mercoledì 30 aprile 2014

La letteratura ha il dovere di turbare

Ieri sera ho letto il giornale tardi e quindi sono stata colpita a scoppio ritardato dalla notizia di due insegnanti denunciate per un libro fatto leggere ai propri alunni.
Come prof e scribacchina la notizia mi colpisce come una fucilata. Approfondisco.

Semplifico quanto ho capito, facendo riferimento principalmente agli articoli apparsi su La Stampa del 29 aprile.
Due docenti sono state denunciate per "oscenità" e "corruzione di minori" (mica briscolini) per aver fatto leggere all'interno di un laboratorio di lettera un libro, Sei come sei, scritto dall'autrice premio Strega Melania Mazzucco ed edito da Einaudi. 
Premetto di non aver letto il libro in questione, ma conosco abbastanza autrice e casa editrice per essere ragionevolmente sicura che non si tratti di pornografia, si parla di una scena (a pag. 126, mi conferma l'articolo) di sesso gay, ma non è questo il punto.
Il punto è che dei genitori hanno denunciato, con accuse pesanti, due insegnanti di liceo classico (non elementari) ree di aver fatto leggere un romanzo che avrebbe turbato i ragazzi.

Da quanto ho capito dagli articoli, i professori non hanno imposto la lettura agli alunni, ma l'hanno suggerita come preparazione a un laboratorio. Conosco molto bene come prof e come autrice questo modo di fare. Generalmente si sceglie appositamente un romanzo su un tema controverso per suscitare un dibattito tra i ragazzi e spesso il percorso termina con l'incontro con l'autore. 
Io insegno alle medie e in una delle mie scuole quest'anno ci sono andati giù pesanti con un progetto simile, scegliendo un romanzo sulle patologie mentali che raccontava il disagio di un ragazzo figlio di una madre affetta da tali problemi. 
Nell'altra scuola è stata scelta la biografia di una ragazza che ha avuto la salute rovinata dall'assunzione di droga.
Si tratta di due romanzi volutamente pesanti, che affrontavano temi controversi e che hanno costretto i ragazzi a confrontarsi con situazioni complicate e disturbanti. 
Per nostra fortuna nessun genitore ha pensato di denunciarci.

Ovviamente io non conosco la situazione specifica della scuola della denuncia, né l'agire delle docenti, che forse hanno commesso delle leggerezze e quindi mi limito a fare un discorso più generale.

La letteratura ha il dovere morale di turbare
Leggere significa accostarsi alle tematiche con calma, senza i ritmi sincopati della televisione, apporre la mediazione della propria mente. Leggere significa guardare il mondo da altri occhi, scoprire realtà sconosciute e affrontare problematiche nuove.
Come prof, spesso e volentieri consiglio dei libri proprio perché voglio che i miei alunni ne siano turbati, addirittura sconvolti. Se questo è un uomo è un classico esempio di libro da leggere per esserne turbati e disturbati nel profondo. È un viaggio doloroso, ma spesso indispensabile per capire che certe realtà sono esistite davvero.
Come lettrice, sono inciampata nel mio bel numero di letture disturbanti. La cosa curiosa, ripensando alla me stessa adolescente, è che il grado di turbamento provata ha influito molto poco sull'apprezzamento dell'opera.
Chi legge questo blog sa ad esempio che adoro Sherlock Holmes, ma a 11 anni, con una conoscenza solo edulcorata del personaggio sono rimasta traumatizzata dall'inizio e la fine de Il segno dei quattro. L'idea che quello che consideravo un eroe fosse in realtà un drogato incapace di disintossicarsi e l'assoluta impotenza del suo migliore amico che per una dipendenza ha già perso il fratello mi hanno straziato.
A 13 anni, essendo una ragazzina sveglia, ho capito subito cosa accadesse tra i monaci dell'abbazia de Il nome della Rosa. Ricordo che la cosa mi aveva scosso abbastanza.
L'anno dopo sono rimasta turbata dalla disinvoltura con cui la signora Bovary tradiva il marito.
Ho amato molto i primi due romanzi e ben poco il terzo.
In retrospettiva posso dire non che sono cresciuta serena nonostante questi turbamenti, ma che sono cresciuta consapevole proprio grazie a questi turbamenti letterari.
Senza essermele andata a cercare, sono inciampata nelle miei buone scene di sesso prima di aver dato il primo bacio e non mi sembra che questo abbia influenzato molto il mio comportamento se non, anche qui, per una maggiore consapevolezza.
Quindi davvero qualcosa mi sfugge. Come la lettura di un libro Enaudi (che ancora una certa garanzia di qualità la da) possa rappresentare "corruzione di minori" non mi è chiaro per niente. Immagino si tratti di minori che non vivono in una campana di vetro, ma accedono a programmi televisivi e telematici dove violenza, sesso e volgarità la fanno da padrone.

