domenica 29 ottobre 2017

La colonna sonora di "Sherlock Holmes contro il Fantasma dell'Opera"

Uno dei particolari che più ho amato del romanzo di Leroux è che la musica è quasi un altro personaggio. Perché spesso molti autori cadono nel non valorizzare un elemento fondamentale da loro stessi inserito. Storia ambientate a teatro, per dire, in cui vengono citate due opere in croce e stra famose giusto per "fare atmosfera" e urlare al lettore "guarda che siamo a teatro!"
Il Fantasma dell'Opera è ambientato all'Opera di Parigi, il Fantasma ha respirato pane e opera da che è nato (checché lui stesso ne dica sul finale) e la musica sottolinea prepotentemente la vicenda tanto che io, leggendolo, sono andata a cercami i brani citati. Con quel sottofondo le pagine di Leroux acquisivano tutt'altra potenza.
Che il romanzo sia poi diventato un musical un po' era scritto nel destino, dato che è così facile immaginare la vicenda cantata, ma un po' è stato un tradimento, perché si è presa una vicenda legata al mondo dell'opera classica e la si è adattata ad altro.

Rilavorandoci mi è sembrato naturale recuperare quel legame con la musica classica, anche perché Sherlock Holmes stesso è legatissimo alla musica classica.
Ho già avuto modo di racconto come la mia stessa idea di Holmes sia cambiata radicalmente quando ho ascoltato le opere citate da Doyle, scoprendo una prevalenza per il primo romanticismo tedesco. Ecco, il primo romanticismo tedesco non è esattamente la colonna sonora che io avrei attribuito a un detective ossessionato dalla razionalità (infatti nelle trasposizioni di solito, se proprio gli mettono un violino in mano, gli fanno suonare o citare Bach o Mozart, che invece non vengono mai nominati nei racconti).

Quindi non è corretto dire che c'è una colonna sonora consigliata per questo mio quasi romanzo. La verità è che ci sono dei passaggi musicali su cui la narrazione si ancora. Ho ascoltato questi brani prima di scrivere e mentre scrivevo, nella speranza di intridere le mie parole con le loro note.
Eccoli qua:

 Il trillo del diavolo
Lei conosce la storia di quella sonata, dottore. Secondo la leggenda il diavolo in sogno l’aveva fatta udire a Tartini, che al risveglio la trascrisse a memoria in tutta fretta. Di certo c’è che fu resa famosa dalle esecuzioni di Paganini e che è uno dei brani più difficili che un violinista possa eseguire. In quel contesto, il significato della partitura era chiaro. Il Fantasma mi aveva tenuto d’occhio, o, per meglio dire, d’orecchio. Mi aveva sicuramente ascoltato mentre mi esercitavo il giorno prima in camerino e forse anche alle prove ufficiali. E ora mi offriva un patto da sottoscrivere eseguendo la sonata.
Paganini non lo possiamo avere, ma anche l'interpretazione di Ughi è da pelle d'oca.

 Il re di Lahore
Quando il fascio di luce della mia lanterna squarciò quelle tenebre odorose d’umido e polvere sgranai gli occhi. Mi apparve un lungo colonnato con uno sfondo di palme le cui fronte sembravano quasi muoversi. Pareva che da un istante all’altro dovessi scorgere una scimmia gettarsi da un ramo all’altro e che una tigre potesse potesse sbucare dall’oscurità. 
Qualche anno prima all’Opéra era stata rappresentata un’opera dal titolo Il re di Lahore e tutti i giornali avevano parlato della magnificenza della messa in scena. In fondo al colonnato sembrava davvero ergersi il palazzo di un maragià. Di certo si trattava solo di una facciata di legno e tuttavia l’effetto era di un realismo impressionante. Al termine delle rappresentazioni una simile opera di artigianato non poteva certo essere distrutta, ma dato i costi che senza dubbio comportava una tale messa in scena,  era rimasta inutilizzata, relegata al più profondo sotterraneo dell’Opéra.

E cosa c'è di più inquietante di sentir risuonare un'aria d'epoca?

Faust

La sera del Faust la tensione era palpabile anche per chi non sapeva nulla delle minacce del Fantasma. Del resto si dice che gli animali, nei branchi, si trasmettano l’un l’altro il nervosismo, quando un predatore è in agguato nei paraggi e agli uomini deve capitare all’incirca la stessa cosa. Vi erano più giornalisti che per una normale rappresentazione e l’Opéra era gremita di spettatori. I direttori in persona occupavano il palco n°5, in sfregio al Fantasma.

Il Faust è la parte fondamentale della colonna sonora. Le rappresentazioni di quest'opera scandiscono il racconto, accompagnando sempre le scene più iconiche.
Date anche solo uno sguardo a questa rappresentazione, andata in scena proprio all'Opera di Parigi.

Romeo e Giulietta, notte nuziale
I due iniziarono a cantare il duetto "La notte nuziale" dal Romeo e Giulietta. Il pubblico rimase senza fiato. Tutti riconobbero la voce cristallina di Christine, ma chi fosse quel tenore dal timbro profondo e vagamente spaventoso era oggetto delle più azzardate supposizioni. Vi era qualcosa di terribile in quell’esecuzione. La totale innocenza di Christine, che si abbandonava alla musica e al suo partner si contrapponeva a qualcosa di struggente e cupo, come se Romeo fosse consapevole del proprio destino e cantasse in preda a un presagio di morte.
La rete non mi è molto d'aiuto su questo punto, diciamo che immagino il Fantasma con più carisma di questo tenore...

