mercoledì 30 marzo 2016

Il caso spotlight – Visioni


A Pasqua, dopo pranzo, mi sono seduta sul divano e di colpo è stato come se un treno mi avesse investito. Fino a quel momento non avevo realizzato quanto fossi stanca. Una stanchezza fisica dovuta semplicemente a taaaaante cose da fare tutte insieme, ma anche mentale.
All'inizio della settimana scorsa è arrivata la risposta che attendevo da tempo e venerdì ho formalizzato la decisione che ne è conseguita. Da un lato è stata una liberazione, perché c'è una parte del mio carattere che non sopporta lo stallo e l'inazione, dall'altra, come conseguenza diretta, una valanga di oneri burocratici mi è caduta addosso. Questa mattina ho subito iniziato la mia battaglia contro i mulini a vento, cercando di spiegare alla segreteria della mia scuola che se un documento va spedito dall'altra parte de mondo no, l'autocertificazione non basta. Ed è solo il primo di una lista lunghissima...
Domenica arrivano i francesi per lo scambio, il 28, salvo probabili spostamenti, c'è lo scritto per il concorso. Insomma, aprile si presenta come un mese a salto ostacoli e mi rendo conto di dover rinunciare a qualcosa. Spesso, sopratutto per studiare, ho bisogno di essere concentrata e quindi disconnessa da tutto e da tutti, internet compreso. Quindi nelle prossime settimane sarò presente a singhiozzo sul web.
Inizio a scusarmene con tutti. Se posso, continuerò a postare e a leggere i blog amici, ma sarò meno presente nei commenti e su fb.

Tra un libro da studiare, un documento da compilare e un pranzo da preparare, nei giorni di Pasqua sono comunque riuscita ad andare al cinema e dato che ho ancora 20 minuti prima dell'inizio del corso di aggiornamento, dovrei anche riuscire a recensire il film!

IL CASO SPOTLIGHT – VISIONI
Ci sono film in cui l'aspetto tecnico è preponderante, in cui si fa caso alla regia, alla musica, alle scelte di fotografie. E ci sono film girati in modo che dell'aspetto tecnico ci si possa dimenticare, film che devono immergere tanto profondamente lo spettatore nella storia che stanno raccontando da fargli dimenticare anche che stanno guardando un film. Il caso Spotlight è uno di questi film.
Questo non vuol dire che sia girato male, tutt'altro. Anzi, leviamo subito ogni dubbio. A livello tecnico Il caso Spotlight è impeccabile. È uno di quei film in cui, sui titoli di coda pensi che sì, l'autore della colonna sonora lo conosci, sì, questo e quell'altro sono davvero nomi importanti, ma hanno lavorato perché il lo spettatore si potesse dimenticare di loro.
Non si può parlare di un film del genere senza affrontarne la tematica perché la tematica è il film.

La pellicola ricostruisce l'indagine giornalistica che tra 2001 e 2002 ha denunciato gli abusi commessi nella città di Boston ad opera di una novantina di preti e il sistema che faceva sì che tali abusi passassero sotto silenzio.
L'impatto di quello che viene raccontato, anche se non c'è una singola immagine shoccante, è comunque molto forte. Forse lo è ancora di più per gli spettatori italiani. Credo che per noi (per me sicuramente lo è stato) sia particolarmente facile entrare in sintonia con i protagonisti. I giornalisti di Spotlight (un gruppetto di giornalisti d'inchiesta del Boston Globe) finiscono sulla storia quasi per caso, per compiacere il nuovo direttore che, si dice, potrebbe tagliare diversi posti di lavoro. Sono tutti esponenti di famiglie cattoliche. Qualcuno è praticante, qualcuno, come me e immagino molti di voi, non più praticante, ma comunque cresciuto in ambiente cattolico. L'indagine, quindi, li tocca da vicino, come qualcosa di interno alla comunità in cui sono cresciuti. Il senso di smarrimento e di tradimento nei confronti di un'istituzione che bene o male ha sempre fatto parte delle loro vite è tangibile e, penso, condivisibile dallo spettatore italiano.
Come ho già scritto, il film non ha proprio nulla di scabroso o sensazionalistico. Non fa che seguire i giornalisti in interviste, ricerche d'archivio e audizioni in tribunale. Si procede passo a passo tra interviste e documenti. La fede e l'aspetto religioso del cattolicesimo non solo non è mai messo in discussione, ma non è neanche oggetto d'indagine. Se non fosse basato su una storia vera e se non toccasse corde scoperte della nostra sensibilità sarebbe un solido giallo d'inchiesta. Eppure se ne esce con un profondo senso di malessere e condividendo con i protagonisti, se non delle risposte, almeno degli interrogativi.

Non so se sia un film "necessario", l'inchiesta di Spotlight ha avuto vasta risonanza anche qui e in generale non serve certo questo film per venire a conoscenza dell'esistenza di casi di pedofilia all'interno del clero. Questa pellicola, però, ha il pregio della chiarezza, di una sceneggiatura che riesce a spiegare senza annoiare e che pone l'accento sull'aspetto sistemico della cosa.
Al di là dell'argomento specifico, quello che ne ho ricavato è che la teoria della "mela marcia" sia spesso consolatoria. Ammettere l'esistenza di una o più "mele marce" non spaventa, permette di salvare un sistema senza ripensarlo. È più facile e allontana la responsabilità personale. La verità, temo, è che quando le "mele marce" sono più di una è una questione di sistema. E le questioni di sistema non si possono risolvere allontanando quelli che sembrano gli elementi compromessi. 

Il caso Spotlight è un film impegnativo, da cui si esce con un senso di malessere e delle domande. Proprio per questo è, a suo modo, un gran film. Non di quelli destinati a cambiare la storia del cinema, certo, ma di quelli che comunque non si dimenticano facilmente. Non diventerà un classico, non sarà una di quelle pellicole che si rivedono volentieri, ma di quelle che, viste una volta, non si dimenticano. Il fatto che abbia vinto l'oscar come miglior film è sicuramente anomalo, probabilmente una risposta alle polemiche intorno al disimpegno dell'industria cinematografica statunitense. A mio avviso, comunque, una buona risposta. 
A volte i film non devono stupire con dei virtuosismi tecnici. Quando riescono a far sorgere dubbi e domande è già una gran cosa.

giovedì 24 marzo 2016

Quei personaggi che prenderemmo a sberle


Sto facendo una gran fatica a leggere il libro del mese del gruppo di lettura. In parte è una situazione congiunturale. Alla sera boccheggio sul divano e nella migliore delle ipotesi fatico a seguire anche film che ho già visto mille volte. C'è anche da dire, però, che anche se questa volta si tratta di una raccolta di racconti (di cui riparlerò più diffusamente più avanti), prenderei sistematicamente a schiaffi il protagonista di ognuna delle storie.

Sarà capitato anche a voi, suppongo. Libri gradevolissimi, magari anche dei capolavori indiscussi della letteratura, ma con dei personaggi che vi stanno umanamente antipatici, gente che nella vita vera predereste a male parole se non proprio a ceffoni.

In attesa di sapere quali sono i personaggi che voi prendereste a ceffoni, questi sono i miei, divisi in due categorie di "merito"

CLASSICI

Il cast quasi completo de I PROMESSI SPOSI
Non me ne voglia Manzoni, di cui apprezzo infinitamente lo stile, la fine ironia, l'acutezza nel descrivere le costanti del nostro paese, ma tra i personaggi non salvo quasi nessuno. 
LUCIA: smettila di piangerti addosso, una buona volta! Ragazza mia, basta farti portar via, rapire, salvare, nascondere quasi come un pacco postale. E poi 'sta cosa del voto per cui rinunci al matrimonio. Dillo chiaro, se non vuoi più sposare Renzo e assumiti una buona volta le tue responsabilità!
DON ABBONDIO: caro eterno adolescente tipicamente italiano che vuoi assumerti talmente poche responsabilità che ti fai prete per non dover fare la fatica di scegliere una moglie, neppure la peste ti vuole, chiediti perché.
MONACA DI MONZA: ma come hai potuto pensare di mantenere segreta la tua relazione e di seppellire le suore uccise in giardino? Ma che hai nella testa, ragazza mia, segatura? Non basta rispondere, sventurata, bisogna proporre! Dai monasteri si scappa e gli amanti servono a quello.
INNOMINATO: convertito dal pianto di una ragazzetta isterica, davvero? E tu saresti il boss? Che imbarazzo!
RENZO: lavorare di più, cacciarsi meno nei guai.
In effetti, a ben vedere, finisco per salvare solo il Conte Attilio, che almeno è un cinico sincero e i due capponi.