Oggi, sempre su La Stampa, un lettore commentava che di sicuro le prof hanno sbagliato. Era meglio che si limitassero a far leggere i classici.
Al che mi è venuto un po' da ridere. Perché il sospetto forte che mi è venuto dalla lettera di tutta la vicenda è che la fonte del turbamento sia stato dovuto non alla presenza di una scena di sesso in sé, ma a una scena di "sesso gay". Tematica che gli alunni di liceo classico sicuramente non troveranno nei classici come Saffo e Alceo...
E, comunque, una delle letture più inquietanti che io abbia mai fatto è Tucidide. 
La freddezza con cui gli ateniesi decidono lo sterminio degli abitanti di Melos lascia una sensazione di orrore per l'umanità che non va più via.
Anche allora, nel V secolo a.C, Tucidide sapeva che il suo dovere di letterato era turbare.

lunedì 28 aprile 2014

Sull'isola della mia giovinezza


Dopo oltre dieci anni sono tornata in Corsica
Per me la Corsica ha ben poco a che fare col binomio mare/sole.
Ho vissuto a Corte, nel centro dell'isola dal settembre 2001 al gennaio 2002 quando, grazie al programma Socrates/Erasum, ho potuto studiare presso l'università Pasquale Paoli.
La Corsica, quindi, per me non è terra di turismo o d'estate. Quella che ho conosciuto è un'isola di paesaggi sconfinati, dura e bellissima da vivere, abitata da gente coriacea, resistente come gli ulivi secolari. Una terra di cui innamorarsi pian piano, che non si svela volentieri agli occhi estranei, ma che è pronta a ricompensare la perseveranza e il desiderio di capire.
Avevo un po' paura a tornarci. 
Mi ero ripromessa di non andarci mai nel pieno della stagione turistica, perché quella non sarebbe mai stata, né avrebbe potuto essere la mia Corsica, ma anche adesso avevo paura di trovarla snaturata.

In questi oltre dieci anni la Corsica è cambiata, ovviamente. Quasi tutti i paesi di mare hanno raddoppiato la loro estensione e il turismo ha conquistato tutto il litorale, non solo le roccaforti a cui un tempo era relegato. Eppure è bastato davvero poco per ritrovare l'Isola della Mia Giovinezza.
Le cose che più avevo amato, le ho ritrovate tutte:

- La generale sensazione di cura e pulizia.
L'aria ha un odore diverso in Corsica, lo diceva già Napoleone. Profuma di pulito. Un pulito che non è dovuto solo all'assenza di industrie, ma anche alla cura del territorio. C'è povertà, a volte, in Corsica, ma non ho mai trovato incuria.

- I falchi.
Credo non ci sia posto in Corsica in cui, alzando gli occhi al cielo, non si vedano sempre almeno due falchi. Basta cercali e loro sono lì, a vigilare su di noi.

- I sapori.
Sarà banale, ma in Corsica si mangia benissimo. Con gli animali che pascolano in semi libertà nel maquis, la lussureggiante macchia mediterranea, carni e formaggi non possono che essere deliziosi. E il Muscat di Patrimonio è in assoluto la cosa migliore che io abbia mai bevuto

- La lingua e la gente
Il corso discende in gran parte dall'italiano medioevale. Nel nord è forte l'influenza toscana. A volte ho l'impressione che nella lingua dei vecchi corsi ci sia un'eco della voce di Dante.
La gente è spesso dura, diffidente, con problematiche a volte difficilmente comprensibili dall'esterno, ma è piena di saperi antichi e di passioni che è pronta a regalarti non appena capisce che l'interlocutore ha verso di essi un vero interesse.

Quindi andate in Corsica. Se potete, non andateci d'estate. Se potete, andateci con calma. Prendetevi il tempo per uscire dagli itinerari più battuti. Basta una manciata a volte risibile di chilometri per passare dal turismo di massa a luoghi segreti e antichi.
Se potete, andateci in primavera e i fiori della macchia vi ripagheranno di ogni fatica


mercoledì 23 aprile 2014

La giornata del drago - i migliori draghi della mia vita

I draghi, si sa, attualmente è più facili trovarli nelle pagine dei libri, nascosti tra parole e inchiostro, che in cima a una montagna o in riva a un lago. La colpa è un po' dei santi come Giorgio, che viene ricordato oggi, e un po' della timidezza dei draghi stessi. La terra da cui sto scrivendo ora, in trasferta, ad esempio, sembra non aver mai conosciuto draghi.
Nella mia vita di lettrice, però, di draghi ne ho incontrati parecchi. Questi due sono i miei preferiti.

Kalessin - appare ne La spiaggia più lontana  e poi in Tehanu (in Italia L'isola del drago) della mia amata Le Guin. È il più antico dei draghi, un drago come tutti i draghi dovrebbero essere.
Non si può spiegare un drago, dice la sua autrice, un drago è.
Il drago è esistenza allo stato puro. Non "fa cose". Gli uomini scelsero di fare, di creare e di dare nomi alle cose. I draghi scelsero la libertà, il fuoco e il vento. Libertà, fuoco e vento è ciò che sono. Parlano la lingua della creazione senza doverla imparare e volano su questo e sugli altri venti, cantando.