Aida – finale
Christine mi rivolse uno sguardo vacuo.
– A noi si schiude il cielo e le alme erranti… – continuò a canticchiare, come in un mesto lamento funebre.
Da parte sua non poteva venirmi alcun aiuto.
Niente spoiler, ma il dolente finale dell'Aida, credo renda bene l'atmosfera che avevo in testa per il finale di questa storia.

Incuriositi?
Sherlock Holmes contro il Fantasma dell'Opera è già in prevendita qui e qui, su Amazon

venerdì 27 ottobre 2017

Le otto montagne, lettura condivisa – impressioni finali

Avevo iniziato questo romanzo con un entusiasmo che avevo condiviso in questo post.
Venti giorni dopo mi trovo a chiudere il libro con una precisa domanda: le aspettative sono state mantenute?
Purtroppo no.

Le otto montagne mi ha fatto l'impressione di un pacco perfettamente confezionato, o, meglio, di un pasto in cui a imprimersi nella memoria siano l'antipasto e il locale, non le portate principali.
Ho molto amato le prime pagine del romanzo, la descrizione delle montagne, le mie montagne, questo Monte Rosa che chiude il mio orizzonte con il rifugio Regina Margherita che, nei crepuscoli più limpidi, si vede brillare fin da quaggiù. Ho amato alla follia la storia del padre del protagonista, così simile al mio. E poi?

Il padre rimane il personaggio meglio delineato del romanzo, l'unico con una personalità ben definibile, intrisa di una malinconia struggente, un'evoluzione psicologica e una fine così amara che si stampa nella memoria del lettore.
Suo figlio e Bruno sono evanescenti al punto che, a una sera dalla fine del libro non solo non li so definire, ma li sto già anche scordando.
Del protagonista (?) e voce narrante non saprei dire molto. Sparisce e non si interessa della propria famiglia fino alla morte del padre, momento in cui viene preso dal rimpianto di tutti quegli anni buttati. La cosa davvero sorprendente è che nonostante tutto il padre gli abbia lasciato qualcosa, invece di intestare tutto a Bruno (cosa che avrebbe evitato ulteriori disgrazie, per altro). Non si sa bene che faccia nella vita, salvo poi partire per l'Himalaya e dedicarsi ai documentari e, si presume, a non meglio identificati progetti di volontariato. Di lui di fatto sappiamo che non sa costruire relazioni stabili e ama la montagna. Un po' poco per costruire un personaggio.

Bruno è, almeno in linea teorica, più interessante. C'è qualcosa dei vinti di Verga in questo ragazzo incapace di emanciparsi da un destino segnato nonostante l'incontro con potenziali benefattori. Non può scendere in città a studiare, è condannato alla montagna e al mestiere del padre, il muratore. Cerca una strada sua, una donna, un alpeggio da rimettere in funzione, ma, proprio come come accade in Verga ogni speranza di riscatto è effimera e condannata al disastro.
Prima una nota personale: in quegli anni, su quelle valli, un buon numero di alpeggi sono rinati, grazie anche alla rinnovata attenzione al formaggio montano (basti pensare a slow food e a cheese), quindi Bruno si è lanciato in un'impresa tutt'altro che impossibile e non condannata in partenza come sembra leggere tra le righe. 
In ogni caso la sua storia ha un qualche interesse, ma è vista da lontano, dall'occhio assente e tutt'altro che perspicace di un osservatore che un po' c'è e spesso non c'è. Il risultato è la mera trasposizione di una vicenda, senza approfondimento, senza analisi, in fin dei conti anche con scarsa partecipazione emotiva. 

Ma ci sono le montagne, le descrizioni, le atmosfere. Certo, verissimo. Quando vado al ristorante, per tornare alla metafora iniziale, l'atmosfera e la location contano. Purché si mangi bene. E qui io la pietanza non l'ho trovata.
C'erano delle aspettative, create dal premio vinto e da un inizio che mi era molto piaciuto, certo. Ma è giusto che le aspettative ci siano quando un libro si presenta come un "libro importante". Cosa mi resterà di questo romanzo tra due mesi o tra due anni? Già adesso fatico a mettere a fuoco i personaggi e gli episodi. Mi resterà la storia del padre, più per motivi autobiografici che per meriti letterari e un vago sentore di montagna.
Grazie al gruppo di lettura negli ultimi anni sto riscoprendo i classici. Non tutti sono una folgorazione. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, sono libri che restano. Nella memoria, nelle emozioni, nelle riflessioni suscitate.
Quali riflessioni mi ha suscitato questo romanzo, dopo pagina venticinque? 
– Prima di ristrutturare e rimettere in funzione un alpeggio senti un commercialista
– Ma si può davvero vivere di documentari girati in Nepal? È così facile costruirsi una professionalità là?
Belle atmosfere, belle descrizioni, giri di parole un po' vuoti come quello che vorrebbe dare un senso al titolo, le otto montagne.
Un po' poco per un libro di tale successo.

mercoledì 25 ottobre 2017

Com'è nato l'incontro tra Sherlock Holmes e il fantasma dell'Opera



Ci sono storie che progetti di scrivere e storie che ti trovi a scrivere e quando realizzi bene in che razza di guaio ti sei cacciata ormai hai superato la metà e fai prima ad arrivare in fondo che a tornare indietro.
Ecco, Sherlock Holmes contro il Fantasma dell'Opera appartiene senza ombra di dubbio a questa seconda categoria.