Emma Bovary – Madame Bovary
Emma Bovary la prenderei a ceffoni per una giornata intera. 
Ti hanno costretto a sposarlo questo medico di campagna? No! Non ti ha costretto nessuno, lo hai scelto tu! Non va bene. Sarai mica la prima moglie infelice di Francia, dobbiamo proprio farne una tragedia? Lui è ragionevole, ti inventi un problema di salute e si fa una separazione di fatto. Invece no, la figlia, gli amanti e alla fine il veleno!
Ho scarsa pazienza in generale con tutti i suicidi della letteratura (sì, Jacopo Ortiz, sentiti chiamato in causa), ma Emma Bovary mi fa meno pena di tutti perché non ha perso niente, semplicemente non ha mai saputo cosa voleva e non ha mai lottato per ottenere qualcosa. E il fatto che il mondo sia pieno di gente così non me la fa apparire più simpatica.

Enea – Eneide
Pietas un corno!
Prima ti perdi la moglie nell'incendio di Troia, manco fosse un animale domestico e poi questa storiaccia con Didone. Tu sei un profugo giunto col barcone, lei ti accoglie, ti sfama, si innamora di te, si espone alla maldicenza della sua stessa gente. Tu sai che devi ripartire ma mica glielo dici, durante il temporale, nella caverna, anzi. Sei l'emblema dell'uomo vigliacco, altro che. Poi gli dei ti promettono fama e ricchezza e tu parti. Nel lasciarla hai anche il coraggio di dire "non ti avevo mai promesso niente"?
Ringrazia che hai trovato Didone e non me.

ROMANZI YA
Ho di fatto quasi smesso di leggere romanzi YA, anche se dovrei quanto meno tenermi aggiornata, visto il mestiere che faccio, per l'altissimo grado di irritazione che erano in grado di darmi i personaggi di questi romanzi. Non tutti, sia chiaro, ma in pochi anni siamo passati da un Harry Potter, insopportabile solo a tratti, a personaggi che prenderei a schiaffi dalla prima all'ultima riga.

Clary, Jace e compagnia – Saga di Shadowhunters
Ho soprannominato la saga "una triste storia di abbandono scolastico" perché i protagonisti hanno circa 16 anni e si dividono in due categorie: giovani cacciatori di demoni a tutti gli effetti che non studiano più, ragazzini che entrano in contatto con i cacciatori di demoni e di fatto finiscono per non andare più a scuola.
La cosa potrebbe anche funzionare se non fossero, questi, CACCIATORI DI DEMONI!!! Ogni tre o quattro capitoli si imbattono in iscrizioni in latino, vecchi libri, antiche leggende, lingue morte e loro cascano ogni volta dal pero! Devono immancabilmente ricorrere a degli adulti che spieghino loro le cose più elementari, le basi della mitologia o che traducano per loro. La cosa peggiore è che in sei libri non si rendono mai conto delle loro mancanze, finendo per ripetere ciclicamente gli stessi errori. 
A scuola, piccoli cuccioli di cacciatori di demoni! A scuola a calci nel sedere!

Bella – Twilight e seguiti vari
Cioè, spiegami, ragazza mia.
Vuoi avere diciassette anni per sempre e rimanere legata a un ragazzo che non ha mai combinato niente in quasi un secolo di non vita? No, il problema non è che è un vampiro, è che alla sua età dipende ancora economicamente e moralmente da papà. Come pensate di vivere per i prossimi secoli, senza un titolo di studio (errata corrige, con un sacco di diplomi) e un lavoro, va bene che non dovete né mangiare né scaldarvi, ma io vi conosco, a voi vampiri, la bella vita vi piace.
Una persona lanciata verso l'immortalità dovrebbe quanto meno iniziare a pensare al proprio futuro, o mi sbaglio?

Questi sono i personaggi che, più di tutti, prenderei a schiaffi.
I vostri quali sono?

Non so quanto caotici saranno i prossimi giorni, quindi inizio fin da ora a augurare a tutti
BUONA PASQUA

martedì 22 marzo 2016

Come avannotti



Come si fa a parlare di scrittura oggi? Mentre le bombe esplodono, minando le nostre già scarse sicurezze, la scrittura sembra il più futile dei passatempi.
Eppure, tantissimo tempo fa, quand'ero al liceo, avevo un libro di poesie latine a cui era annesso un breve copione teatrale. Vi era un passaggio di battute che mi porto dietro da allora. Lo ricordo vagamente, a braccio e chissà dov'è finito quel libro, in quale soffitta di quale delle tre case che ho abitato da allora è finto...
Vi erano due personaggi, letterati di un tempo in cui il letterato poteva essere allo stesso tempo guerriero, politico o altro. Un giardino autunnale, uno dei due prossimo alla morte.
– Perché rimaniamo qui, a raccontarci storie?
– Perché possiamo fare solo questo: farci coraggio a vicenda.

A questo serve, tra le altre cose, la narrativa, a farci coraggio a vicenda. A creare un argine tra noi e le nostre paure, a farci sentire un po' meno soli. Disperati, forse, ma di una disperazione comune.

Quindi oggi, mentre le notizie sugli attentati si susseguono faccio l'unica cosa che posso fare. Racconto una storia. Il fatto che sia vera, ha, suppongo, un'importanza relativa.


C'era una volta un lago. Uno specchio d'acqua limpido e splendido come ce ne sono tanti. Aveva la limpidezza del vetro e la stessa fragilità.
In un tempo in cui "inquinamento" era una parola che quasi non era ancora stata inventata, gli uomini del lago accolsero le industrie quasi in festa. Perché non avrebbero più rischiato la vita nelle cave di granito, lavorando "da stella a stella", poetico modo per indicare da prima dell'alba a dopo il tramonto. E se qualche scarico finiva nel lago, ebbene, sembrava un giusto prezzo da pagare.
Così il lago in breve tempo non fu più limpido e splendido come ce ne sono tanti. Divenne limpido e splendido a modo suo, il lago acidificato più grande del mondo.
Il motivo per cui oggi vi racconto questa storia non è tanto, però, per il fatto che il lago fu inquinato e svuotato fino alla più piccola forma di vita.
Il motivo per cui oggi vi racconto questa storia è che la gente del lago decise a un certo punto di prendersene cura. 
Il paziente era clinicamente morto, niente più alghe, né pesci, né crostacei nel lago, le sue acque erano acide più o meno come l'aceto ed erano ormai decenni che la situazione era questa. Più che una bonifica si trattava di una resurrezione.
Fu sparsa nel lago una sostanza (carbonato di calcio) in grado di riportare l'acidità a un grado accettabile. Per mesi una barca dal nome d'angelo sparse speranza sulle acque.
Questo accadeva vent'anni fa. Quando il lago fu bonificato. Ma morto era e morto rimaneva.
Pian piano, una specie alla volta, l'uomo ha riportato la vita nel lago, una specie alla volta.
Sono tornate le alghe e i pesci di riva. 
Quest'estate i sub hanno trovato le vongole di lago.
E oggi, con l'aiuto dei ragazzi della scuola, sono stati liberati i pesci d'acqua libera, gli abitanti del centro e delle profondità del lago.


Minuscole creaturine, appena visibili dentro un bicchier d'acqua.

Oggi, ignari di quanto stava accadendo in Belgio, colleghi e alunni, con attenzione, adagiavano nell'acqua pesciolini appena nati, lunghi appena più di un'unghia.
Da lontano, un cane ci faceva la guardia, quasi a controllare che usassimo la giusta attenzione.


Molti di loro sono destinati a una vita assai breve. Saranno la gioia dei pesci più grandi e degli uccelli di lago. Su dieci che ne abbiamo liberati, forse nove moriranno. 
Ma il decimo diventerà un pesce grande e forte, in grado di esplorare gli oltre cento metri di profondità del lago.

E adesso che, tornata a casa, e ho sentito cosa stava accadendo mentre noi liberavamo gli avannotti, non posso che ripensare a quei piccoli pesci.

Perché le cose basta un attimo a guastarle. La distruzione, di qualsiasi tipo e di qualsiasi genere, è sempre repentina. Dopo, spesso, sembra che nulla si possa fare, se non accettare le regole di chi l'ha imposta.
E ci vuole tempo e impegno e perseveranza per ripartire.
Quando la barca dal nome d'angelo solcava le acqua del lago, molti scuotevano la testa, perplessi. Pochi avrebbero scommesso di poter avere, vent'anni dopo, un lago balneabile e quasi guarito.
E la ricostruzione, di un ambiente o di un animo, è fatta di tanti piccoli tentativi. Fragili, quasi effimeri. Per nove decimi destinati a fallire. Eppure tutti necessari.