La ragazza nel drago - in generale Robin Hobb è una magistrale scrittrice di draghi. Nella sua Saga dell'Assassino ci sono due tipi di draghi. Ci sono i grandi draghi, che nascono dalle uova, si trasformano in serpenti marini, poi fanno il bozzo e rinascono come più tradizionali rettili alati. Ci sono tuttavia anche delle sorta di statue a forma più o meno di drago, in cui gruppi di maghi hanno inserito i propri ricordi fino a fondersi letteralmente con esse. Queste statue possono essere richiamate alla vita per brevi periodi come creature probabilmente immemori della loro passata esistenza umana. La ragazza nel drago è una statura incompiuta in cui, alla fine, una delle maghe che l'aveva scolpita, non aveva voluto rinunciare alla propria identità. Trasformatasi in roccia, dava l'impressione di cavalcare il proprio drago, me ne era in realtà parte e allo stesso tempo era ciò che rendeva quel drago imperfetto e non in grado di essere riportato in vita. Sia Fitz che Il Matto regaleranno qualcosa di loro alla Ragazza nel Drago, permettendole di volare per ben due volte.

venerdì 18 aprile 2014

Disavventure pre pasquali

(Tutto è bene quel che finisce bene)

Mercoledì 9 aprile mia madre è stata ricoverata per una serie di analisi preventivate da un po'. 
All'inizio si era parlato di fare tutto in giornata, poi si era optato per un ricovero di 2/3 giorni.
Ovviamente il posto letto si è liberato nel tour de force consigli di classe-collegi docenti-colloqui con genitori, ma questo era il minimo.
L'ospedale è un po' lontano da casa (un'oretta abbondante d'auto), ma in compenso è nuovo, molto confortevole e già conosciuto perché mio padre aveva già avuto modo di soggiornarvi.
Ricovero, primo giorno di analisi, tutto bene. Secondo giorno di osservazione, tutto bene. Terzo giorno, risonanza magnetica e poi a casa. Il macchinario si guasta. 
Sembra davvero, davvero difficile da aggiustare.
Passano i giorni.
L'esame è indispensabile, per cui si aspetta.
Lo aggiustano.
Tutte le urgenze sono, ovviamente, urgenti e nei giorni d'attesa se ne sono accumulate un po'.
Quando finalmente è il turno di mia madre, il suo medico, nonché primario è dovuto partire per un convegno. Quindi ci sono i risultati, ma non il medico che li dovrebbe leggere e valutare. 
Ieri sera attendiamo notizie fino a quasi notte, con infermiere che paventano un'orami imminente Pasqua in ospedale. Mio padre inizia ad essere comprensibilmente stanco per il continuo via vai casa-ospedale, cosa che non migliora il suo proverbiale ottimo carattere. Io sono comprensibilmente stanca per il tour de force scolastico, il supporto domestico e il poco via vai (quando per tre giorni di seguito si passano dodici ore a scuola c'è poco altro che si possa fare), cosa che non migliora il mio proverbiale ottimo carattere.
Iniziamo a pensare a un rapimento.

Oggi, in un coro di voci angeliche che solo io potevo sentire, è finalmente tornato il primario. Risultati guardati, lettera di dimissioni pronta in sole quattro ore. 
Mia madre è stata in ospedale dieci giorni esatti.

Ora non mi resta che augurare a tutti una serena Pasqua.

Il blog si prende qualche giorno di pausa e Tenar, salvo nuovi imprevisti, ha in programma di fuggire il più lontano possibile.

mercoledì 16 aprile 2014

Caprette!


Purtroppo la foto (per cui ringrazio Sara) non è ottimizzata per il blog.
Io non sono ancora andata a vederle e, visto come si stanno mettendo le cose, ancora per un po' non potrò andare.
Oggi colloqui fino alle 20. Devo dire, però, che ne sono uscita serena e soddisfatta come non mai e per l'occasione eviterò qualsiasi parallelismo caprette-alunni.
A volte anche i cuccioli d'uomo danno soddisfazioni

lunedì 14 aprile 2014

Nuovi arrivi


Le vacanze di Pasqua devono essere raggiunte attraverso una slalom tra collegi docenti, incontri con i genitori e altre incombenze variamente (e malamente) assortite.
Questo, però, è il periodo dei coniglietti e noi abbiamo preso la tradizione alla lettera. Il nuovo arrivato è Totoro, che dopo due giorni si è ambientato abbastanza da farsi fotografare fuori dalla tana. Per ora deve solo imparare a non aver paura di noi. Non sa che mio suocero gli sta preparando una vera e propria reggia con parco e che il Nik vuole organizzargli una carriera da gigolò. Abbiamo infatti scoperto che i locali allevatori di conigli, per evitare la consanguineità nella loro conigliera, si scambiano e noleggiano i maschi tra loro. Bello come promette di diventare Totoro, potrebbe aspettargli un'agenda molto piena!
Non ho potuto fotografare, invece, le caprette dello zio, nate ieri. Per oggi era atteso un altro lieto evento (sempre caprino), ma non ho avuto notizie. A maggio dovrebbero nascere gli asinelli.
Sono anche arrivate le api nuove del Nik, montagnine e combattive. Sia il Nik che suo padre hanno già avuto il "battesimo del pungiglione".
Il Nik, poi, continua a dire di volere un maialino (che chiamerebbe Kevin Bacon). Voi capite che in un qualsiasi altro contesto sembrerebbe una battuta, ma considerata la mia vita, il terrore di arrivare a casa e trovarmi Bacon grugnente sul divano insieme al persiano è concreto!

sabato 12 aprile 2014

Scrittevolezze - Scrivere gialli


Dato che il nuovo arrivato il famiglia, il coniglietto Totoro è ancora troppo timido per farsi fotografare e il fiore invece non poteva scappare, oggi parliamo di gialli.