Tutto è iniziato con un'arrabbiatura. Una madornale arrabbiatura.
Se c'è una cosa che proprio non sopporto (ma credo che sia evidente da alcune mie considerazioni sui libri letti, aspettate il mio post su Le otto montagne...) sono i libri che iniziano bene e poi si ammosciano. Darmi delle ottime premesse e poi tradirle per me è uno dei peccati letterari capitali. Pena di morte subito.

Grazie al gruppo di lettura, mi ero quindi immersa nella lettura de Il fantasma dell'opera, il romanzo originale del 1911 di Leroux. Parte benissimo. L'atmosfera all'interno dell'Opera di Parigi è meravigliosa, si respira la musica, si respirano le rivalità, si respirano misteri dei suoi labirintici sotterranei. Il Fantasma è una presenza che aleggia e su cui il lettore è invitato a formulare ipotesi sulla base di minuti indizi. C'è anche un'altra figura misteriosa (tagliata poi nelle varie trasposizioni), il Persiano, probabilte un agente segreto straniero sulle tracce del fantasma.
Tutte queste premesse crollano miseramente nella resa dei conti finale nei sotterranei di Parigi. Personaggi che muoiono per pura stupidità, altri bloccati da trappole elementari e, sopratutto, una rivelazione finale sul Fantasma che non giustifica gli indizi che l'autore stesso aveva presentato. Insomma una delusione totale (infatti è la parte più rimaneggiata nelle varie trasposizioni).

Il problema è che, invece di limitarmi a chiudere il libro gettandolo con astio da qualche parte, ho iniziato a farmi qualche domanda.

Leroux immagina di raccontare fatti veri, riferitigli da questo misterioso Persiano. Di ciò che è accaduto nel sottosuolo il Persiano è l'unico testimone in circolazione. Se avesse mentito?

Una domanda tira l'altra.

Perché il Persiano ha mentito? Perché quanto accaduto laggiù era troppo orribile per il genere di libro che Leroux voleva scrivere e per non svelare la propria vera identità.

E qual è la vera identità del Persiano?
Qui il mio cervello è partito per la tangente. Il Persiano appare a tratti, solo di notte e, si sa, Sherlock Holmes spesso nelle sue indagini si traveste. Il Persiano poteva essere Sherlock Holmes travestito?

A quel punto un tarlo ha iniziato a scavarmi in cervello. Poteva essere Sherlock Holmes il Persiano?
Innanzi tutto ho controllato la cronologia. Nel 1910/1911 Holmes era sicuramente in grado di parlare con Leroux, ma all'epoca dei fatti? Beh, era giovane, sui venticinque anni, ma già alle prese con le prime indagini.
E cosa ci avrebbe fatto Holmes a Parigi?
Vediamo... La famiglia di Holmes innanzi tutto è in parte francese. In quel periodo il fratello maggiore di Sherlock, Mycroft poteva già lavorare per il governo, magari poteva essere a Parigi in quel momento. Il Fantasma inizia a creare incidenti all'Opera, un luogo frequentato dalle personalità più importanti della Francia. Informato dei fatti non avrebbe consigliato di affidarsi al suo giovane ma già geniale fratello?
E Sherlock Holmes non era perfetto per infiltrarsi all'Opera con due diverse identità, di notte infiltrato nel pubblico come uno stravagante straniero, di giorno come violinista. Non suona forse il violino Holmes?

A questo punto ho capito di essere perduta. Avevo in mano una storia con Sherlock Holmes grondante di passione.
Passione per la musica.
Passione amorosa con il drammatico triangolo tra la bella cantante, il fantasma e il giovane nobile che tutti, più o meno, grazie a musical e film conosciamo.
Passione oscura per la vendetta.

E che storia di passione fosse, quindi. Anzi, con un Fantasma che fosse una sorta di doppio oscuro di Holmes, quello che Holmes stesso potrebbe diventare, se venisse travolto dalle proprie passioni, anche se forse è quella per la musica a tentarlo più di tutte (quanto spero che questo aspetto si capisca, che si capisca quanto Holmes, nel profondo, parteggi per il Fantasma e tenti di salvarlo).

Per scriverlo mi sono immersa nella musica al punto che uno dei prossimi post, se riesco in questo mare magnum di impegni ballerini, sarà dedicato alla colonna sonora di questo racconto lungo/quasi romanzo.

Per il momento spero di avervi incuriosito.
Sherlock Holmes e il fantasma dell'Opera è già in prevendita qui

lunedì 23 ottobre 2017

In arrivo Sherlock Holmes contro il fantasma dell'opera


31 ottobre 2017

Vi siete segnati la data? No! Fatelo!

Il 31 ottobre, martedì prossimo, uscirà in tutti gli store on-line Sherlock Holmes contro il fantasma dell'opera.

