domenica 29 novembre 2020

All'origine della violenza contro le donne – una questione (anche) di linguaggio


 Alla fine di novembre partecipo spesso a iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne e spesso scrivo qualcosa in merito.
Quest'anno avevo deciso di non farlo. In parte perché mi sembra che alla fine si rigirino sempre gli stessi discorsi, in parte perché poi la giornata dedicata finisce per diventare una delle tante "giornate della" in cui si deve fare qualcosa (sopratutto a scuola o a livello istituzionale), bisogna far vedere che lo si è fatto e poi si va avanti come niente. Tuttavia tra la cronaca mi ha servito talmente tante polemiche, talmente tante cose da farmi venire l'ulcera, che alla fine vale la pena di ribadire qualche concetto.

domenica 22 novembre 2020

Di DDI, DAD, Didattica capovolta, incrociata e spesso arrangiata


 La DaD dello scorso anno scolastico l'ho odiata con tutte le mie forze.
Sia chiaro, ero consapevole che fosse necessaria, ero consapevole che andasse portata avanti in un certo modo e alcuni risultati li abbiamo anche ottenuti. Però l'ho odiata. Ho odiato dover improvvisare da un momento all'altro qualcosa di cui non mi sentivo pronta. Ho odiato perdere di colpo il contatto umano che caratterizza il mio lavoro per trovarmi a fare esattamente ciò che per tutta la vita avevo rifuggito, un lavoro che mi portasse a stare giornate intere a fissare un monitor.

Quest'anno, almeno a settembre mi sono illusa.
Illusa che ce l'avremmo fatta in presenza.
Ho visto cose che una prof pensava impossibile. Non solo carta igienica in abbondanza in ogni bagno (in realtà non non ne abbiamo mai avuto carenza), ma disinfettante ovunque, carta ovunque, un livello di pulizia tale che sui pavimenti si sarebbe potuto mangiare. Addirittura il report della pulizia delle maniglie. Aree ben delimitare per l'intervallo, percorsi di ingresso e di uscita differenti. Un grado di organizzazione tale da farmi davvero sperare.
Poi li ho visti arrivare, gli alunni. Stipati come sempre nei pulmini, tutti mescolati. E ho capito che no, la mia era stata, appunto, un'illusione.
Infine nella mia zona è saltato del tutto il tracciamento. Qualche settimana fa si è arrivati all'assurdo che un esito di un tampone poteva arrivare anche due settimane dopo la richiesta, quando l'ipotetica quarantena per i contatti era bella che finita. Intorno a me ho perso il conto della gente ammalata e tutti i nostri bei disinfettanti scolastici nulla hanno potuto.

domenica 15 novembre 2020

Lamento di Portnoy – Piovono Libri (e chiacchiere varie)

 

Le nuove restrizioni, la zona rossa mette in luce le nostre idiosincrasie e le nostre debolezze. Ognuno di noi ha una sua frazione di libertà a cui non intende rinunciare. La corsetta, il caffè al bar, la chiacchiera col collega, il giro al mercato, quel piccolo brandello di normalità su cui ci asserraglia o la cui rinuncia sembra per assurdo pesare di più di quelle grandi.
Tra tutti, quelli che mi fanno più tenerezza sono gli innamorati. Che si abbia 14 o 94 anni, stare lontani da chi si ama è difficile. Per quanto non sia disposta a prendere alla leggera le norme del distanziamento sociale non riesco a ritenere colpevoli gli adolescenti che si appostano sotto casa dell'amato/a, chi ruba un (pericolosissimo, sia chiaro) bacio clandestino, chi si inventa la qualsiasi per un saluto nei boschi. Ogni età in questo momento ha le sue rinunce, ma nel fondo del mio cuore ringrazio che tutto ciò non mi abbia colto nel mezzo dei miei (per altro pochi e burrascosi) amori adolescenziali.

Ognuno poi si attrezza come si può, cercando di imbastire una normalità precaria, senza allarmare troppo magari i bambini. Qui da dove scrivo ormai il covid ci assedia. Ho amici ammalati, altri con sintomi in attesa di tampone, l'ambulanza ha portato via qualcuno giusto quattro o cinque case più in là. Mio padre è ancora positivo e mia mamma è ancora in ospedale. La trincea si è fatta più che altro psicologica, perché per loro la solitudine pesa. Gli ospedali, poi, sono fortini blindati da cui è difficile carpire notizie.
La nostra alla fine è una famiglia come tante, in una situazione come tante e non certo delle peggiori. Per attrezzarci alla sopravvivenza in questo autunno/inverno che si prospetta lunghissimo, alla fine il gattino l'ho preso davvero. Giovedì, con la sua autocertificazione in regola (del resto raggiungeva il suo domicilio definitivo) è arrivato Oberon. Obi si è installato in casa con la timidezza di un monarca. È uscito dal trasportino e si è diretto subito alla ciotola. Ha ispezionato casa, ha abbattuto tutte le mie piante (!) e si è installato sulla parte più alta del divano. Conscio della propria superiorità e consapevole che tutti noi siamo qui solo per servirlo, ha accettato di buon grado di giocare con il cucciolo d'uomo, di farsi accarezzare dagli umani e anche di accettare i servigi del persiano. In effetti la convivenza tra le palle di pelo sta funzionando molto meglio del previsto e le due creature insieme sono molto più buffe di quanto non siano prese singolarmente.