Premessa necessaria.
Non sono così sicura di saperlo scrivere, un giallo. LA ROCCIA NEL CUORE è stato rifiutato da un editore specializzato perché "non del tutto un giallo" e scelto da Interlinea perché "non del tutto un giallo". Poi però vado alle presentazioni e mi sento dire "proprio un giallo classico!" e quindi sono un po' confusa. Non ero del tutto convinta che fosse un giallo il racconto pubblicato su Giallo Mondadori, mentre quelli che trovate il DELITTI D'ACQUA DOLCE e in GIALLO LAGO almeno a me sembrano più gialli. Continuo ad essere in dubbio, quindi, sul fatto se io sappia o no scrivere un giallo, ma so che mi piace e so cosa ci dovrebbe essere in un buon giallo.

PERCHÈ MI PIACCIONO I GIALLI
Perché costruiscono subito un punto tra autore e lettore, un gioco che occupa alla pari due giocatori. Lo scrittore pone un enigma, che il lettore deve risolvere. Il lettore è soddisfatto se lo risolve appena una riga prima che l'autore gli proponga la soluzione. Se questa arriva a pagina 10 entrambi perdono. Se questa non convince del tutto il lettore, di nuovo entrambi perdono. L'autore di gialli scrive per lettori intelligenti, per un pubblico di cui, ci si augura, fa parte e quindi l'incontro è alla pari.
In più l'autore può usare il gioco come ponte per portare il lettore dentro una storia che da solo non avrebbe cercato. Facendoci andare a caccia di un assassino di monaci, U. Eco ci ha raccontato tutta la storia delle eresie medioevali!

COSA DEVE ESSERCI IN UN BUON GIALLO?

- Un buon delitto
I giallisti, almeno sulla carta, sono tutti degli assassini. 
Non so se valga per tutti ma io, almeno, scrivendo un racconto giallo parto dal delitto. Chi ha ucciso (o derubato, o tentato di uccidere) chi e come. 
Il delitto deve essere plausibile. Ricordiamoci che il lettore di gialli è tutt'altro che uno sprovveduto, è intelligente e acculturato. Se in un serial televisivo la velocità non ci permette di cavillare e qualche implausibilità è più scusabile, sulla carta no. 
Quindi la prima regola, secondo me, è che il delitto sia un buon delitto. Se c'è un veleno che sia davvero un veleno, se c'è un colpo mortale che sia effettivamente possibile infliggerlo con quel risultato e così via.
Se questa parte vi crea raccapriccio, coraggio, ci sono tanti altri generi letterari che vi aspettano, forse il giallo non fa per voi. E, in ogni caso, rassicuratevi, da che scrivo gialli non sento aumentati i miei istinti omicidi. Al massimo sono meno sprovveduta su un'eventuale (improbabile) messa in atto...

- Documentarsi sempre e comunque
Proprio per i motivi di cui sopra, non si può essere approssimativi. Il delitto richiede precisione e accuratezza. Sul mio comodino c'è La gestione della scena del crimine, ho la mail di un medico legale, ho un farmacista a portata di mano e mercoledì sono stata felicissima di incontrare una vera criminologa. Stessa accuratezza va riservata alle procedure mediche, scientifiche e di indagine.
Ricordate che anche poliziotti e carabinieri leggono i gialli e non amano che il loro lavoro sia descritto in modo maldestro.

- Non sono una detective story, ma anche la storia di un detective
Rubo la frase agli sceneggiatori di SHERLOCK per esprimere un concetto solo in apparenza banale. Una storia è sempre la storia di qualcuno. Quel qualcuno difficilmente è la vittima, solo di riflesso il colpevole, molto spesso è chi indaga. Chi indaga non può essere interessante solo perché indaga. Deve essere un personaggio di cui il lettore si innamora, di cui il lettore seguirebbe volentieri le vicende ben oltre l'indagine. Come tutti i protagonisti, deve starvi a cuore. 
Però deve anche indagare.
Deve essere quindi un membro delle forze dell'ordine o un privato cittadino che, per un qualche motivo (ricordate la parola chiave? Per un qualche motivo plausibile) si improvvisa detective.
Attenzione: abbiamo visto ormai mille mila detective, ispettori, commissari, vice questori aggiunti, marescialli, ma anche preti investigatori, professori investigatori, studenti investigatori, musicisti, filosofi, taxisti... Quindi il nostro deve essere speciale e distinguersi da tutti gli altri.

- Non sempre il delinquente muore o viene arrestato
Però nel giallo, al contrario che nel Thriller o nel Noir al lettere va comunque data una spiegazione. La fatica del lettore deve essere premiata con la verità. Il nostro detective può essere sconfitto, ucciso, ingannato, non importa, ma il lettore deve comunque venire a sapere chi era il colpevole. È una questione di rispetto nei suoi confronti. Così come è rispetto creare una partita leale in cui al lettore vengano forniti tutti gli indizi per risolvere l'enigma.