A differenza delle altre mie pubblicazioni all'interno della collana Sherlockiana non si tratta di un racconto, ma di un romanzo breve

Non è la lunghezza l'unica differenza rispetto alle altre pubblicazioni.
Dietro questo romanzo c'è una storia particolare, che racconterò nei prossimi giorni e la volontà di inserire Sherlock Holmes all'interno della vicenda narrata ne Il fantasma dell'opera di Leroux (il romanzo originale, quindi, non il musical o il film) senza tradire l'uno o l'altro.

Si tratta quindi di un'operazione molto particolare che mi ha portato in un territorio per me inedito, rispetto ai miei precedenti lavori con Sherlock Holmes.

Siamo nella sfavillante Parigi degli impressionisti e non nella nebbiosa Londra. Il protagonista è un Holmes assai giovane, che ancora non ha deciso di dedicare tutta la propria vita all'indagine. È una storia di musica e di amori disperati in cui è la passionalità e non la razionalità a fare la parte del leone.
È, infine, una storia di fantasmi o comunque con un lato horror, ancora più accentuato rispetto a quello del romanzo di Leroux. È quindi la lettura perfetta per il 31 di ottobre!

Vi ho incuriosito?
Spero di sì!

Nei prossimi giorni vi racconterò qualcosa di più di questa storia per me così particolare, voi state pronti a leggerla!

venerdì 20 ottobre 2017

Autunno sul lago

Quest'anno non insegno più alla scuola col pontile. Mi sono trasferita sull'altra sponda del lago e per raggiungerlo servono almeno cinque minuti. Oltre tutto tra incombenze burocratiche e impegni vari non ho trovato la luce migliore. Che dite, posso consolarmi?

L'autunno sul lago ha le stesse tonalità dei colori della mia anima.
E sono giornate come questa quelle in cui mi rendo conto di quale privilegio sia vivere e lavorare in un luogo che sento tanto mio.

mercoledì 18 ottobre 2017

Seguendo la cometa 28 – Età


Eccoci.
È passato un anno, la pupattola ormai sgambetta in autonomia, irriconoscibile dal fagottino minuscolo che abbiamo preso in braccio la prima volta.
Era inevitabile arrivare anche in fondo a questo lungo racconto.

Un GRAZIE ENORME a Viola, che ha reso possibile questo racconto, dando forma di volta in volta ai miei appunti.

E GRAZIE a chi ha seguito questo racconto.

domenica 15 ottobre 2017

E poi si arriva alla parola fine

Ci sono progetti scrittorei che sembrano eterni. Li si comincia, poi si cancella, si torna indietro. Ci si interrompe, si pensa di abbandonare. Li si riprende in mano, si cancella, si riparte. Ci si interrompe. 
A volte è la vita a imporre questi ritmi. Succede qualcosa, ci si interrompe, si riprende in mano, si cancella, si riparte.
Sono anche rassicuranti a modo loro. Significa avere una storia in cui tuffarsi. Quando si scrive in modo spezzettato per certi versi preferisco avere per le mani un progetto lungo piuttosto che uno corto. I racconti devo progettarli, scriverli e terminarli tutto d'un fiato. I romanzi sono escursioni lunghe nella terra delle storie, so che ci si starà mesi, se non anni. Mi predispongono a un ritmo diverso e mi dispensano dal concentrarmi su altro. Dopo tutto ho già la mia storia da scrivere.

Questa storia in particolare l'ho iniziata a luglio del 2016. A ben vedere non è neppure tantissimo tempo, un anno e qualche mese. Tanto, ma non tantissimo per una prima stesura. 
In questo periodo, però, sono successe tantissime cose e in tutte questa storia mi ha fatto compagnia. Pensava a questa storia, in auto, mentre andavo a estrarre la traccia per l'orale del concorso docenti, ci pensavo per distrarmi nei convulsi giorni che hanno preceduto l'incontro con la pupattola. Ci pensavo durante le sue prime nanne a casa, quando ero convinta che se avessi smesso di guardarla avrebbe potuto lei smettere di respirare. 
L'ho messa in pausa e l'ho ripresa, al punto da non ricordarmi i nomi di parecchi personaggi. L'ho dato per morta e poi l'ho resuscitata.
La mia sensazione irrazionale è che questa storia mi avrebbe fatto compagnia per sempre. 
E mi andava bene. 
Tra tutto quello che ho scritto è senza dubbio la storia più leggera, decisamente commedia, un mondo di personaggi in cui potersi tuffare senza troppe angosce esistenziali. Con tanti deliziosi quesiti tecnici con cui occupare la mente.
Adesso, poi, se riesco a dedicare alla scrittura due ore alla settimana è tanto. Quindi quando ho iniziato le lezioni a scuola ho pensato "ora non la finirò più".
Senza guardare a che capitolo ero. Senza ragionare sul punto della trama.
E poi, semplicemente, sono arrivata in fondo.
Senza rendermene conto mi sono travata a -2 capitoli dalla fine. Di fatto, tutto era già successo, bisognava solo trarre le ultime conclusioni. Quaranta e più capitoli scritti.

È una sensazione strana, spiazzante, un po' malinconica.
Non ho voglia, davvero, di scrivere l'ultimo capitolo.
Non ho voglia perché penso che la revisione di un'opera scritta in questo modo sarà un incubo.
Non ho voglia perché non so gestire il poi. Il mio unico invio del mio lavoro precedente a oggi non ha dato alcun frutto. Non ho il tempo e le energie per farmi self, non ho forza contrattuale per i big quindi non so, poi, che fare delle mie storie.