Oggi dovete prendermi così, un po' retorica. Eppure sì, un po' ci credo. Non c'è altro modo per ripartire, per ricostruire, per non arrendersi, che tentare, tentare ancora. Anche solo con un pensiero o una storia, a non lasciarsi abbattere dalla paura di chi vuole solo distruggere. Ogni tentativo è come uno dei nostri avannotti. Destinato, nel 90% dei casi a fallire.
Di loro, adesso, a metà pomeriggio, la metà sarà già morta.
Ma quelli che sopravviveranno saranno sufficiente.

Questa storia, da sola, non serve a niente. Se non a farci coraggio a vicenda.
Ma io che credo nell'Europa, nell'occidente dell'illuminismo e della tolleranza non ho intenzione di arrendermi alla paura. E non importa se il 90% dei tentativi per non lasciarsi sopraffare da tutto questo andrà a vuoto.
Quello che resta sarà sufficiente.


sabato 19 marzo 2016

Scrittura e stato di flusso


Questa foto è stata scattata nel mio giardino, mercoledì, a mezzogiorno, a zero gradi, sotto la neve.
Oggi di gradi ce ne sono 22.
Credo che questo basti a dare l'idea di una settimana un pochettino impegnativa. In cui sono successe tante cose, alcune belle, alcune terrorizzanti, altre solo impegnative.
A scuola lo scambio con i francesi si avvicina a grandi passi, con tutti i preparativi pratici che incombono, con, quindi, riunioni, chiarimenti da dare e da ricevere. 
La risposta che tanto attendevo in ambito non scrittoreo  è arrivata e conferma una costante della mia vita. Tutto si può fare, ma mai in modo semplice. Il desiderio da realizzare è realizzabile, ma non comodamente. Mi attende una grande avventura, potenzialmente la più importante della mia vita. Dopo un attimo di spaesamento, l'entusiasmo sta tornando, ma ci sono anche tutta una serie di (fondate) paure. Quando avrò qualche dato in più probabilmente avrò tanto da raccontarvi in proposito.
Intanto è anche uscita la bella intervista su Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico che trovate qui.
È in libreria l'antologia di racconti gialli Nuovi delitti di lago, che contiene un mio racconto, di cui trovate la presentazione qui
A sopresa è arrivata anche una bella proposta relativa alla scrittura che si realizzerà a novembre. Evviva!
In tutto questo io che faccio? Studio per il concorso a cattedra...

Nel mare magnum delle cose più o meno utili, più o meno interessanti, mi sono imbattuta in un concetto di cui non conoscevo la teoria, ma che ha molto a che fare con la scrittura.

LO STATO DI FLUSSO
Vi è mai capitato, compiendo un'attività altamente stimolante, di perdere completamente il senso del tempo e del vostro stato fisico, trovandovi poi, ore dopo, un po' perplessi di fronte all'orologio, magari con qualche parte del corpo dolente perché utilizzata troppo o tenuta ferma in posizione innaturale?
A me, devo dire, capita con una certa frequenza, sopratutto quando scrivo. L'ultima volta settimana scorsa (questa è stata troppo incasinata per qualsiasi cosa). Avevo miracolosamente il pomeriggio libero e, avendo un racconto da completare, ho deciso di lavorarci un'oretta per poi mettermi a studiare. Erano le 16 e secondo il mio programma alle 17 avrei dovuto iniziare a studiare. Del resto, mi sono detta, presto mi verrà sete e/o dovrò andare in bagno, appena mi alzo vado nell'altra stanza e mi metto a studiare. A mio onore va detto che di solito questo genere di impegni con me stessa li rispetto. Ebbene, quando infine la vescica ha reclamato con forza la mia attenzione erano le 19. Il racconto era finito e io non avevo la più pallida idea di che ore fossero. Non avevo mai controllato il cellulare, non avevo mai aperto fb o il blog, neppure avevo guardato l'orologio. Semplicemente, avevo scritto.
Ero entrata in uno stato di flusso.

Secondo uno psicologo dal nome impronunciabile, Csikszentmihàlyi, che per primo lo ha studiato negli anni '50, lo stato di flusso è uno stato di coscienza in cui si è talmente immersi in un'attività da perdere letteralmente coscienza di sé.
Lo studioso dal nome impronunciabile (se al concorso mi chiedono di scriverlo mi sparo) inizia a interessarsene osservando gli artisti che lavorano per ore su qualcosa che per loro è una sfida dimenticandosi anche di bere o di mangiare. 
Quando una persona è in stato di flusso è completamente focalizzata su ciò che sta facendo e, di solito, ottiene in quei momenti le sue performance migliori in campo creativo o sportivo.

La cosa davvero interessante di questi studi non è tanto che lo stato di flusso esiste, ma che non è necessariamente un dono divino a cui solo determinate menti possono accedere, ma che ci sono delle condizioni che favoriscono l'ingresso in stato di flusso e ci si può allenare ad esso.

Lo stato di flusso è una sorta di momento di grazia sospeso tra la noia e lo stress. Vale a dire che non possiamo attivarlo per fare un'attività che ci risulta troppo facile (noia) né una troppo difficile (stress). Se quello che facciamo diventa rutinario, pensiamo ad altro e al diavolo la concentrazione totale. Se è troppo difficile pensiamo troppo al come farlo, siamo troppo concentrati sul non sbagliare, sulle azioni da compiere, per dimenticarci noi stessi.

Vi sono dei fattori precisi che ci fanno capire se in quell'attività noi potremo entrare in stato di flusso:
– dobbiamo sapere esattamente cosa vogliamo ottenere, avere cioè obiettivi chiari.
– dobbiamo avere uno sguardo d'insieme, cioè sapere esattamente quale parte del lavoro finale stiamo facendo.
– l'attività non deve essere, come si diceva, né troppo facile né troppo difficile.
– deve essere un'attività per noi piacevole o il completarla con successo deve comunque essere un premio sufficiente.
– le singole azioni pratiche ci devono venire ormai spontanee al punto da non dover pensare a come compierle.

Vi sono inoltre dei fattori personali anche molto variabili che favoriscono la concentrazione totale. Questi vanno dall'ora del giorno, dalla presenza o assenza di rumore di fondo, dalla presenza o assenza di azioni "rituali" che ci facilitano (che vanno dal masticare la cicca, al sorseggiare il the...).

Il risultato, quando avviene, sono, appunto, una concentrazione profonda, una distorsione del senso del tempo, una perdita parziale o totale di autocoscienza. Si ottengono in questo stato mentale di solito delle ottime performance e, soprattutto, la sensazione di un pieno controllo sul proprio progetto e una profonda consapevolezza dell'effetto delle proprie azioni.

Va da sé che le nostre pagine migliori, probabilmente, le scriveremo in stato di flusso. 
Come scrivere in stato di flusso?
Tutto quello che ho scritto fino a questo momento si basa su studi scientifici rigorosi. Da qui in poi c'è solo un misto tra quello che ho capito e quello che ho sperimentato personalmente.
– Dobbiamo avere un pieno controllo del mezzo tecnico con cui scriviamo (programma informatico, computer, ciò che usiamo di solito, ad esempio per me scrivere con una tastiera di dimensione diversa da quella abituale è uno strazio e addio stato di flusso).
– Possiamo aiutarci se conosciamo cosa facilita la nostra concentrazione (la giusta ora, presenza/assenza di rumore di fondo, piccoli rituali...)
– Dobbiamo avere un'idea chiara di cosa andremo a scrivere e di come si inserisce nel progetto più ampio (es: so esattamente che ruolo avrà questa scena nel mio romanzo).
– Deve essere una sfida non troppo difficile. Cioè, secondo me, applicato alla scrittura, entreremo più facilmente in stato di flusso se: usiamo un personaggio che già conosciamo bene, scriviamo un genere  i cui meccanismi ci sono già noti, la scena che stiamo per scrivere non è quella che ci spaventa di più. Quindi è difficile, secondo me, entrare in stato di flusso al primo capitolo di un nuovo progetto, la prima volta che si sperimenta un genere o una tecnica, ma poi la cosa diventa più facile.
– Non deve essere un lavoro noioso o ripetitivo. Mai entrata in stato di flusso in revisione, ad esempio... O alla centesima riscrittura di quel maledetto passaggio che proprio non viene...