- Un linguaggio semplice, ma non banale
Parliamoci chiaro, un giallo si legge in treno, sotto l'ombrellone, in sala d'aspetto. Nessuno si aspetta grande letteratura. Questo non vuol dire che la scrittura debba essere sciatta, anzi. Qui la parola chiave è scorrevolezza. Deve essere un scrittura che non affatichi e che invogli ad andare aventi. La ricerca stilistica è quindi la benvenuta, purché non sia fine a se stessa. Il lettore legge per trovare l'assassino, non per applaudire a un virtuosismo stilistico dell'autore. Se però l'autore scrive bene, con uno stile riconoscibile, il lettore sarà anche più contento. Ricordiamo sempre che il lettore di gialli è un lettore colto e non gli piace essere maltrattato dalla prosa.

- Contaminiamo senza paura
Il giallo è il genere che più si presta a contaminazioni. Secondo me, ad esempio, la saga di Harry Potter ha principalmente la struttura del giallo. È un giallo Il nome della Rosa. Ma sono gialli, secondo alcuni, anche certe tragedie di Sofocle, come l'Edipo Re e l'Aiace. 
Il giallo c'è sempre quando c'è un mistero da risolvere. Intorno ci può essere tutto quello che volete e che sapete metterci.

Qualche giallo che mi è davvero piaciuto
(tralasciando per una volta, il mio amato Sherlock Holmes)

Milioni di Milioni - Marco Malvaldi
Semplicemente delizioso

Fred Vargas per me è un mito e tre indagini di Adamsberg sono meglio di una

Dritto al cuore - Elisabetta Bucciarelli
Il titolo dice già tutto quello che penso sul romanzo

Una serie medioevale che mi ha traghettato dall'infanzia all'età adulta, ma che rileggo sempre con piacere.


mercoledì 9 aprile 2014

20 curiosità sulla mia scrittura


Giornata interessante, quella di oggi, con tanto di giornalista del Corriere ospite alla Scuola col Pontile, ma pesantella sotto tanti punti di vista. Quindi rubo lo spunto dalla sempre ottima Anima di Carta, che a sua volta l'aveva rubato all'altrettanto ottimo Daniele (con l'approvazione di quest'ultimo) per raccontarvi senza un filo logico né pretese di alcun genere, 20 curiosità sulla mia scrittura.
Si parte!

1 - Salvo cause di forza maggiore, scrivo tutti i giorni. Non credo vogliate sapere quanti romanzi e quanti racconti ho nel cassetto...

2 - Gli errori/orrori ortografici sono sempre dietro l'angolo. Chi pensa che la dislessia non esista può venire da me e guardarmi scrivere, è un apparire ovunque di tratteggio rosso. Poi si corregge. Quasi tutto.

3 - Sono diurna. Posso scrivere al mattino, nel mezzogiorno, al pomeriggio, alla sera, ma dopo le 22 quel poco di capacità sintattica che possiedo fugge da Morfeo.

4 - Il meglio è scrivere sulla poltrona Ikea con poggia piedi e musica di sottofondo di cantautore italiano. Se però di sottofondo c'è la tv guardata dal marito me ne faccio una ragione.

5 - Sono l'antitesi di qualsiasi poeta maledetto. Mai provata una sigaretta, figuriamoci una canna. Già l'Aulin mi dà effetti psicoattivi, non voglio immaginare il resto! Eppure di trame deliranti ne tiro fuori a raffica.

6 - A volte scrivo esclusivamente per me, storie che in quel momento vorrei leggere o che so che vorrò leggere nei momenti di depressione. Rimangono mie, segrete, e sono quelle più amate.

7 - Ho sempre la sensazione che i miei personaggi esistano, da qualche parte. Mi fanno il favore di ospitarmi saltuariamente nella loro testa e mi fanno osservare le loro vite. Per questo non mi sento in colpa quando accadono loro cose terribili. Succede, non è colpa mia!

8 - Scrivo (anche) gialli: se dico a qualcuno come lo ucciderei non è che lo voglia fare davvero, è solo un interesse professionale (idem se parlo di veleni, lame, torture e similia).

9 - A volte sogno delle trame precise. Uno dei racconti che mi sembrano meglio riusciti del 2013 è stato interamente sognato, dall'inizio alla fine.

10 - Amo mettere ogni tanto parole particolarmente ricercate nei miei testi, specialistiche o arcaiche. Mi sento realizzatissima quando lo faccio, anche se di solito mi sforzo di scrivere nel modo più comprensibile possibile. Le tre parole che mi hanno dato più piacere sono state: transuente, flabello ed eliotropismo.

11 - L'avverbio in -mente per me è come il burro, si sa che fa male, sia sa che bisogna usarne il meno possibile, ma è tanto buono.

12 - Padre Marco, il protagonista de LA ROCCIA NEL CUORE, una volta era un eroe fantasy. Non so come sia stato possibile, ma nella mia testa è chiaro che si tratta proprio dello stesso personaggio del mio primo tentativo di romanzo.