Non ho voglia principalmente perché non voglio abbandonare questa storia e il porto sicuro che ha rappresentato. Non voglio lasciar andare, neppure verso un bel finale, i miei personaggi bislacchi, che mi hanno fatto innamorare delle loro stranezze.

Non voglio lasciare questa storia come non voglio che finisca un periodo della mia vita, così sconvolgente e ricco di sorprese da non sembrare neppure vero.

Però adesso la pupattola dorme. Che mi piaccia o no è il momento di scrivere la parola fine.

PS: a voi è capitato di non voler finire una storia?

giovedì 12 ottobre 2017

Requiem felino


Non sei mai stato il mio gatto. I gatti, si sa, si scelgono i padroni e anche se formalmente eri mio, tu eri il gatto del Nik.
Non sei stato il gatto che ho più amato. Non eri e non potevi essere la micia bianca che mi ha accompagnato per ventun anni né la sua figlioletta nera e sfrontata che mi faceva feste quasi canine. Questo tuo amore per le vendette trasversali a base di pipì fuori posto, poi, mi ha fatto tirar giù, nel quasi decennio trascorso insieme, tutti i santi del calendario.
Non sei stato il gatto più gestibile. Persiani di certo non ne prederò mai più. Ore passate a districarti i nodi, a pettinarti, a raccogliere chili e chili di pelo. E vogliamo parlare della lacrimazione eccessiva, colorata e indelebile? Muri e vestiti macchiati. Quando si dice lasciare una traccia indelebile...

Parliamoci chiaro, non eri neppure del tutto un gatto. 
Agilità? Non pervenuta. Appena sei arrivato a casa sei caduto dal divano e dal tuo nome di battesimo, Silvestro, sei diventato Patato.
La prima volta che ti abbiamo fatto uscire dall'appartamento avevi paura che il cielo ti cadesse sulla testa e non osavi calpestare l'erba. Ci hai messo giorni ad avventurarti sul prato. Sei migliorato, però, sei arrivato al punto da andare anche nel giardino del vicino e da trascorrere ben due notti fuori casa (con grande angoscia della qui scrivente padrona), come un vero gatto.
A cacciare non hai mai imparato. Le unghie non hai mai capito come usarle. Prendevi le mosche con la zampa, le schiacciavi a terra e poi le lasciavi andare. Una mosca ci durava una settimana. Non le ammazzavamo apposta, per permetterti di esercitarti. Non ne hai mai uccisa usa. Le lucertole non le hai neppure classificate come prede.
E forse non dovrei accennare al fatto che sei stato quasi violentato da una coniglia. Una coniglia. Femmina.
Eri diversamente gatto, amante del broccolo e del caco, capace di perderti nell'appartamento e di rimanere ore chiuso dentro un armadio. 

Eri un personaggio.
Nessuno che sia passato da casa nostra ti ha dimenticato. Imbranato e coccoloso, con quello sguardo sempre tra il tenero e lo scocciato sapevi farti elargire coccole da chiunque. Per i servizi sociali, ricordiamolo, eri il vero padrone di casa con cui noi "convivevamo". Per altro sospetto avessero ragione.

E la casa la riempivi, col tuo pelo e la tua personalità.
Adesso che non ci sei più ti cerco ancora, mi aspetto di trovarti dietro una porta o chiuso in un armadio.
E con tutti i tuoi difetti e il tuo essere diversamente gatto seri riuscito a farmi commuovere, mentre ti ricordo.

Chissà se da qualche parte stai facendo le fusa agli angeli? E chissà quanto risalta il pelo scuro lasciato sulle bianche nuvolette del paradiso!

martedì 10 ottobre 2017

Con Chiara Solerio al festival LiberaMente di Belgioioso


Con una pupattola la fruizione di eventi culturali cambia parecchio.
Che il festival di Belgioioso fosse interessante era una certezza, perché a muovere la macchina organizzativa c'è Fabio Ivan Pigola, l'anima di Kultural, una di quelle persone speciali che nei propri progetti mette tutto se stesso, a costo di lasciarci (letteralmente) qualche pezzo.
In altri momenti mi sarei fermata agli incontri (infatti in altri momenti ho apprezzato alcuni degli autori e dei relatori presenti, come Raul Montanari) e avrei perso le ore a curiosare tra gli stand degli editori.
Però non sarei restata incantata a guardare le istallazioni artistiche, così affascinanti da ipnotizzare la pupattola, né avrei notato i particolari del castello che la cucciola, scorrazzandovi intorno mi ha fatto notare. Anche con molto più agio sarei rimasta colpita dagli stessi editori (La Lepre su tutti) e avrei acquistato le stesse cose. Mi sarei goduta, credo, meno il sole e i cortili.
Come blogger, poi, la cosa che più mi stava a cuore era incontrare per la prima volta Chiara Solerio. I contatti virtuali sono da sempre la cosa più bella che un blog porta con sé e quando poi diventano tangibili si ha la sensazione precisa della ricchezza di questo mezzo. 
La cosa bella è che ogni volta che incontro qualche blog amico è e non è come me lo sono sempre immaginato. C'è un momento di sfasamento dopo il quale emerge la personalità che avevo già imparato a conoscere oppure qualche caratteristica che pure già leggevo acquista la sua giusta dimensione (anche fisica, sia lei che Viola sono altissime!). Di Chiara mi ha colpito un sottofondo di timidezza dolce. Raccontando dell'evento a cui aveva partecipato il giorno prima era palese la sua emozione. Quando leggo i suoi post a volte la percepisco molto sicura, anche quando scrive il contrario e mi ha fatto tenerezza vederla vivere le mie stesse insicurezza. Questo incontro, poi, mi ha confermato qualcosa che già sapevo, ovviamente, e cioè che Chiara è nata per far vivere la cultura. In questo momento ho bisogno di un aiuto per mettere ordine nei miei progetti letterari e la mia convinzione che possa essere lei la persona giusta si è rafforzata.
L'unica cosa che spero è di non aver passato a lei o al suo compagno il virus "da asilo" che tutta la famiglia con ogni evidenza già covava e che ha reso movimentata la nostra domenica...