Dopo averlo studiato, ho pensato che spesso alcuni confondano lo stato di flusso con l'ispirazione. Solo che con ispirazione si intende qualcosa che non è per niente sotto il nostro controllo, mentre lo stato di flusso è uno stato mentale che tutti possiamo sperimentare e a cui ci possiamo allenare.

In effetti, anche se non conoscevo le basi teoriche e lo studioso dal nome impronunciabile, per anni, facendo atletica a livello agonistico, mi sono allenata a entrare e uscire dallo stato di flusso che ora mi è relativamente (badate bene) facile da attivare, sopratutto quando scrivo (ma anche quando studio o quando leggo). In effetti, sopratutto nello studio, che è un ambito più confrontabile, i benefici sono palesi: in stato di flusso si apprende di più in meno tempo. Io riesco a fare sessioni intense di non più di 45 minuti per volta e raramente nella mia vita ho studiato per più di tre ore al giorno, eppure mi sono diplomata, laureata, masterata e specializzata (adesso il concorso è un'altra cosa, perché passerà solo un terzo di noi e manca quella chiarezza di obiettivi che, come si è visto, è indispensabile).
Per la scrittura non so se vi siano degli studi specifici, ma credo che sia oggettivo che si scriva meglio in stato di flusso.

Voi cosa ne pensate?

mercoledì 16 marzo 2016

NUOVI DELITTI DI LAGO – Antologia di Morellini editore


Ambretta Sampietro è un'instancabile organizzatrice di eventi volti a valorizzare la narrativa gialla.
Anche quest'anno, dopo il successo dell'antologia 2015 Delitti di Lago, ha raccolto e curato venti racconti gialli, tutti di ambientazione lacustre, che vanno a formare i Nuovi delitti di Lago, l'antologia in uscita in questi giorni per Morellini Editore, un editore che è una garanzia per serietà e distribuzione.

Ecco la presentazione ufficiale:

Antologia di racconti gialli ambientati sui laghi Maggiore, d’Orta, Mergozzo, Ceresio e Ghirla di autori che hanno partecipato al premio Gialli sui Laghi 2015 e a Giallostresa. I luoghi sono reali e le storie rigorosamente di fantasia.
I laghi sono la scena del delitto di questa avvincente antologia.
Venti voci diverse, venti modi di raccontare il lago. Autori dei racconti sono: Erika Adale, Cristina Bellon, Emiliano Bezzon e Cristina Preti, Angela Borghi, Mercedes Bresso, Andrea Dallapina, Patrizia Fanchini Pasteris, Massimiliano Govoni, Alessandra Guzzonato, Aldo Lado, Giorgio Maimone, Alessandro Marchetti Guasparini, Antonella Mecenero, Jessica Moro, Cristina Origone, Alberto Pizzi, Sergio Roic, Massimo Tassistro, Gianluca Veltri, Elena Vesnaver.
Da Angera a Brissago, passando per Stresa, Santa Caterina del Sasso, Lesa, Laveno, Pallanza, Biganzolo, Luino e Maccagno un’ondata di sangue tinge di rosso le acque del Lago Maggiore. Non meno efferati sono i delitti perpetrati a Mergozzo, Pettenasco, Gozzano, Armeno, Ghirla e Porto Ceresio.
I diritti d’autore dalle vendite di questo libro saranno interamente devoluti al FAI (Fondo Ambiente Italiano).

Come potete leggere, tra i nomi degli autori c'è anche il mio!
La cosa mi fa davvero, davvero piacere, perché si tratta di un'antologia ben curata. Alcuni degli autori li conosco e li seguo da tempo ed è un onore avere un mio racconto accanto a i loro. Mi sembra bellissimo, poi, che i diritti siano devoluti al FAI. L'Italia è piena di luoghi splendidi di cui però bisogna avere cura. Il FAI questa cura che la mette da anni e ogni contributo è il benvenuto.

IL DIO A TRE TESTE – Il mio racconto
Un paesino tra il lago e il monte, una calda giornata estiva. Solo un milanese potrebbe sceglierla per iniziare i lavori della sua nuova casa di montagna! Nella terra smossa, però, appaiono dei resti umani.
Nell'irreale calma estiva, le forze su cui i carabinieri possono contare sono esigue, solo un'antropologa forense e un volontario, un prete. Insieme dovranno fare luce sul mistero che vede tre giovani seppelliti insieme, abbracciati. Poco lontano, nella chiesa del paese, vi è uno strano affresco eretico: una trinità rappresentata come un uomo a tre teste...
Da sempre, la strana trinità tricefala di Armeno, di cui vedete una foto, sorridente e inquietante insieme, mi affascina. Non vedevo l'ora di poterci scrivere qualcosa! Questa inoltre è l'occasione per conoscere, finalmente, una mia protagonista femminile, Alisea, di professione antropologa forense, che mi piacerebbe farvi incontrare ancora...
Il racconto è giunto secondo al concorso Giallo Laghi 2015

PRESENTAZIONI NUOVI DELITTI DI LAGO
Come dice Ambretta, la curatrice, un libro funziona se è presente sul territorio e viene promosso tramite incontri scelti e di qualità. Per vari motivi, non ultimo il maledetto concorso, io in questo periodo non riesco praticamente a muovermi di casa, quindi non riesco ad essere presente agli incontri. Per chi ne ha la possibilità, però, si tratta di appuntamenti da non perdere per conoscere meglio gli autori e i racconti dell'antologia.

16 MARZO ORE 18 – BUSTO ARSIZIO SPAZIO FESTIVAL BAFF PIAZZA SAN GIOVANNI

31 MARZO ORE 18  – BIBLIOTECA DI VARESE

8 APRILE ORE 18 – LIBRERIA ALBERTI VERBANIA

23 APRILE ORE 17 – BIBLIOTECA DI BAVENO

28 APRILE ORE 16 – FABBRICA DI CARTA, VERBANIA

30 APRILE ORE 17,30 – LIBRERIA MONDADORI DI ANGERA

4 MAGGIO ORE 18 – LIBRERIA ANNA FRANK DI VARESE

21 MAGGIO ORE 15,30 – BIBLIOTECA DI LESA

31 MAGGIO ORE 21 – CHIVASSO

9 GIUGNO ORE 21 – BIBLIOTECA DI PAULLO

lunedì 14 marzo 2016

Ave Cesare! – recensione


È da una vita che i fratelli Coen ci raccontano quanto sia difficile e straniante fare i conti con il caos che domina la vita, accettare il fatto che, forse, nulla abbia senso. A volte si sorride (Il grande Lebowski, Fratello dove sei?), a volte predomina il dramma (Non è un paese per vecchi), a volte  l'accettazione è lucida disperazione (A serious man), ma l'unica cosa a cui possiamo anelare sono attimi fuggenti di grazia di Dio, fugaci, irripetibili e ben poco sotto il nostro controllo (Il grinta).
Quindi è piuttosto sorprendente (anche se in effetti non dovrebbe esserlo) scoprire che una certezza i Coen ce l'hanno: il cinema!
Preti e rabbini possono discutere all'infinito sul senso della divinità, ma davanti a una solida sceneggiatura e a un attore ben scelto annuiscono in coro. 
La realtà è altra, certo, infatti porta dolore e bombe atomiche, il cinema è finzione, ma rende la vita, questo caos di disperazione, sopportabile.
Questo è il cuore del film, uno dei più bei, divertenti e a tratti commuoventi, elogi al cinema e alla narrazione in generale.

Eddie Mannix di lavoro risolve problemi per conto di una casa cinematografica. Ogni sorta di problemi. Una star si fa fotografare fregandosene dell'esclusiva data allo studio? Mannix interviene. Un'altra si trova incinta e non sposata? Mannix interviene. Un attore va sostituito all'ultimo minuto? Mannix interviene.
È un lavoraccio, il suo, senza orari, sporco, che richiede una certa elasticità mentale ed etica (anche se poi lui si rimprovera solo qualche sigaretta di troppo) e infatti c'è chi gli propone un'alternativa. Intanto, però, un'improbabile congiura di sceneggiatori comunisti ha rapito la star di un film in costume che va ritrovata ad ogni costo!

I fratelli Coen sono implacabili e dolcissimi con il mondo del cinema. Le star sono bimbi viziati da prendere a schiaffi, gli sceneggiatore dei vigliacchi fuori dalla società che discutono di lotta di classe in ville di lusso, i registi dei frivoli interessati solo ai loro intrallazzi, i giornalisti degli avvoltoi a caccia di scoop. Allo stesso tempo le star sono persone fragili da indirizzare, profondamente buone e per per questo manipolabili, gli sceneggiatori hanno una loro integrità di fondo, i registi un loro genio e persino i giornalisti una loro dolcezza.
Perché sì, la realtà è caotica e, spesso, crudele, ma poi basta una battuta giusta, un'inquadratura ben fatta e per un istante, uno soltanto, tutto sembra acquisire senso. Il cinema ha una Verità che alla realtà sfugge.