13 - Ho iniziato a scrivere per pura noia. Ero studentessa fuori sede in attesa di coinquilina, senza tv e senza connessione internet. Ma avevo un computer, la mia rovina.

14 - Ho continuato a scrivere perché ho scommesso con mio padre che avrei smesso se non avessi vinto il concorso indetto dall'Università. Se invece avessi vinto, lui mi avrebbe pagato la cena nel miglior ristorante del paese.

15 - Per anni ho partecipato a un concorso letterario sbagliando le modalità di invio. 

16 - Se mio marito non mi avesse obbligato non avrei mai spedito niente a nessuno.

17 - Inciampo continuamente in bellissime storie. Penso di avere la caratteristica di attirare stranezze e quindi storie. Se possiedo un talento, è questo. Una volta ho partecipato a un progetto che prevedeva di intervistare degli anziani in delle case di riposo e scrivere dei racconti a partire dai loro ricordi. Alcune mie colleghe dopo svariate sedute hanno ottenuto solo parziali ricette per i tortellini. Io ho trovato una signora che durante la guerra lavorava per una contessa che nascondeva i partigiani.

18 - Non mi spiace scrivere su commissione, anzi, per i racconti, avere un tema e una lunghezza pre impostanti mi aiuta.

19 - Non è vero che sono distratta. È che vivo contemporaneamente i più mondi, quello tangibile e quelli (più d'uno) in cui si ambientano le mie storie. Non li immagino, ci vivo proprio. Ed è per questo prendo dentro negli spigoli, là dov'era la mia mente, lo spigolo non c'era.

20 - Ho sempre più idee che tempo per raccontarle. I personaggi arrivano, prendono il numero, come dal salumiere e aspettano che io abbia tempo di ascoltare cos'hanno da dire.

BONUS: sono da sempre convinta e lo sarò sempre che ascoltare e raccontare storie sia tra le cose che ci rende umani.

lunedì 7 aprile 2014

Scrittevolezze - Scrivere un racconto a tema


Non so quanto sia comune nell'esperienza di altri scribacchini o aspiranti tali, ma a me capita ed è capitato piuttosto spesso di dover o voler scrivere su un tema dato.
Una delle collaborazioni che ricordo con maggior affetto è stata quella col programma radiofonico SIAMO IN ONDA per il quale bisognava scrivere un racconto di una cartella (max. 2000 battute) inerente al tema della puntata. Per quanto prima dell'inizio della stagione gli autori avessero la possibilità di indicare dei temi preferiti, alla fine ti trovavi comunque davanti alla pagina bianca, con una scadenza imminente e una tematica da affrontare.
Anche i concorsi letterari impongono spesso un tema o comunque dei vincoli, di genere letterario, di ambientazione o altro. Ho partecipato due volte a SFIDA, il concorso riservato ai ex finalisti del Trofeo Rill. Il primo anno la "sfida" consisteva nello scrivere un racconto fantastico contenente almeno tre di cinque elementi assegnati (nel caso erano: Ulisse, tartaruga, "un posto pieno di neve", kukri - coltello nepalese e una citazione da Tiziano Terzani. Per la cronaca, li ho messi tutti), l'anno scorso invece il vincolo era nel titolo e quindi nella tematica: "La conquista". In attesa di SFIDA di quest'anno, sono stata contattata per una collaborazione e anche in questo caso si tratta di scrivere un racconto su un tema dato.
A me non dispiace procedere in questo modo. 
È ovvio che scrivere a tema sia, anche, un vincolo alla nostra libertà di autori, ma è un vincolo che si può girare a proprio vantaggio.
Per scrivere un racconto ci vuole un'idea e le idee a volte nascono da sole, a volte vanno inseguite. Una delle tecniche di "inseguimento" delle idee più semplici è prendere un foglio bianco, scrivere al centro una parola chiava e poi a casaccio tutto intorno quello che ci viene in mente. Poi si iniziato a tirare le frecce, individuare nessi logici. Con un po' di pazienza da un foglio nascono una o più storie. Se devo scrivere a tema, semplicemente, ho già la parola chiave da cui partire e per certi versi questo mi semplifica, non mi complica, il processo creativo.
Inoltre è come se mi si ponesse una domanda precisa: 
che cosa hai da dire DI IMPORTANTE su questo argomento?
Scrivere, per certi versi, è una questione di etica.
Quindi, se mi viene data l'opportunità di dire la mia su un dato argomento, non voglio sprecarla. C'è qualcosa che ho da dire di mio, di importante su di esso?
Visto così, il racconto a tema è una straordinaria opportunità. 
Non credo sia un caso che i due racconti usciti da SFIDA, Ulisse e la tartaruga e La conquista, siano tra le cose più personali che abbia scritto. Se non ci fosse stata l'occasione del racconto, forse, queste storie non sarebbero mai nate, eppure sono profondamente mie.
Infine, procedere in questo modo, allena il cervello alla "caccia alle idee", da un racconto ne nasce un altro, da una prima storia una seconda e si impara che a volte il blocco creativo si vince semplicemente ragionando su una singola parola.