domenica 8 ottobre 2017

La morte e lo stilista – racconto breve completo

La Morte e lo stilista

 Giunse in silenzio, sontuosa nel broccato nero che la rivestiva, enigmatica dietro la pallida maschera veneziana.
 Lo stilista era chino alla scrivania, gli occhi stretti nel tentativo di mettere a fuoco l’ultimo bozzetto, davanti a lui sul tavolo. Prima di girarsi, aggiunse un’ultima sfumatura dorata al disegno. 
 – Sai chi sono? – chiese la figura in nero, con voce dolce, né maschile né femminile.
 Lo stilista si limitò a sorridere.
 – Sono la Morte. 
 – E io sono un vecchio, non vedo come la cosa debba stupirmi. Andiamo?
 – È dato alle creature mortali di guardarsi un istante indietro a considerare per cosa abbiano vissuto – disse la Morte, un poco contrariata.
 L’uomo gettò uno sguardo oltre la finestra, dove l’eleganza degli alberi spogli si stagliava contro l’arancio del crepuscolo.
 – Fatto. 
 – No, mortale, non così presto. Tu che hai avuto in dono il privilegio di creare, ma hai scelto l’effimero, l’immanente. Che sarà del tuo nome, quando i tuoi vestiti saranno solo ricordi vetusti di una stagione passata? 
 Il vecchio si strinse nelle spalle.
 – Ha senso il tempo, là dove mi conduci? 
 – No. 
 – E allora che importa, Morte, quanto durerà il ricordo del mio nome? Non c’è opera creata dall’uomo destinata a vincerti, giusto? E allora, di fronte all’eternità, che importa aver creato un abito o una cattedrale? 
 Non aveva espressione, la Morte, ma sembrava perplessa.
 – Non ti spaventa il giudizio dei posteri? Tu hai dedicato la vita all’inutile? 
 – Ma non è quello che ci distingue dagli animali, l’inutile? Guarda questo tramonto. Non ha altro significato che l’arrivo della sera. Per i passeri, là fuori, il cane da guardia, il gatto che dorme sulla poltrona è solo un altro giorno che finisce. Per me è bello e questo lo rende diverso dal tramonto che vedono loro. Eppure, rimanere a soppesarne la bellezza non ha alcuna utilità. Potrebbe distrarmi da un pericolo in arrivo, ma mi fermo e guardo e ammiro.
 – Non senti il peso, dunque, delle scoperte che non hai fatto, del denaro che è stato sprecato per un lusso inutile che hai imposto, delle vite rovinate di donne che hanno cercato di rendersi simili ai tuoi ideali? 
 Lo sguardo dell’uomo si fece triste, mentre la foschia lontana scuriva la tonalità perfetta del cielo.
 – Non ho, nella mia vita, fatto violenza a uomini o animali. Non ho rubato, ho limitato i miei vizi a quelli che potevano danneggiare solo me. È facile mettere agli uomini d’ingegno la colpa delle brutture del mondo. Ho disegnato abiti, non ho costretto alcuna alla fame per entrarvi, né costretto alcuno ad uccidere animali per realizzarli né imposto la schiavitù nelle fabbriche che li producevano. Sono scelte della cui colpa non intendo sentirmi macchiato. Non ho occhi per vigilare su tutto il mondo, non faccio le leggi, né posso farle rispettare. Se una casa brucia la colpa è di dipinge il fuoco o di chi lo appicca? Ho disegnato abiti, di questo sono responsabile, non di altro. 
 Sai a cosa serve un abito, Morte? Serve all’essere umano per rendersi più certo di quello che già è.
 Fin dalla più remota antichità comandanti di tribù di cacciatori hanno dovuto ricoprirsi ogni giorno il capo di penne d’aquila per dire a loro stessi che si, davvero, stava a loro il fardello della decisione.
 Una ragazza già bella compra un paio di scarpe o una borsetta nuova ed ecco, la sua bellezza le salta agli occhi, le si illumina il viso e con più sicurezza affronta il mondo.
 Un ragazzo timido con una cravatta o un maglione nuovo, riconosce il coraggio che già aveva per dichiarare il suo amore.
 In doppio petto uomini con troppo potere diventano consapevoli di stringere nelle mali i destini altrui.
 Questo faccio io, che sono uno stilista, dono l’opportunità alle persone di diventare consapevoli di ciò che già esse sono. Se questa consapevolezza porterà baci o guerre, io non ne tengo la colpa. 
 E tu, Morte, non ti sei fatta rivestire nei secoli dai pittori di informi camicione nere, dettagli in osso, cavalli scheletrici al posto di borsette, solo per farti riconoscere per ciò che sei? 