Il tutto è raccontato in un film divertentissimo, dove a ogni porta che si apre entriamo in un modo differente, preso dalle pellicole anni '40. Ogni minuscolo film nel film è un piccolo gioiello, girato con amore che, tuttavia, non è cieco, ma ne descrive gli eccessi con affetto. Quindi c'è il western irrealistico, il film acquatico con la star, che, appena smessa la coda da sirena, sembra una scaricatrice di porto o il bellissimo spezzone musical con qualche ambiguità sessuale. Ogni segmento è un pezzo di bravura, per scrittura, recitazione e coreografia (il pezzo musical è fantastico e, suppongo, di una difficoltà tecnica assurda).

Personalmente questo film mi è piaciuto un sacco, se devo dirla tutta, più di The Revenant e anche della pellicola di Tarantino e mi ha stupito che gli oscar lo abbiano del tutto ignorato.
Forse è questo periodo un po' così, in cui alcune risposte non arrivano e, per riflesso, non mi sento in grado di prendere decisioni mie, un periodo in cui sento più vicina quest'ansia da mancanza di senso di cui tanto hanno raccontato di Coen. Che ci sia qualcosa, una Verità che alla realtà sfugge almeno nella narrazione, quasi mi ha commosso. Mannix è un eroe, a modo suo, l'unico eroe a cui i Coen siano disposti a credere. Forse mi ha commosso che anche i Coen abbiano bisogno di un eroe.
Non so spiegarlo fino in fondo. Ave, Cesare è un film leggero e divertente, dura la metà di certe osannate opere, sembra avere lo spessore della carta velina. Eppure sono uscita dal cinema con l'impressione di aver visto un grandissimo film, non privo di una sua, tutt'altro che scontata, profondità.

AGGIORNAMENTO 15/3/2016
Vado di freddissima, oggi, ma vi segnalo il bell'approfondimento su Sherlock Holmes e il Mistero dell'uomo meccanico sul sito dell'amico Andrea Cabassi, qui

venerdì 11 marzo 2016

E tu che tipo sei?


È bello confrontarsi tra blog, ci si scambia spunti spesso inaspettati, portando la mente a camminare su sentieri che, spontaneamente, non avrebbe certo intrapreso in quel momento. Chiara Solerio è ospite di Salvatore Anfuso con un bel post sull'archetipo del femminile e del maschile applicato alla scrittura.
Come ho avuto modo di scrivere nei commenti, è una terminologia che non mi soddisfa appieno, perché viene troppo spontaneo associare il femminile come "naturalmente della donna" e il maschile "naturalmente dell'uomo", cosa che non rispecchia il mio pensiero.
Tuttavia che la nostra personalità possa essere descritta secondo coppie di opposti credo che sia comunemente accettato, quindi io mi ritrovo di più nella teoria dei tipi umani.
Premetto che mastico poco di psicologia, ma in effetti, quando mi è stato spiegato il concetto base, l'ho trovato sensato e, quanto meno, adatto a descrivere me. Inoltre mi è sembrata una buona base per riflettere sulle mie attitudini lavorative e, quindi, anche sull'aspetto scrittura. Ho scoperto tutto ciò attraverso un bel corso di aggiornamento sull'autoconsapevolezza, in cui un esperto ci ha portato a conoscerci un po' meglio. Gli scopi erano due, dato che si parlava di insegnamento: imparare a modulare i nostri stili di insegnamento in base alle nostre attitudini e imparare a capire che  tipologie diverse di persone (e quindi di alunni) si rapportano e imparano in modo diverso.

Quindi, secondo tale teoria, in ogni persona esistono quattro coppie di preferenze alternative. Per ogni coppia avremo un aspetto dominante e uno "in ombra", inoltre uno di questi aspetti sarà quello più forte in assoluto all'interno della personalità.

Ecco quello che io ho imparato su queste coppie e come un po' di consapevolezza mi abbia aiutato a capire di più la mia scrittura (potremmo parlare di qualsiasi cosa, ma qui la applichiamo alla scrittura).

INTROVERT/EXTROVERT
L'introverso tende a cercare la propria energia dentro di sé, ha bisogno di calma per rilassarsi.
L'estroverso invece cerca energia all'esterno, si ricarica facendo, mantenendosi in movimento.
Curiosamente questo non ha molto a che fare con la timidezza o il senso comune che diamo alla parola "estroverso". Io sono una timidona, che non ama le grosse compagnie eppure, quando con un esperto ho fatto il test, sono risultata un'estroversa. Parlando con l'esperto sono arrivata a capire cosa si intende: io non riposo la testa stando ferma, ma facendo qualcosa, andando a correre, passeggiando, cucinando. Trovo la mia energia facendo. Mio marito, al contrario è un introverso. Quando arriva a casa ha bisogno di una mezz'ora di stacco e di silenzio in cui magari non fa nulla. Io ho subito voglia di confrontarmi, lui no, torna socievole solo dopo questa pausa che gli è necessaria per risintonizzare le sue energie interiori.
Applicato alla scrittura: se sono in blocco devo fare altro. Potendo, andare a correre. Comunque, occupare la mente con un'attività, perché questo è il modo che ho per rientrare in contatto con la mia energie.

SENSOR/INTUITOR
Il tipo sensoriale è interessato a ciò che vede, tocca e sente. Coglie i particolari, ha senso pratico ed è portato all'analisi.
Il tipo intuitivo coglie il generale, cerca sensi globali e sviluppa collegamenti tra ambiti anche molto diversi. Ama progettare, rivolto al futuro, ma può non notare i particolari.
È risultato che non solo in questa coppia per me è dominante il lato intuitivo, ma che questo è il tratto principale della mia personalità. È vero. Ho grande curiosità intellettuale, mi appassiono alle grandi questioni, ma posso non notare i particolari. Lascio le luci accese, non noto le cose fuori posto, i cambi di pettinatura e d'abito delle persone. Sono pessima nelle questioni di estetica spiccia (accostare i colori, arredare una stanza), mentre se devo analizzare un'opera d'arte nella sua globalità o operare un confronto vado spedita. Posso cogliere al volo cose considerate complicate, ma non sapere cos'ho nel piatto davanti a me...
Applicato alla scrittura: ho bisogno di avere un quadro generale di una storia, prima di iniziare a lavorarla, definire i particolari, d'altro canto, è un processo lungo e faticoso, anche se divertente.

THINKER/FEELER
IL tipo thinker (riflessivo) è razionale, distaccato e analitico. Applica alle circostanze i principi generali. Può essere freddo nel suo modo di dividere il mondo in vero e falso.
Il tipo feeler (emotivo) è partecipe e coinvolto. Tende all'empatia e a mettere prima la singolarità dei principi. Può avere dei problemi con le critiche ed essere permaloso.
Questa coppia riguarda sopratutto il come ci poniamo nel giudicare gli altri.
Dal test, risulto piuttosto equilibrata in quest'ambito, in me predomina il feeler, ma di poco. Quindi nel giudicare le persone cerco sempre di considerare sia gli aspetti generali, il giusto e lo sbagliato in termini assoluti, sia gli aspetti personali che hanno portato quell'individuo a comportarsi in un dato modo. Nei miei momenti migliori questo mi porta ad essere comprensiva ed equilibrata, nei peggiori ad essere mortalmente indecisa. Mio marito, al contrario ha il thinker come tratto dominante della personalità. Io lo definisco "l'ultimo dei paladini" Per lui giusto e sbagliato sono imperativi assoluti, non tollera la minima ipocrisia e, come  ha ammesso lui stesso, non ha mai preparato neppure un bigliettino per una verifica o un esame! (Lui definisce me "la vigliaccona" perché tendo a vedere le ragioni di tutti).
Applicato alla scrittura: la leggera prevalenza alla parte emotiva fa sì che il focus delle mie storie siano sempre i personaggi. Tuttavia dato che il lato thinker è comunque presente l'introspezione non mi basta e metto quasi sempre nelle storie un forte interrogativo morale.

