Il cielo terso di questa foto ottobrina è solo un ricordo.
Piove, piove e ancora piove.
Oggi abbiamo quasi intravisto il sole, ma presto, dicono le previsione, pioverà di nuovo.
Il lago si sta alzando. Non insegno più alla scuola col pontile, dove l'acqua alta ha comunque qualcosa di magico, pur con tutta la sua scomodità (il lago che si alza è fastidioso, ma in sé non è pericoloso). Dove sono adesso la pioggia è solo pioggia. Anzi, può portare frane, ingorghi sulle strade e, ovviamente, tanta tristezza.
Insomma, in queste giornate d'umidità costante, preoccupazione per lo stato dei torrenti, dolori alle ossa e alle articolazioni che ricordano che sì, i vent'anni sono passati da un pezzo, tutto è più faticoso.
Ed è un peccato, perché queste sarebbero giornate anche un po' da godersi.
Ci sono cose che si stanno mettendo in moto, quando tutto sembrava fermo da un po'.
È del tutto irrazionale, ma voglio comunque pensare che un po' sia la Le Guin che mi ha portato bene.
A proposito, l'incontro a Casale, i cui contenuti vi sto riassumendo nei post tematici, mi è piaciuto molto. La biblioteca è una di quelle meravigliose biblioteche in edifici antichi, che trasudano odore di copertine di pelle e carta d'altri tempi, anche se ovviamente non manca il nuovo. Non è mancato neppure il pubblico che, per questi appuntamenti di nicchia, quando si parla di libri non nuovi e poco noti, può essere il punto dolente. Invece l'ufficio stampa della biblioteca deve aver fatto un ottimo lavoro. A dare tutto un quid in più è stata la voce di Ivo de Palma. Voce che conoscete tutti, perché ha doppiato il mondo, ma per i nati negli anni '70/'80 è letteralmente la voce dell'infanzia. Nel senso che a inizio carriera ha doppiato tantissimi protagonisti di cartoni animati. In pratica ho incontrato Mirko di Kiss me Licia e Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco (lui ha fatto millemila altre cose, ma per la mia generazione la sua voce e quella di Cristina d'Avena sono iconiche).
Al mio ritorno ho trovato nella mail una proposta per un progetto che non avevo mai inviato (solo sognato), segno che nella scrittura nulla va mai perduto e nessun invio è inutile. C'è sempre la possibilità che qualcuno parli con qualcun altro e uno scritto giri. Quindi, nella speranza che la cosa vada davvero in porto, un gruppo di racconti potrebbe aver trovato in toto una casa comune, cosa che mi fa infinitamente felice.
Sono anche in attesa di un'altra risposta, per cui tengo le dita incrociate. La attendo da un po', a dire il vero, ma in fondo in editoria nulla è rapido, ma nulla è perduto.
Sto anche terminando in mio "non più YA". Ci sto mettendo una vita perché ho poco tempo, ma la scrittura scorre, le svolte di trama sono un po' inevitabili, ma è un progetto che continua a piacermi e a rappresentare una sfida. La prima stesura dovrebbe essere pronta per Natale. Non proprio i canonici tre mesi kinghiani, ma si fa quel che si può.
Dato che è idealmente ambientato proprio tra 2019 e 2020, vi lascio con un pezzo di Novembre (forse in revisione aggiungo più pioggia).
È il due novembre. Il giorno in cui si va al cimitero a mettere i fiori sulle tombe. Sono sempre andata con mamma a sistemare la tomba dei nonni. Da piccola mi divertivo, mi affascinavano le statue del cimitero Una in particolare rappresentava un bambino su un cavallo, senza sella. Essendo la più alta, la usavo come riferimento per non perdermi tra le lapidi. A volte spuntava dalla nebbia, non mi sembrava spettrale, ma un’indicazione benvenuta. Avrei desiderato anch’io un cavallo come quello, da cavalcare a pelo e, anche se non ho mai osato dirlo, avrei voluto almeno salire sulla statua. Non ho pensato, per anni, ai motivi per cui quella statua esisteva.
Non so cosa abbia detto Maria alle zie, quelle effettive, che non mi avrebbero dato ospitalità neppure per il mio peso in oro, per giustificare la mia assenza da Novara, oggi. Beh, lei e Antonio lavorano, chi mai mi ci avrebbe portato? Le immagino là, davanti alla tomba, le zie, con i loro grandi mazzi di crisantemi in mano, a dire che è passato un anno e l’ho già dimenticata. Come se mettere un fiore reciso in un vaso cambiasse qualcosa. Serve solo a un’ora di “poverina, chissà quanto sarà dura”. E allora tanto vale passare per cinica e egoista. Mamma sarebbe la prima a dirmi di fregarmene. Mi direbbe di smettere di fare i capricci e suonare per lei. Ci ho provato, questa mattina, prima di andare al palazzetto per la gara. Debussy, Jardins sous la pluie, mi sembrava appropriato. Non è nulla di difficile, nonostante la velocità, e forse né mamma né Bach avrebbero apprezzato, ma io amo il disordine di quel periodo in cui il passato non era ancora del tutto trascorso, il futuro esisteva già tra le note e stava cercando un modo per esplodere. Non sono riuscita. Perdo il ritmo, incespico come un corridore senza fiato. Ormai, anche volendo, forse quello che ho perso non lo potrò più recuperare.