 L’uomo girò verso la figura scura il suo ultimo bozzetto. Rappresentava una figura alta, avvolta di un nero, sontuoso broccato. Portava un turbante, sempre nero, sulla testa e sul volto una pallida maschera veneziana con appena una sfumatura d’oro a sottolineare il contorno degli occhi vuoti, senza iridi né pupille.
 La Morte si portò una mano inguantata al viso, là dove una leggera spruzzata di vernice dorata evidenziava l’incavo degli occhi mancanti.
 – Perché ti sei vestita così, Morte? Qualcuno ti ha forse obbligato? 
 – Non capivo perché dovessi sempre e solo far paura e non potessi avere un aspetto più elegante e gentile. 
 – E allora sii gentile, Morte, poiché questo vuoi riconoscere oggi in te, e porgi la mano a un vecchio per aiutarlo ad andare là dove si conviene. 
La Morte allungò il braccio e aiutò lo stilita a mettersi in piedi. Poi insieme, sorreggendolo, si avviarono verso l’orizzonte ormai scuro.

mercoledì 4 ottobre 2017

Tutte le mie canzoni



Sono stata invitata al #30daysmusicchallenge, ma non riesco a promettere di avere per 30 giorni la testa per postare ogni giorno una canzone. L'idea, però, è simpatica. Mi rendo conto che sul blog ho sempre parlato poco di musica, perché è un ambito in cui mi ritengo solo fruitrice. Non so replicare una melodia neppure sotto minaccia di morte e in ambito musicale mi sento sempre in difetto per ignoranza. Questa è un'ottima occasione, per dedicare un post alla musica, o almeno alle canzoni. 

Quindi, partenza!

1 - la tua canzone preferita
Prof, sono impreparata, già alla prima domanda. Non ce l'ho una canzone preferita preferita in assoluto. Ultimamente mi piace tantissimo L'amore non esiste – Fabi, Silvestri e Gazzé
2 - una canzone invernale
Inverno – F. De André
3 - una canzone che ti rende allegro
Viaggi e miraggi – F. De Gregori. Autore tutt'altro che allegrissimo, ma questa canzone mi mette di buon umore
4 - una canzone che ti commuove
Verranno a chiederti del nostro amore – F. De André
Con tutte le tristezze di tutti gli amori finiti.
 5 - una canzone che ti ricorda qualcuno

The bonny swans – Loreena Mckennitt, legata all'amica del liceo che me l'ha fatta conoscere e al rimpianto per un'amicizia che è andata raffreddandosi.
6 - una canzone che ti ricorda un posto

Hotel California – Eagles. Ascoltata per caso su una spiaggia in Sardegna, mi riporta al profumo di ginepro e di acqua di mare.
7 - una canzone che ti ricorda un momento particolare
Torn – Natalie Imbruglia. Colonna sonora della gita a Parigi in quarta liceo. Otto ore di pullman in cui è andata in loop.
8 - una canzone di cui conosci tutte le parole
Vedi 13. Canto in tutti gli spostamenti in auto. Con voce stonatissima.
9 - una canzone che ti fa ballare
Purtroppo nulla è in grado di farmi ballare.
10 - una canzone che ti aiuta a dormire
La fiera dell'est – Branduardi. Aiuta a dormire la pupattola e, di riflesso, me
11 - una canzone della tua band preferita
Bohemian Rhapsody – Queen
12 - una canzone della band che odi
Non odio. Al massimo non ascolto
13 - una canzone che hai conosciuto da poco
Mi sto facendo una cultura a tema zecchino d'oro... Vorrei un gatto nero è l'hit del momento.
14 - una canzone che nessuno si aspetta possa piacerti
Ero contentissimo – Tiziano Ferro
15 - una canzone che ti descrive
Mi colgo impreparata. Mio padre però dice che la tipa di Quattro stracci mollata da Guccini doveva essere simile a me...
16 - una canzone che amavi e che ora odi
Non pervenuta.
17 - una canzone che vorresti dedicare a qualcuno
La cura – Battiato. Alla pupattola.
Ai miei alunni invece dedico Combattente – Fiorella Mannoia
18 - una canzone che vorresti ascoltare alla radio
Vincent – Don McLean. Quando ogni tanto la danno sono felice. Sempre.
19 - una canzone dal tuo album preferito

Un chimico da Non al denaro ne all'amore ne al cielo di F. De André
20 - una canzone che ascolti quando sei arrabbiato
L'avvelenata – F. Guccini. E che altro?
21 - una canzone che ascolti quando sei felice

Non direi felicità, quanto follia. Don't stop me now dei Queen si è indissolubilmente legata a questa sequenza e non posso ascoltarla senza un sorriso.
22 - una canzone che ascolti quando sei triste
Non l'ascolto quando già sono triste, perché per me è la tristezza fatta canzone e mi porterebbe al suicidio. Venezia – F. Guccini
23 - una canzone che vorresti al tuo matrimonio
Ho voluto il canto delle onde del lago.
24 - una canzone che vorresti al tuo funerale
Preferisco non pensarci. Immagino però che Preghiera di gennaio di De André sia appropriata.
25 - una canzone che è un piacere peccaminoso

Non ho un rapporto così peccaminoso con la musica, temo.
26 - una canzone estiva

Non mi è spiaciuta L'estate di John Wayne di qualche anno fa (o era solo l'anno scorso?), ma ho già dimenticato chi la cantava...
27 - una canzone che ti piacerebbe suonare
Essendo negata, qualsiasi
28 - una canzone che ti fa sentire colpevole
Colpevole? Una canzone?