JUDGER/PERCIEVER
Il Judger è un pianificatore, ha bisogno di strutturare l'ambiente in cui vive. Questo gli rende facile prendere decisioni. Non ama gli imprevisti né le cose lasciate a metà.
Il perciever è un improvvisatore. È flessibile, spontaneo, ama esplorare, tuttavia può essere dispersivo.
Il mio testo commenta che persone che hanno questi tratti opposti e come prioritari nella personalità spesso entrano in contrasto. I judger giudicano i perciever poco affidabili e indecisi, i perciever giudicano i judger chiusi e rigidi.
Io risulto judger, ma come per la coppia thinker/feeler i due tratti sono quasi in equilibrio. Da buona Intuitor pura sono disordinata perché non vedo il disordine, ma ho un pensiero piuttosto organizzato. Se devo fare una cosa la faccio in tempi certi e pre definiti, sono tenace e brava ad organizzarmi, pur mantenendo una certa flessibilità di fondo. Mi irrita però enormemente il ritardo altrui e l'impegno non rispettato (alunni, siete avvisati), le persone possono far affidamento su di me, quindi voglio poter fare affidamento sugli altri!
Applicato alla scrittura: il giallo è un genere molto strutturato, perché la struttura mi dà sicurezza e mi permette di esplorare in limiti ben definiti. La poesia, al contrario, è qualcosa di inconcepibile per la mia mente (a livello di creatività).

RICAPITOLANDO.
Il mio tratto di personalità principale è quello Intuitor, sono inoltre estroversa, emotiva e pianificatrice, anche se questi ultimi due aspetti non sono estremizzati. 
Amo guardare la globalità delle cose, colgo relazioni inaspettate, ma sono del tutto cieca ai particolari, mi ricarico facendo, rimando in movimento, do importanza alla singolarità, alle condizioni personali del singolo e mi piace organizzare e pianificare il lavoro.
Ne consegue abbastanza facilmente che mi piace scrivere racconti e romanzi che abbiano dei vincoli, quindi il genere giallo mi è congeniale (e il genere in generale), tuttavia i personaggi e le loro emozioni saranno sempre la cosa più importante. Prima di iniziare a lavorare ho bisogno di avere un'idea globale del lavoro, percepirne il "gusto" principale e se mi blocco è meglio che faccia altro, incaponirsi sul problema non serve.
Al di là di questo, la cosa principale che ho portato a casa è che ognuno ha il proprio modo di vedere il mondo e di relazionarsi e che è giusto quanto il mio. Da brava judger mi irrito quando gli amici ritardano o quando un collega su cui facevo affidamento non ha portato il lavoro al momento giusto, ma ho capito che le priorità che noi diamo alle cose sono diverse. A me crea ansia l'idea di arrivare in ritardo a un perciever quella di avere un orario da rispettare. Allo stesso modo ognuno ha il suo modo di approcciare un lavoro e quindi anche la scrittura. Fare una scaletta può essere utile a me che sono judger, non a un perciever. Avere già il quadro generale è utile a me che sono intuitor non a chi è sopratutto un feeler e sente la necessità di "vedere che fanno i personaggi". 
E ancora si possono pensare personaggi diversi da noi giocando con queste quattro coppie di opposti.
Voi cosa ne pensate?
Che tipi siete?
Questo influenza la vostra scrittura?

Per saperne di più:
Che tipo sei? –Andrea Farioli. Disponibile in PDF qui

mercoledì 9 marzo 2016

Complotto!


  Da qualche parte in Italia, in uno oscuro sotterraneo, poco tempo fa...

– Mio signore, il portale è quasi aperto, presto i Grandi Antichi saranno tra noi.
– Benissimo, sono decenni che noi Adepti ci adoperiamo per questo obiettivo. Cosa resta ancora da fare?
– Serve altra energia blasfema. Per rompere le leggi dello spazio-tempo e portare il portale a piena apertura dubbiamo convogliare ancora più forza negativa!
– Ancora? Eppure il 99% della nostra burocrazia è studiato da appositi scienziati per generare energia blasfema negli utenti. È provato che le bestemmie delle persone calme sono la nostra fonte energetica principale, ma è impossibile causarne ancora di più...
– Ehm... Mio signore... Proviamo ancora con gli insegnanti?
– Con gli insegnanti? È pur vero che l'anno scorso, quando abbiamo obbligato un sacco di persone a spostarsi su e giù per l'Italia grazie alla fase B di assunzioni la messe è stata ottima, ma non vedo cos'altro si possa fare.
– Ci sarebbe il Nuovo Concorso a Cattedra... Iniziamo col il cambiare le nomenclature delle classi di insegnamento...
– Ottima idea! Ma non cambiamo i codici, usiamo quelli vecchi, ma rimescoliamoli completamente... 


Altrove, poco tempo dopo...

 "La classe d'insegnamento per cui desidera partecipare al concorso è Violoncello nei conservatori sperimentali"
– Ma come caspita è possibile se sono dieci anni che insegno matematica!!! Ma porc***! Ma ****!!!


Non sono riuscita a trattenermi, scusate. Ormai la follia del concorso mi ha risucchiato completamente, ho il cervello in pappa e ad alcune domande non riesco a dare risposte razionali.
Non ho ancora inviato l'iscrizione, ma credo di aver capito come evitare di selezionare violoncello o cose simili, per il momento è già una gran cosa.
Intanto, godiamoci i fiori.


lunedì 7 marzo 2016

Il rapporto uomo/donna che vorrei raccontare


Sabato qui c'è stata una nevicata violenta. Le due parole di solito non vanno a braccetto, alle nostre latitudini e all'altezza collinare del mio borgo, la neve si associa a un sonnolento e dolce cadere. Invece c'era i tuoni, saltava la corrente e nevicava. Neve pensate e aggressiva che ha buttato giù non poche piante. Difficile pensare che i bucaneve io li abbia fotografati giusto il giorno prima.
Oggi a lato delle strade i prati sono ancora bianchi e alcuni tratti, questa mattina, erano un suggestivo specchio, suggestivo, se non fosse stato scivoloso ghiaccio.
Eppure domani è l'otto marzo.
Le piante di mimose qua in zona sono state devastate dalla nevicata, ma, del resto, delle mimose, l'otto marzo, me ne è sempre importato poco.
Siamo nel paese in cui alle donne si fanno firmare dimissioni in bianco, nel caso si trovassero incinte, in cui, dopo una gravidanza è ben difficile rientrare nel mondo del lavoro, in cui la cura di figli e anziani è quasi sempre demandata loro, per non aprire tutto il capitolo violenze. Questi sono i temi di cui vorrei sentir parlare l'otto marzo, non certo di mimose (che pure mi piacciono, per carità).
Oggi però non ho voglia di scrivere di argomenti che mi intristiscono. 
Vorrei piuttosto ragionare sul tipo di rapporto uomo/donna che vorrei raccontare, nel senso più positivo del termine.

Nel post sulle Storie d'amore che non ti aspetti già si può leggere in filigrana qual è il tipo di rapporto uomo/donna che mi piace e che mi piace sia raccontato. 
Mi piacciono donne competenti che non si sentono obbligate ad abbandonare la propria professione per la famiglia, ma che, se lo fanno, lo fanno per scelta e non certo per questo rincretiniscono. Mi piacciono, quindi, uomini che le stimino anche per quello che sanno fare, per il loro valore intellettuale. Coppie in equilibrio paritario, dove ognuno fa affidamento sulle capacità dell'altro, dove può capitare che lui salvi lei, ma anche il contrario.

Ultimamente mi sembra che non vadano molto di moda, si preferiscono le ragazzette che si lasciano sottomettere dal bel miliardario di turno per arrivare all'agognato matrimonio, o belle in balia del loro amato vampiro. A volte ci sono donne forti, delle vere capopopolo, ma, proprio per questo, poi si scoprono fragili dal punto di vista sentimentali, riscoprendo la necessità di farsi proteggere dal loro lui. Non che ci sia nulla di male in questo, chi di noi donne non ha mai sognato il bel miliardario (ecco, magari senza derive sadomaso, almeno per me)? 
Però non è quello che io voglio raccontare.


Visto il mio attuale tempo libero posso parlare solo di storie sognate, non scritte, storie che mi piacerebbe raccontare, ma chissà se mai e quanto lo farò.
Però mi piacerebbe, in un futuro, raccontare una coppia. La immagino nell'ambito di un giallo, quindi due persone che abbiano entrambe a che fare con la giustizia, ma con competenze molto diverse (ad esempio, psicologo/profiling + detective e non è detto che il detective sia il lui). In linea generale di solito lavorano separati, stando spesso via e sono pertanto abituati a rispettare gli spazi l'uno dell'altro. Quando lavorano insieme si fidano l'uno del giudizio dell'altro, pur partendo, magari da basi teoriche molto diverse. 
Insomma una banale coppia equilibrata.
Mi sembra che non ce ne siano poi tantissime in giro e mi spiace, perché se è vero che scrivendo possiamo indagare ciò che non va e presentare quindi tutta una casistica variegata di coppie disfunzionali, forse sarebbe anche carino dare, ogni tanto, un esempio funzionale. Giusto per far vedere che è possibile.