Nella pagina "liberi nella rete", qua sopra, trovate alcuni dei miei racconti scritti per SIAMO IN ONDA, che, se vi va, potete leggere gratuitamente. Ognuno di essi aveva un tema da cui è stato elaborato:
Altri alfabeti  - tema: ALFABETO
Cibo color delle nubi - tema: PANE
Finto vero - tema: FINTA PELLE
Il destino di essere Romeo - tema: MASCHERA
La notte più lunga - tema: SOLSTIZIO
La risposte della luna - tema: LUNA
la storia fatta con i piedi - tema: PIEDI

sabato 5 aprile 2014

Aspettando il mio kindle

Da archeologa (in disarmo) che vive nel costante rimpianto di aver mancato di svariati millenni l'Età della Renna, quando ci si nutriva, appunto, di renne e mammut e si dipingevano le caverne, arrivo sempre tardi alla tecnologia. Oltre tutto le ultime innovazioni che la mia mente riesce a comprendere in pieno sono la pietra levigata, il tornio e il telaio. Per tutto il resto immagino, all'interno, una schiera di demonietti che fanno funzionare tutto a pedali, come accade nei libri di Pratchett.
Insomma,  molto rilento, ho infine ceduto al richiamo dell'e-reader. 
Proprio adesso che l'ho fatto, leggo in giro post su post incentrati sullo scontro tra libro cartaceo ed e-book, con una grande confusione generale.
C'è chi accusa il lettore di e-book di uccidere il libro. 
Fermi tutti! 
Io sono una così detta "lettrice forte", una che acquista in media un libro alla settimana e ho ordinato l'e-reader con un solo scopo: leggere di più.
Un libro cartaceo è per sempre. Ha un odore peculiare, dona una sensazione tattile, può essere annotato, sottolineato. Col tempo prende un aspetto vissuto che te lo fa sentire più tuo, parte di te. Prenderlo in mano dona un piacere fisico che nessun e-rider potrà mai uguagliare.
E allora perché ne ho ordinato uno?
- Per la possibilità di acquistare racconti a uno a uno. Secondo me il racconto è perfetto per il formato digitale. Un racconto lo si può ragionevolmente far pagare intorno all'euro e ha una lunghezza che ben si adatta a riempire i tempi morti. Acquistare un'antologia a 20€ significa spesso acquistare anche racconti che non mi interessano, poter scegliere singolarmente 20 racconti mi attira assai di più. Molte case editrici si stanno muovendo in questo senso. Per varie ragioni quella che seguo di più è Delos, con i suoi racconti digitali del martedì. È vero che li posso leggere anche sul pc o sul tablet, ma alla lunga su questi supporti stancano gli occhi. I miei primi acquisti saranno sicuramente i racconti di sherlokiana che mi mancano.
- Acquistare e-book di piccole case editrici con problemi di distribuzione. Quelle che non riescono ad arrivare alla libreria di fiducia. Potrei farmi spedire il cartaceo, è vero, ma l'idea di fare un clik e poter leggere il libro poco dopo devo dire che mi attira.
- Acquistare dall'estero. Da brava dislessica leggo principalmente in italiano, ma col francese me la cavo. Sto ancora aspettando adesso un romanzo francese ordinato prima di natale. Meglio l'e-book!
- Libri di cui non sono del tutto convinta. L'e-book costa meno del cartaceo e quindi qualche acquisto compulsivo in più mi scapperà. Se poi mi dovessi innamorare, non ho dubbi che andrei a recuperare anche il cartaceo da mettere in libreria.
Questo mi farà frequentare meno le librerie? Ne dubito. Nonostante il kindle in arrivo, oggi ho comprato senza alcuna premeditazione Il mio amato brontosauro, che mi ha conquistato nel giro di tre righe, quindi direi che il problema non sussiste.

Da autrice, poi, non vedo proprio il problema. A ottobre il mio romanzo dovrebbe uscire sia cartaceo che digitale. Che il lettore scelga liberamente, l'importante è che i libri vengano letti!

giovedì 3 aprile 2014

Leggendo i classici


Come avevo raccontato qualche post fa, dopo alcune delusioni librarie mi sono buttata sui classici, che costano pure meno, portandomi a casa a € 14 totali sia Cuore di Tenebra che Emma.
Ma come si legge un classico, oggi?
Io pretendo di leggere un classico esattamente come un qualsiasi altro libro, con la motivazione per cui leggo qualsiasi altro libro: perché mi appassiona.
Almeno in un primo momento non me ne frega niente di chi sia l'autore, del perché lo abbia scritto o del contesto storico, voglio delle pagine che si facciano leggere per il puro gusto di sapere cosa accade dopo.
Voglio potermi fidare di ciò che mi è raccontato, voglio cioè che l'autore mi racconti una storia che secondo lui valga la pena di essere raccontata. Non voglio che mi faccia la morale o che mi spieghi come devo pensare. Può, se vuole, accompagnarmi attraverso un percorso che susciti delle riflessioni, ma non voglio che rifletta lui per me.
Voglio che il testo basti a se stesso, non che mi faccia sentire stupida o ignorante perché non conosco questa o quest'altra opera. Può farmi venir voglia di leggere altro, ma non impormelo.

