In queste vacanze di Pasqua mi sono concessa il lusso di usare del tempo per farmi ossessionare dalle storie. Storie da scrivere, storie da guardare (più che da leggere, devo ammettere), un'immersione nella narrativa non sempre facile, ma che senza dubbio mi ha fatto bene.
In questo clima di immersione intensa in mondi altri mi è successo un episodio assai curioso.
Come ho già avuto modo di raccontare qui, il racconto (racconto, ormai naviga verso le 100000 battute e potrebbe anche superarle...) che sto scrivendo non è facile, sotto nessun aspetto.
Per quanto riguarda la parte tecnica, è la prima volta che alterno in una narrazione così tanti punti di vista, cinque per la precisione, saltando come una cavalletta da una mente all'altra. Una difficoltà accentuata dal fatto che si tratta di personaggi quasi coetanei, hanno tutti tra i 18 e i 23 anni, di cui, però, vorrei far emergere le diverse personalità. Aggiungiamoci anche il fatto che si tratta di una storia drammatica e che tocca dei temi per me sensibili e avete un quadro della situazione.
Nulla di strano, quindi, se una notte io avessi sognato la mia storia, o magari una storia che stavo comunque seguendo, o un miscuglio delle cose.
Invece ho sognato una storia incentrata su cinque personaggi quasi coetanei, ma che NON ERA LA MIA STORIA.
Non solo non era la mia storia, ma era del tutto estranea al mio immaginario.
Oltre tutto continuavo a svegliarmi, riaddormentarmi, ritrovarmici dentro, con una gran fatica a capire di cosa si trattasse. Di fatto ho passato tutto la mattina di Pasqua, mentre cucinavo, a cercare di venirne a capo, poiché la trama aveva una sua logica e il personaggi un loro spessore. Ma non potevano in nessun modo venire dal mio immaginario.
La storia sbagliata si svolgeva apparentemente negli anni '20 o negli anni '30 in una città universitaria nordeuropea posta sul mare. Un luogo senza rilievi montuosi, Danimarca? Olanda?
I protagonisti erano cinque ricercatori/giovani insegnanti universitari tra i 25 e i 30 anni, quattro uomini e un'unica donna. Sicuramente tre di loro lavoravano nella stessa équipe, di una qualche ricerca scientifica (fisica? biologia? medicina?). Tutti, però, frequentavano un gruppo di lettura e questo è l'unico elemento che può venire dal mio immaginario.
Tutti e cinque erano importanti a livello della trama, ma i personaggi che ricordo meglio sono due.
La donna, riccia e castana, abita da sola con una sorella molto più giovane, preadolescente, e per motivi economici deve lasciare la propria casa sul mare, a cui è molto affezionata. Ha forse una sorella maggiore, sposata, che la invita a sistemarsi tramite in matrimonio. Così finisce per fidanzarsi con uno dei tre ricercatori che fanno parte della stessa équipe.
Questi è un tipo timido e grassoccio, innamorato di un'altra donna, bruna, a cui però non si è mai dichiarato (potrebbe essere la sorella o anche la moglie di uno dei due colleghi). Il suo apporto è fondamentale per la ricerca che stanno svolgendo, ma lui non pensa che sia così ed è schiacciato dal carisma dei due colleghi, molto affiatati tra loro. Non è davvero innamorato della donna riccia, ma è lusingato dal fatto di essere considerato da una persona di cui ha stima e per questo si fidanza con lei.
Degli altri tre ricordo meno.
Uno era leggermente più vecchio, sui 35 anni, un bell'uomo ma molto solo e con un ruolo di responsabilità, forse innamorato della donna riccia, ma impossibilitato per qualche motivo a dichiararsi (?).
Infine i due ricercatori erano amici da sempre, molto affiatati, non escludo che uno dei due fosse in realtà innamorato dell'altro, che però è sposato (con la bella bruna?), con figli e che nulla sospetta. In generale, benché siano persone di successo, hanno un animo gentile e anche il grassoccio, che invidia la loro disinvoltura e il vedersi attribuito il merito, non riesce a non stimarli.
Se deve arrivare un qualche tipo di tragedia, ho pensato, colpirà senza dubbio uno di questi due.
Il tutto aveva un'atmosfera ben definita, una tonalità virata al seppia, la città sempre nuvolosa, ma mai con la pioggia, il mare piatto e grigio (e io che pensavo "ma perché la riccia vuole tanto una casa su un mare così triste?").
Ricordo nel dettaglio gli abiti, le decorazioni degli ambienti, persino il centro tavola all'uncinetto della sala che utilizzavano per il gruppo di lettura. Il tutto mi sembrava più da film d'autore nordeuropeo che da romanzo.
Ora, il come sia arrivata una storia simile alla mie mente è un mistero.
Non ho idea di quali ricordi/suggestioni la mia mente possa aver rielaborato. Non so nulla del nord Europa degli anni '20 o '30, al punto che non so neppure scegliere con precisione il decennio, anche se sono sicura che se facessi una ricerca seria, in base agli abiti che ricordo, troverei l'anno preciso.
Non sono mai stati in Danimarca.
Non ho mai pensato, neppure di striscio, a una storia ambientata in un campus universitario prima della seconda guerra mondiale.
Il tipo di relazioni raccontato, in cui in fondo sembra che nessuno abbia ciò che desidera, ma fa del suo meglio per accontentarsi, non è per nulla quello che generalmente racconto io. Di certo non è l'accontentarsi il messaggio che voglio mandare con le mie storie, mentre qui tutto sembrava urlare "l'amore è sopravvalutato, meglio puntare a obiettivi più concreti".
So che non è possibile (credo), ma se ci fosse stato in quel momento nel mondo un'altra persona immersa in una storia con cinque punti di vista e ci fossimo scambiati i sogni?
Chissà, uno sceneggiatore danese, risvegliatosi sognando falchi e omicidi in un ambiente dall'aspetto scandinavo?
E questo, in fin dei conti, è già il possibile inizio di un'altra storia.