Ho pensato per un bel po' che un rapporto del genere, narrato, sarebbe di rara noia e che quindi bisognerebbe mettere una dinamica conflittuale anche interna.
Eppure per puro caso mi sono trovata per le mani un esempio lampante di come invece può funzionare.
Nei gialli il tipico rapporto uomo/donna vede all'inizio un'opposizione, due opporti che si detestano, ma un po' si attraggono e poi scoprono di essere fatti l'uno per l'altra. Sopratutto i telefilm gialli sono pieni di coppie così. Ora, molte di queste coppie mi fanno simpatia e il tipo di rapporto permette un conflitto e un'evoluzione prevedibile, sì, ma di sicuro impatto. Di solito, per altro, queste serie perdono mordente quando i due finalmente dichiarano l'uno all'altro i propri sentimenti e diventano una coppia  anche nella vita (vedasi ad esempio Castle che perde spettatori via via che il rapporto tra i protagonisti si stabilizza).
Ultimamente mi sono imbattuta nella prima serie di X-File, che non avevo mai visto. È andata in onda che ero ancora alle medie, credo e solo qualche tempo dopo (dalla terza stagione, credo) è diventata un pilastro della mia adolescenza.
Scoprire adesso la prima serie è piuttosto spiazzante, un bel tuffo nel passato, personale e sociale, perché il 1993 sembra dietro l'angolo, poi lo guardi e ti accorgi è che è passata una vita.
Ma la cosa che mi ha colpito, tra le altre, è il rapporto iniziale tra i due protagonisti, l'agente appassionato di paranormale Mulder e la razionale Scully. Conoscendo le loro rispettive storie mi aspettavo uno schema conflittuale, con i due che finivano a lavorare assieme, non si sopportavano e poi pian piano iniziavano a stimarsi. Sono rimasta sorpresa, quindi, nello scoprire che non è così.
Già nel primo episodio Mulder, che è presentato come un paranoico (per altro) si fida istintivamente della nuova collega al punto da rivelargli i motivi che lo hanno portato a interessarsi al paranormale. Nel giro di due/ tre episodi sono istintivamente assai protettivi l'uno verso l'altro, Scully si prende cura della professionalità del collega, deriso per le sue teorie, Mulder si preoccupa della sicurezza di lei. È raccontato il piacere che provano nel lavorare insieme, dello stimolo intellettuale che uno rappresenta per l'altro, dovuto proprio alle diverse visioni del mondo. Entrambi, è chiaro, considerano l'altro arricchente. C'è poi tutta un'attrazione fisica raccontata attraverso piccoli gesti affettuosi, un cercarsi delle mani, un rassicurarsi con rapide carezze che trasuda tenerezza (al punto che non penso fosse intenzione degli sceneggiatori far passare poi così tante stagioni prima di far nascere tra i due una vera e propria relazione). La cosa in parte funziona perché si crea, col proseguo delle indagini, una dinamica "loro due soli contro il mondo", ma, di base, mi sembra funzionare anche senza questa minaccia esterna incombete. Funziona quasi meglio negli episodi "di passaggio", in cui sono presentate delle normali indagini speciali, senza super complotti in vista.
Ecco, alla fine, recuperando un vecchio telefilm per concedere un po' di pausa al mio cervello, ho scoperto che tipo di rapporto uomo/donna vorrei raccontare. Paritario, affettuoso, in cui le differenze (anche profonde) sono arricchenti. Secondo me potrebbe funzionare persino senza alieni!

Cose ne pensate?

venerdì 4 marzo 2016

Se una schiava io non ho – parodia teatrale dell'Iliade

Nel mio mondo di precariato solo un anno mi è stata data in sorte una prima media. Nel tentativo di far imparar loro gli snodi principali della vicenda avevo partorito questa cosa che oggi mi è tornata in mano.
Che mi perdonino Andromaca e gli dei tutti. 

SE UNA SCHIAVA IO NON HO
Farsa teatrale ai confini dell’Iliade

SCENA I: Accampamento Acheo davanti alle mura di Troia

Criseide: Io sono la schiava di Agamennone, re Acheo che ha condotto i greci a combattere contro Troia. Da dieci anni se ne stanno sotto le mura della città, senza riuscire a conquistarla. Oggi, però, c’è un cambiamento. Per intercessione del dio Apollo, Agamennone ha dovuto rendermi la libertà e sono potuta tornare da mio padre. Agamennone, però, non è molto contento…

Agamennone (camminando nervoso nell’accampamento):
- No, no, no,
io senza schiava non ci sto!
No, no, no,
io senza schiava non ci sto!
No, no, no!
Sono un sovrano,
alla sera mi stravacco sul divano.
Adesso, che dovrei fare?
Ramazzare?
Pulire? Strofinare?
No, no, no!
Io senza schiava non ci sto!
(Agamennono arriva fino alla tenda di Achille. Briseide sta pulendo il terreno davanti all’entrata)
I miei soldati hanno la schiava e io no!
Io non ci sto!
Se mi han preso la Criseide
Io mi arraffo la Briseide
(Agamennone afferra un braccio di Briseide e inizia a trascinarla via)

Achille esce correndo dalla tenda e blocca Agamennone che sta portando via Briseide

 Achille:
- E perché?
La schiava porti via proprio a me?
Agamennone:
-Io sono il re!
Achille.
- Lo sono anch’io!
Agamennone:
Io di più!
La schiava non hai più!

Agamennone esce con Briseide, Achille rimane solo davanti alla tenda

Achille:
- Oh no, no, no!
Io senza schiava non ci sto!
No, no, no!
Chi mi pulisce l’armatura?
Chi mi chiude la cintura?
No, no, no!
Senza schiava non ci sto!
Dovrei rammendare i miei calzini
E lavar tutti i piattini?
Oh no, no, no!
Se la schiava io non ho
A combattere non vo’!
A combattere non vo’!
Achille, imbronciato, depone le armi e siede a gambe incrociate davanti alla tenda.

SCENA II: Accampamento Acheo. Achille siede imbronciato davanti alla sua tenda. Passano davanti a lui alcuni soldati zoppicanti di ritorno dalla battaglia. Patroclo gli si avvicina.

Patroclo:
- Le stiam prendendo,
le stiam buscando
Ce le stanno proprio dando!
Achille:
- Non me ne frega,
non me ne importa,
se non ho la schiava sulla porta.
Patroclo:
- Ci stan ferendo,
azzoppando,
mutilando!
Achille:
- Non me ne frega,
non me ne importa,
se non ho la schiava sulla porta.
Patroclo:
- Ci sta finendo,
sconfiggendo,
distruggendo!
Achille:
-Non me ne frega,
non me ne importa,
se non ho la schiava sulla porta.
Patroclo:
- Achille ascolta,
solo di te hanno timore
tu a tutti metti un gran tremore.
Se io li attacco si fanno grandi sghignazzate
E poi ridendo mi prendono a mazzate.
Solo di te hanno timore
Della tua forza e il fiero ardore.
Achille:
- Non me ne frega,
non me ne importa,
se non ho la schiava sulla porta.
Patroclo:
- Ma davvero non vuoi pugnare?
Achille:
- Né con pugno né con armi guerreggiare.
Patroclo (prendendo la spada di Achille)
- E la tua spada così lucente…
Achille
- Non sferrerà neanche un fendente
Patroclo si lega alla cintura la spada di Achille.
Patroclo (prendendo l’elmo di Achille):
- E il tuo elmo, così elegante…
Achille:
- neppure se arrivasse un gigante
Patroclo si mette l’elmo.
Patroclo (prendendo lo scudo di Achille):
- E il tuo scudo, così grande e scuro…
Achille:
- Io non lo uso di sicuro!
Patroclo prende lo scudo di Achille
Patroclo (allontanandosi):
- E’ un sogno, una meraviglia,
avere addosso quest’armatura che scintilla!
Se Achille sta lì a frignare,
io me la voglio proprio spassare.
Oggi l’eroe son io!
Patroclo, vestito con le armi di Achille, si allontana. I soldati greci zoppicanti lo guardano ammirati.
Soldati greci:
-Guardate,
Achille si è tutto armato,
siamo salvi, è ritornato!
Achille si è tutto armato,
siamo salvi, è ritornato!

