A Pasqua, dopo pranzo, mi sono seduta sul divano e di colpo è stato come se un treno mi avesse investito. Fino a quel momento non avevo realizzato quanto fossi stanca. Una stanchezza fisica dovuta semplicemente a taaaaante cose da fare tutte insieme, ma anche mentale.
All'inizio della settimana scorsa è arrivata la risposta che attendevo da tempo e venerdì ho formalizzato la decisione che ne è conseguita. Da un lato è stata una liberazione, perché c'è una parte del mio carattere che non sopporta lo stallo e l'inazione, dall'altra, come conseguenza diretta, una valanga di oneri burocratici mi è caduta addosso. Questa mattina ho subito iniziato la mia battaglia contro i mulini a vento, cercando di spiegare alla segreteria della mia scuola che se un documento va spedito dall'altra parte de mondo no, l'autocertificazione non basta. Ed è solo il primo di una lista lunghissima...
Domenica arrivano i francesi per lo scambio, il 28, salvo probabili spostamenti, c'è lo scritto per il concorso. Insomma, aprile si presenta come un mese a salto ostacoli e mi rendo conto di dover rinunciare a qualcosa. Spesso, sopratutto per studiare, ho bisogno di essere concentrata e quindi disconnessa da tutto e da tutti, internet compreso. Quindi nelle prossime settimane sarò presente a singhiozzo sul web.
Inizio a scusarmene con tutti. Se posso, continuerò a postare e a leggere i blog amici, ma sarò meno presente nei commenti e su fb.
Tra un libro da studiare, un documento da compilare e un pranzo da preparare, nei giorni di Pasqua sono comunque riuscita ad andare al cinema e dato che ho ancora 20 minuti prima dell'inizio del corso di aggiornamento, dovrei anche riuscire a recensire il film!
IL CASO SPOTLIGHT – VISIONI
Ci sono film in cui l'aspetto tecnico è preponderante, in cui si fa caso alla regia, alla musica, alle scelte di fotografie. E ci sono film girati in modo che dell'aspetto tecnico ci si possa dimenticare, film che devono immergere tanto profondamente lo spettatore nella storia che stanno raccontando da fargli dimenticare anche che stanno guardando un film. Il caso Spotlight è uno di questi film.
Questo non vuol dire che sia girato male, tutt'altro. Anzi, leviamo subito ogni dubbio. A livello tecnico Il caso Spotlight è impeccabile. È uno di quei film in cui, sui titoli di coda pensi che sì, l'autore della colonna sonora lo conosci, sì, questo e quell'altro sono davvero nomi importanti, ma hanno lavorato perché il lo spettatore si potesse dimenticare di loro.
Non si può parlare di un film del genere senza affrontarne la tematica perché la tematica è il film.
La pellicola ricostruisce l'indagine giornalistica che tra 2001 e 2002 ha denunciato gli abusi commessi nella città di Boston ad opera di una novantina di preti e il sistema che faceva sì che tali abusi passassero sotto silenzio.
L'impatto di quello che viene raccontato, anche se non c'è una singola immagine shoccante, è comunque molto forte. Forse lo è ancora di più per gli spettatori italiani. Credo che per noi (per me sicuramente lo è stato) sia particolarmente facile entrare in sintonia con i protagonisti. I giornalisti di Spotlight (un gruppetto di giornalisti d'inchiesta del Boston Globe) finiscono sulla storia quasi per caso, per compiacere il nuovo direttore che, si dice, potrebbe tagliare diversi posti di lavoro. Sono tutti esponenti di famiglie cattoliche. Qualcuno è praticante, qualcuno, come me e immagino molti di voi, non più praticante, ma comunque cresciuto in ambiente cattolico. L'indagine, quindi, li tocca da vicino, come qualcosa di interno alla comunità in cui sono cresciuti. Il senso di smarrimento e di tradimento nei confronti di un'istituzione che bene o male ha sempre fatto parte delle loro vite è tangibile e, penso, condivisibile dallo spettatore italiano.
Come ho già scritto, il film non ha proprio nulla di scabroso o sensazionalistico. Non fa che seguire i giornalisti in interviste, ricerche d'archivio e audizioni in tribunale. Si procede passo a passo tra interviste e documenti. La fede e l'aspetto religioso del cattolicesimo non solo non è mai messo in discussione, ma non è neanche oggetto d'indagine. Se non fosse basato su una storia vera e se non toccasse corde scoperte della nostra sensibilità sarebbe un solido giallo d'inchiesta. Eppure se ne esce con un profondo senso di malessere e condividendo con i protagonisti, se non delle risposte, almeno degli interrogativi.
Non so se sia un film "necessario", l'inchiesta di Spotlight ha avuto vasta risonanza anche qui e in generale non serve certo questo film per venire a conoscenza dell'esistenza di casi di pedofilia all'interno del clero. Questa pellicola, però, ha il pregio della chiarezza, di una sceneggiatura che riesce a spiegare senza annoiare e che pone l'accento sull'aspetto sistemico della cosa.
Al di là dell'argomento specifico, quello che ne ho ricavato è che la teoria della "mela marcia" sia spesso consolatoria. Ammettere l'esistenza di una o più "mele marce" non spaventa, permette di salvare un sistema senza ripensarlo. È più facile e allontana la responsabilità personale. La verità, temo, è che quando le "mele marce" sono più di una è una questione di sistema. E le questioni di sistema non si possono risolvere allontanando quelli che sembrano gli elementi compromessi.
Il caso Spotlight è un film impegnativo, da cui si esce con un senso di malessere e delle domande. Proprio per questo è, a suo modo, un gran film. Non di quelli destinati a cambiare la storia del cinema, certo, ma di quelli che comunque non si dimenticano facilmente. Non diventerà un classico, non sarà una di quelle pellicole che si rivedono volentieri, ma di quelle che, viste una volta, non si dimenticano. Il fatto che abbia vinto l'oscar come miglior film è sicuramente anomalo, probabilmente una risposta alle polemiche intorno al disimpegno dell'industria cinematografica statunitense. A mio avviso, comunque, una buona risposta.
A volte i film non devono stupire con dei virtuosismi tecnici. Quando riescono a far sorgere dubbi e domande è già una gran cosa.