degli equivoci leggera" limita moltissimo il potenziale della storia.
Le premesse infatti erano ottime e i protagonisti ben caratterizzati. Kohei, al netto dei suoi problemi, è un ragazzo molto serio e focalizzato sui propri obiettivi, si conosce e sa cosa vuole dalla vita. Taichi, al contrario, è apparentemente aperto, fa amicizia con tutti, ma è stato abbandonato dai genitori, è stato cresciuto da un nonno burbero e chiuso e non ha mai avuto una vera relazione. Gli vengono attacchi di panico ogni volta che viene abbracciato.
Mi immagino già le chiamate tra l'editore e l'autrice: "senta non è che possiamo passare in secondo piano questa cosa? C'è già quella cosa là che appesantisce e noi vogliamo una storia comunque leggera, non un drammone...". Questo, insieme alla propensione giapponese a ignorare il disagio psicologico, ha reso un pessimo favore alla trama. In una storia che ci dice che non bisogna minimizzare i problemi né vergognarsi a chiedere aiuto, una cosa così forte viene derubricata a "ti lascio il tuo tempo, aspettiamo che passi". Il risultato è fastidioso ai limiti della sgradevolezza, perché sembra che la vicenda viaggi su due binari diversi, uno iper realistico e uno favolistico dove problemi gravi si risolvono per puro miracolo. A questo si unisce anche il fatto che il manga ha avuto successo. Così ai primi due volumi praticamente perfetti se ne sono aggiunti altri tre, che potevano tranquillamente stare in uno solo.

Insomma, questa è una storia i cui primi due volumi mi sono piaciuti enormemente e che consiglio senza se e senza ma, anche a chi non prenderebbe mai in mano un manga, specie se "boy love". I seguenti tre si leggono comunque con piacere, ma si possono anche evitare.
Di certo è tra le migliori storie con e per adolescenti che racconti la disabilità.

Per chi invece volesse, qui c'è il quinto capitolo della mia storia steampunk


giovedì 11 novembre 2021

Un anno fa


 Un anno fa, più o meno di questi tempi, uscivo dalla quarantena e ritrovavo mio marito e mia figlia.
Il Piemonte entrava in zona rossa, non avrei rivisto amici e parenti ancora per un bel po', con mia figlia che ogni tanto diceva: "mamma, ma una volta avevo delle altre cuginette?". Stava per iniziare lo strano balletto che ci avrebbe tenuto compagnia per tutto il periodo natalizio: si può uscire al massimo in due, il bimbo non conta, non più di una visita al giorno, in un raggio massimo di 30 km, se il tuo comune fa meno di 5000 abitanti. Nelle scuole iniziava la DaD a singhiozzo, l'attesa snervante del tampone per ogni ragazzino raffreddato per sapere se saremmo finiti tutti in quarantena. Era in modo inequivocabile l'inizio di un inverno snervante, eppure io ero folgorata dalla bellezza di quello che mi circondava.

Per quindici giorni ero stata chiusa nella casa dei miei genitori con mio padre malato, mentre mia madre era ricoverata. Su mia mamma non avevamo ancora notizie precise (in effetti poi è stata in ospedale a singhiozzo fino a giugno), ma mio padre almeno sembrava fuori dal momento peggiore. Io, per motivi che non mi sono del tutti chiari, non mi sono ammalata. Mentre ero in quarantena alcuni miei colleghi con cui inevitabilmente ero stata in contatto hanno sviluppato sintomi Covid, ma io che mi prendo ogni raffreddore passi nel raggio di 10 km da me da questa bestiacce si sono (finora) tenute alla larga.

Non credo che questa esperienza mi abbia reso migliore in senso generale, i miei difetti ci sono ancora tutti, belli radicati e in salute. Però mi ha cambiato. La bellezza ci ciò che mi circonda continua a stupirmi. Nonostante siano ormai quasi due anni che i nostri spostamenti sono limitati a poche (graditissime) trasferte continuo a trovare splendida la zona in cui abito. Ogni volta che riesco ad andare a correre, sopratutto quando lo faccio al lago, subito dopo aver finito di far lezione mi lascio abbagliare dai colori. Il privilegio di potermi muovere a piacimento in mezzo alla natura mi appare evidente in tutta la sua grandezza. Fino a che avrò i miei boschi e il mio lago così vicini sarò ricca. Alcune cose hanno smesso di essere fonte di stress. Non sono sparite, ma è sparito l'effetto che hanno su di me. Sia chiaro, lo stress e l'ansia sono parte di me, a livello a volte quasi patologico. Ma ad esempio sono diventata molto più zen per quanto riguarda il lavoro. Non credo di lavorare meglio o peggio di prima, di più o di meno, ma non controllo più ossessivamente le scadenze, non riguardo diecimila volte se preparato tutti materiali per le lezioni, non mi angoscio più per consegnare la verifica sempre la lezione successiva rispetto a quella in cui l'ho svolta. Per altro consegno comunque le verifiche corrette la lezione successiva rispetto a quella in cui i ragazzi l'hanno svolta, ma lo faccio senza angoscia, riuscendo nel mentre anche a leggere più di prima. Anche con la scrittura ho un atteggiamento simile. Ho ripreso a scrivere dandomi degli obiettivi, ma il loro mancato raggiungimento non mi causerà stress aggiuntivo. Le cose importanti sono comunque altre. Mi gratifica di più una passeggiata nei boschi dietro casa con i miei cari di una nuova pubblicazione.

Quello che invece mi preoccupa è il nuovo crescere dei contagi. Mi sono adagiata in fretta in questa parvenza di normalità. Ho scoperto un piacere nel rivedere parenti da cui ero stata a lungo separata che forse non avevo mai provato con tanta consapevolezza. Il tedio delle lezioni in classe mi appaga, il richiamare i ragazzi all'attenzione è mille volte meglio del silenzio innaturale delle videolezioni. Le due mattine a settimana in cui riesco a fare colazione al bar sono le più belle e le riunioni con gli storici gruppi di giochi di ruolo qualcosa che solo fatti gravi mi possono far saltare. L'idea di perdere di nuovo tutto questo mi terrorizza. L'idea che spunti una nuova variante che mi faccia tornare a vivere con l'angoscia di portare il virus ai miei cari mi paralizza.
Non ha senso che sia io a parlare di quale sia l'unica via per sfuggire a tutto ciò. Mio marito lavora in assicurazione di qualità in azienda chimico-farmaceutica. Non solo è pagato da Big Pharma, ma "se non ce lo dicono, chissà cosa c'è dentro" la colpa è del suo ufficio (e i suoi superiori sono quelli che eventualmente vanno in galera). Io sono pagata dallo stato, quindi dai Poteri Forti. Quindi, nonostante la mia anima anarchica, metterei il vaccino obbligatorio seduta stante e poche storie. Il fatto è che con una bestiaccia così nuova non si può sapere quanto effettivamente durerà la copertura vaccinale, né si può escludere l'insorgere di nuove varianti. Quindi non sono più in ansia per le verifiche non corrette che si accumulano, ma ogni volta che accendo un notiziario mi si stringe lo stomaco.

Per il momento cerco di godermi in qui e l'ora e il privilegio di una mattina con i ragazzi nella più bella delle aule



Per chi invece volesse leggere la mia saga steampunk, è disponibile il quarto capitolo de L'Assedio degli angeli.