SCENA III: battaglia sotto le mura di Troia, Ettore, circondato da nemici, cerca con lo sguardo Achille
Ettore:
- Io sono Ettore
Ho cinquanta fratelli,
tutti forti, tutti belli.
Ho cinquanta sorelle,
tutte brave, tutte belle.
Presto a lottare ho imparato,
per esser rispettato.
D’Ilio  sono il protettore
Pronto a combattere tutte le ore.
Papà mia ha chiesto per la cena
D’Achille la testa, cucinata con l’avena.
A papà voglio ubbidire.
Per mia man Achille dovrà morire.
(Ettore si guarda intorno con sguardo feroce)
(Puntando la spada contro un soldato greco)sei tu Achille?
Ulisse:
-Io sono Ulisse,
astuto e triste.
Ettore (Puntando la spada verso un altro)
- Sei tu Achille?
Aiace:
- Per carità, io sono Aiace,
guerrier forte e assai tenace.
Ettore (girandosi ancora verso un altro)
- Sei tu Achille?
Menelao:
- Ahimè io sono Menelao,
A cui Elena ha fatto “Maramao”
Ettore:
- Sei tu Achille?
Enea (scocciato)
- Io sono Enea, tuo cugino.
Tu ci vedi un po’ pochino.
Ettore (girandosi, frustrato)
- Sei tu Achille?
Patroclo:
- No! Si! Non so!
Sono Achille oppure no?
Il mio braccio è un po’ magrino,
il mio coraggio un po’ meschino.
Non so.
Sono Achille oppure no?
Con un’armatura così bella 
Mi sento anch’io una stella!
Bo’. Non so. 
Sono Achille oppure no?
Con quest’elmo spaventoso
Divento anch’io glorioso.
Non so.
Sono Achille oppure no?
Ettore:
- Deciditi!
Patroclo:
- Non so.
Sono Achille oppure no?
Ettore:
- Se sei così confuso
Nel dubbio
Io ti affetto il muso!
Ettore fa un affondo e Patroclo cade a terra morto. I soldati greci accorrono sconvolti.
Ettore:
- L’ho ucciso, l’ho ucciso.
Adesso lo cucino con il riso!
Lo metto a rosolare, lo preparo con la glassa.
Questa sera grande festa, con le torte e l’uva passa.
Ulisse si avvicina  al corpo di Patroclo e gli toglie l’elmo.
Ulisse:
- Achille qui non c’è.
E’ Patroclo davanti a me.
Ettore (venendo a controllare):
- E adesso a papà,
la cena chi gliela fa?


SCENA IV: Accampamento Acheo sotto le mura di Troia. Alcuni soldati greci arrivano davanti alla tenda di Achille e depositano il corpo di Patroclo davanti ad Achille.

Achille:
- Non c’è giustizia qua.
La schiava se n’è andata
L’armatura mi han rubata.
Non c’è giustizia qua.
Voglio tornare da mammà.
Patroclo l’elmo mi ha ammaccato
La spada mi ha stortato
Lo scudo tutto scheggiato.
Non c’è giustizia qua.
Voglio tornare da mammà.
Briseide non torna più
Patroclo nell’Ade è andato giù.
Io che ci faccio qua?
Voglio tornare da mammà.

Teti (materializzandosi di fianco ad Achille)
- Non piangere piccino,
è arrivata mamma dal suo agnellino.
Non piangere piccino,
racconta quello che non va,
mamma lo sistemerà
mamma lo sistemerà.

Achille:
- Briseide non torna più
Patroclo nell’Ade è andato giù.
E senza armi non so che fare
Non posso neanche guerreggiare
Non posso neanche guerreggiare.

Teti:
- Mamma ti fa un bel regalo,
forza prendimi per mano,
ora andiamo da Vulcano.
Un’armatura ti farà,
più bella non ce ne sarà.
La schiava ti farà scordare,
Patroclo dimenticare,
allegro riprendi a guerreggiare.
Teti e Achille si allontano da campo mano nella mano.
Achille:
- Allegro riprendo a guerreggiare!
Teti:
- Allegro riprendi a guerreggiare!

SCENA V
Sulle mura di Troia. Andromaca e Ettore guardano l’esercito greco che si avvicina.

Andromaca:
- Ettore mio, non  andare,
qui ti vogliono ammazzare.
Che ne sarà di me? 
Sarò schiava di un re.
Ettore mio, non  andare,
qui ti vogliono ammazzare.
Il figlio tuo che farà,
se gli muore il suo papà?
Ettore mio, non  andare,
qui ti vogliono ammazzare.
Ettore:
- Andromaca, non prendertela a male,
ma hai un viso da maiale.
E poi mi fai la lagna
Tutta quanta la settimana.
Se il mio destino di soldato
È di essere ammazzato,
sempre meglio che star con te,
diventassi pure re. 
Andromaca:
-Caro, non dir così,
non mi lasciare qui.
So quanto mi vuoi bene
E mi nascondi le tue pene.
Ettore:
- Andromaca, tu non vuoi capire,
puzzi da morire.
Sembri una capra ammuffita
E sei anche mezza rimbambita.
Se il mio destino di soldato
È di essere ammazzato,
sempre meglio che star con te,
diventassi pure re.

SCENA VI: sotto le mura di Troia. Achille entra vestito con una nuova armatura scintillante.

Achille:
- La tenda dovrei pulire,
certo è peggio di morire.
Senza schiava non si può stare,
sei sempre lì a lavare,
certo è meglio guerreggiare.
Certo è meglio guerreggiare.

Ettore ti sfido a singolar tenzone,
per non dover rammendar il maglione.
Ettore ti sfido io a duello,
perché combattere è più bello
che star sempre a strofinare,
pulire e lucidare.

Ettore (facendosi avanti):
- E io accetto la tua sfida,
mia moglie tutto il giorno grida.
Non la voglio più sentire,
meglio rischiare di morire.

Achille:
- Basta lucidare, 
meglio guerreggiare.

Ettore:
- Non la voglio più sentire,
meglio rischiare di morire.

Ettore e Achille si affrontano a duello. Andromaca fa per correre verso il marito, ma viene bloccata dai soldati e dalle donne che assistono al combattimento.

Andromaca:
- Ettore mio, non stare in pena,
è pronta già la cena.
Vincitore tornerai,
il mio amore tutto avrai.

Ettore (prima si volge verso Andromaca e poi si rivolge verso Achille, gettando la spada)
- Achille fammi ora un favore,
trapassami tosto il core.
Quella neppure sa cucinare,
tutto quanto fa bruciare.
Sa sempre tutto di cipolla,
ogni cosa che in pentola bolla.
Achille fammi ora un favore,
trapassami tosto il core.
Ettore cade sotto il colpo di Achille.

SCENA VII. Campo acheo, tutti sono in festa per la morte di Ettore, tranne Achille.

Achille
- Mi annoio, mi stufo, mi tedio
Alla noia non trovo rimedio.
Non ho più un nemico con cui guerreggiare,
i lavori di casa mi tocca di fare.
Mi annoio, mi stufo, mi tedio,
alla noia non trovo rimedio.
Non ho più un amico con cui chiacchierare,
i piatti mi tocca asciugare.
Ettore è morto, Patroclo stecchito
E io mi stento rinsecchito.
Mi annoio, mi stufo, mi tedio,
alla noia non trovo rimedio.
Non ho più nessuno con cui guerreggiare,
i lavori di casa mi tocca di fare.
Meglio andare nell’Ade
A trovare gli amici e i nemici.
Lì saremo di nuovo felici.
Piuttosto che i lavori di casa,
meglio andare nell’Ade,
a trovare gli amici e i nemici.
Lì saremo di nuovo felici,
li saremo di nuovo felici.

Criseide e Briseide:
- Se hai ben guardato ed ascoltato,
visto, è dimostrato.
Di questa storia la chiave,
siamo noi schiave,
siamo noi schiave.
Senza di noi,
non ci sono eroi.
Noi che stiamo a strofinare, 
a pulire, a rammendare.
A cucinare, a ricamare,
a spignattare.
Gli eroi vogliono essere degli assi,
mai battere i materassi,
benedire,
ma non pulire,
guerreggiare,
non lucidare,
far la guerra
e mai lavare giù per terra!
Di questa storia la chiave,
siamo noi schiave,
siamo noi schiave.
Senza di noi,
non ci sono eroi.
Senza di noi,
non ci sono eroi.