In questa normale anormalità prosegue anche il nostro gruppo di lettura, ormai in formato videoconferenza.
Lamento di Portnoy
Lamento di Portnoy è il lungo monologo che un ebreo americano prepara per lo psicanalista che dovrà incontrare. Vi spiega le sue origini, il rapporto con i genitori e sopratutto quello con il sesso e con le donne.
Ecco. Su questo il gruppo di lettura si è nettamente diviso e secondo me non è stata neppure una questione di gusto, di etica o di sensibilità, ma di mero funzionamento dell'immaginario.
Io sono molto visiva nella mia immaginazione, ho vivide immagini mentali, so usare (anche se di fatto usarle è troppa fatica) alcune tecniche mnemoniche basate sulla visualizzazione, considerati i miei occhiali vedo meglio i parti della mia mente che la realtà. Purtroppo non ho un controllo totale sul come il mio cervello visualizza ciò che leggo. Il capitolo 2 di questo libro è dedicato all'autoerotismo del protagonista. Che il mio cervello mi ha mostrato come un giovane Woody Allen (con però i capelli neri), nudo e intento a cercare di darsi piacere in ogni modo possibile. Ecco era come se questo arrapato adolescente non propriamente piacente si fosse installato davanti a me. Non ce l'ho fatta. Io lo capivo perfettamente che c'era ben altro e di ben più interessante nel romanzo. Ma niente, la mia visualizzazione mi impediva di concentrarmi su qualcosa di diverso dall'ansito del Portnoy brufoloso che il mio inconscio mi proponeva. Non ce l'ho fatta. E di solito non sono una che si scandalizza. Il problema qui era proprio estetico e visivo. Capirete che ciascuno è libero di darsi piacere con del fegato crudo, se crede, ma a casa propria, non nella mia! 
Non sono mai arrivata al capitolo tre. Per fortuna altri lettori lo hanno fatto per me e mi hanno riferito di ciò che comunque si intuiva già sotto la fregola dei primi due capitoli. Lamento di Portnoy è la lunga odissea interiore di un uomo che non trova se stesso. Si oppone ai propri genitori come potrebbe farlo un bambino, rinnegando la propria religione e allo stesso tempo continuando a guardare il mondo filtrato da essa. Chi ha letto ha rilevato come questo sia così tipico di molte persone di religione ebraica. Da un lato vivono la religione e il retaggio culturale, con tutto quello che ne consegue, come un peso da cui vorrebbero svincolarsi. Dall'altro vi rimangono ancorati senza riuscire a pensare a se stessi se non come a degli ebrei. In tutto questo, ovviamente, il sesso non è che una metafora, il desiderio di Portnoy di possedere sempre e soltanto donne non ebree a cui tuttavia non riesce a legarsi altro non è che una lotta contro se stesso e la propria identità. Ho trovato il dibattito molto interessante e stimolante. Tuttavia sono sicura che non arriverò mai al capito tre. Posso superare molte cose, ma l'inciampare nel Portnoy quindicenne che sparge ovunque il proprio seme è troppo.

Pre chi invece lo desidera Racconto di Fiorile – Epilogo (se volete, fatemi sapere cosa ne pensate)

lunedì 9 novembre 2020

Siamo ancora qui


 Siamo ancora qui, tutti quanti, il che è il meglio che possa chiedere dopo le ultime due settimane.
Quello che è capitato l'ho già raccontato su Fb, anche per dare informazioni a parenti e amici lontani.
I miei genitori si sono sentiti male, sono andata da loro, mia mamma faticava a respirare. Ho chiamato l'ambulanza e non ci voleva chissà quale intuizione per capire che era covid. Mia madre è stata ricoverata, mio padre aveva parametri di saturazione migliori ed è rimasto a casa. Io non sono più tornata a casa, non me la sentivo di mettere in pericolo marito, figlia e suoceri né di lasciare mio padre solo.