29 - una canzone della tua infanzia
Le sigle di Cristina d'Avena
30 - la tua canzone preferita in questo periodo un anno fa
Pe una volta avevo scritto un post. Impressioni di settembre – PFM

Come si è visto, in materia di canzoni prediligo annegare nella malinconia. Per compensare, vi lascio con il video del mio momento di follia:


Ovviamente, chi non lo avesse già fatto, è invitato a partecipare al gioco!



lunedì 2 ottobre 2017

Le otto montagne, lettura condivisa – prime impressioni


In questo periodo ho bisogno di essere spronata alla lettura. Perché non è esatto dire che non ho tempo. La pupattola si addormenta presto (poi magari si sveglia, ma questo è un altro discorso), solo che alla sera è più facile vegetare davanti alla tv o a fb. Quindi santo subito il gruppo di lettura, che impone delle scadenze e mi sprona a prendere un libro in mano e a tenere desti i miei recalcitranti neuroni. 
Per questo ho aderito volentieri alla proposta di Sandra e Marina per una lettura condivisa.

I gruppi di lettura, veri o virtuali che siano, poi, hanno anche il pregio di portarmi a leggere cose che in autonomia non prenderei in mano. La parte più spocchiosa di me rifugge dal "libro del momento". Non credo di aver mai letto un romanzo appena incoronato allo Strega, al Campiello o ad altro, per una sorta di ottuso snobbismo del tipo "vediamo se tra dieci anni mi ricordo ancora di lui".

Eccomi quindi alle prese con Le otto montagne. È davvero ancora troppo presto per dire se il libro mi piaccia. Per ora mi ha colpito con un diretto allo stomaco una questione personale.
Il padre del protagonista è mio padre.
È lui.
Veneto, alpinista, innamorato delle dolomiti, prigioniero in città, che poi scopre le montagne piemontesi e favoleggia di comprarsi una baita (cosa che poi mio padre non ha mai fatto).
Ad ogni riga mi venivano in mente ricordi e racconti a cui non pensavo da anni.
Mio padre è stato un alpinista semi professionista. In città si esercitava ai pernottamenti in parete dormendo appeso fuori dal balcone. Poi, mentre si preparava per aprire una nuova via, impresa che gli sarebbe probabilmente valsa la partecipazione a una spedizione sulle Ande, lo zaino gli si è rotto, sbilanciandolo e facendolo cadere. Tre vertebre lesionate, fine della carriera.
Tutto questo accadeva prima della mia nascita. 
Solo qualche anno dopo ha iniziato ad apprezzare davvero le montagne piemontesi, accontentandosi di escursioni meno estreme.

A differenza del padre del protagonista de Le otto montagne mio padre, per fortuna, non è mai stato carico di rabbia. Amava il suo lavoro, ma ho riconosciuto molto di lui. Pur senza quella rabbia, il sentirsi in gabbia in città c'era eccome. Come per il padre del protagonista, per il mio le Dolomiti sono un capitolo che sarebbe troppo doloroso riaprire. Quest'estate quando ero là mio padre continuava a consigliare questa o quell'escursione e a fatica gli spiegavo che anche il mitico rifugio Auronzo (quello in cui si sono sposati i genitori del protagonista) è troppo alto per una pupa di neppure un anno. Allora gli ho chiesto come mai non ci torna e lui mi ha risposto che sarebbe troppo doloroso guardarle dal basso. Preferisce il ricordo di tempi eroici e trascorsi.
Credo che come per il padre del protagonista le montagne piemontesi fossero una pagina bianca, slegate dagli antichi dolori e quindi un nuovo innamoramento era possibile.
I commenti sulla roccia, sull'altezza da raggiungere per non sentirsi soffocare li ho sentiti pari pari. Così come ho visto la trasformazione che avviene tutt'ora quando mio padre sale di quota e diventa ciarliero e sorridente. Sento la stessa passione nel condividere con me il suo amore per la montagna.

La baita, come dicevo, alla fine non l'abbiamo presa. Mio padre l'aveva già scelta, in un'alpe magnifica che oggi è parco (ora quella baita vale una fortuna, credo), il Devero. Però ci siamo trasferiti in collina, mio padre ha scoperto di amare anche i boschi ed è diventato un appassionato cercatore di funghi.

Ecco, leggendo ho pensato che sono più fortunata del protagonista, perché mio padre è fatto della stessa pasta del suo, ma con una vena di dolcezza che nel personaggio del libro non ho trovato. Una maggiore capacità di adattarsi e di godere del momento che ne hanno fatto senza dubbio un padre migliore.
Quando avrò finito il libro glielo presterò e sarà curioso sapere da lui quanto si sente simile a questo padre letterario.
Di certo mi dirà che sarebbe piaciuto anche a lui sposarsi in un rifugio.