Il problema è che non è facile approcciare così un classico. Il solo fatto di averli studiati a scuola genera tutte quelle sovrastrutture che io, almeno nel mio primo incontro col testo, voglio evitare. Per questo, dato che al liceo ho studiato francese e quindi letteratura francese, è più facile che mi avvicini a un classico inglese. Ho letto l'Amleto a quattordici anni senza sapere altro se non che si ambientava in un castello e che c'era un fantasma. Ancora adesso amo tantissimo l'Amleto.
Voglio poter essere io, se mai, dopo, a cercare informazioni e approfondire. Per quel poco che si fa letteratura alle medie, cerco di usare questo approccio anche con i ragazzi, farli incontrare con il testo senza troppe informazioni e farlo interpretare a loro. Può anche capitare, facendo così, di sentirsi dire che la poesia che più li ha commossi sia stata "In morte del fratello Giovanni" di Foscolo che di solito non è considerata proprio il massimo della fruibilità (quest'anno, devo dire, è andata forte anche "A Silvia" che è stata preferita a "L'Infinito").

Cuore di Tenebra e Emma hanno svolto (Emma sta ancora svolgendo) bene il proprio ruolo.

Nessuno potrà smentirmi se dico che Cuore di Tenebra è un horror, o meglio, è un racconto sull'orrore e come tale l'ho letto. 
Ho sentito tutto il disagio di Marlow durante il proprio viaggio, dai vaghi accenni sulla follia del medico, fin tutta la risalita del fiume. Ho pensato che il fiume poteva essere ovunque e che col colonialismo questa storia aveva poco a che fare. Marlow stesso all'inizio immagina un altro se stesso di epoca romana che risalga il Tamigi animato dalle stesse inquietudini che lui ha provato sul Congo. La follia, dopo tutto, si annida non nell'animo selvaggio dei nativi, ma dalla mancanza delle regole a cui gli europei sono abituati. Un mix pericoloso di costante presenza della morte, sotto forma di malattie striscianti e misteriose, e senso di onnipotenza dato dall'assenza di un controllore riconosciuto. È questo che trasforma Kurtz.
Mi ha colpito inoltre quanto sia sempre affascinante e ambiguo il male, nell'ottocento. Nei romanzi ottocenteschi sono sempre gli uomini ottimi, intelligenti e animati dai sentimenti migliori quelli da temere. Dal dottor Frankestein a Jekyll fino, appunto, a Kurtz abbiamo tutta una serie di ottime persone che vorrebbero diventare anche migliori, finendo poi per sprofondare in loro stessi. A sopravvivere sono i Marlow, i comuni, un po' ottusi, che ci danno sempre la sensazione che, avendone avuta la possibilità, sarebbero stati anche peggio.

Di Jane Austen mi piace la prosa. 
Potrebbe raccontarmi qualsiasi cosa, anche niente, per pagine e pagine e pagine e io la leggerei. Di lei amo l'ironia garbata con cui analizza il proprio mondo. Sa come funzionano le cose, sa che è il denaro a governare le relazioni sociali. Tutti hanno una sorta di cartellino col prezzo, nei suoi romanzi, le donne da sposare hanno la dote e la rendita, gli uomini le proprietà e lo status sociale e tutti agiscono come se il loro valore fosse dato proprio da quello. Il mondo di Jane Austen viene analizzato senza alcuna ipocrisia, ma non viene odiato, non viene data colpa alle persone per la società in cui sono inserite. Le sue eroine non vincono scardinando le regole, ma giocando in modo fine con esse e volgendole a loro vantaggio. Mi piace questa capacità di analisi che non diventa freddezza o astio.
Emma stessa è un personaggio frivolo, dai mille difetti, che potrebbe diventare odiosa, ma è ritratta con tanta cura, affetto e simpatia che non le si può non volere bene. Proprio come Mr. knightley, la rimproveriamo solo perché l'amiamo.  

martedì 1 aprile 2014

Un amore non corrisposto


... Il mio con la primavera.
Corro (ormai poco, ma corro), adoro stare all'aria aperta, mi piace fotografare i fiori, sia quelli particolari degli orti botanici, sia quelli incontrati per caso a bordo strada, come questi.
Eppure la primavera non ne vuole sapere di ricambiare il mio amore. 
Ci sono primavere infami, come quella dell'anno scorso, in cui a maggio ancora si girava col maglione di lana. Ecco, io l'anno scorso fisicamente (poi avevo i nervi a pezzi, ma è un altro discorso) stavo  benissimo. Neppure uno starnuto.
E poi ci sono primavere come queste, un tripudio di colori sui nostri laghi. Un tripudio di starnuti, che poi è il meno. Mi rimane addosso quella sensazione incerta, quella stanchezza vigliacca, la febbricciattola incipiente.... Rimane addosso la malinconia dei quattordici anni, quando vedevo il ragazzo sognato accompagnare un'altra a prendere il gelato. 
Un amore senza speranza.

Queste righe, oltre che da sfogo per questa sensazione da allergia irrisolta, anche per supplire la mancanza della recensione del film del fine settimana, col quale contavo di risolvere il post. Ma è inutile  sprecarci parole, Il gioco di Ender non è brutto, è solo insulso, insipido come il suo protagonista, che dovrebbe essere geniale, ma che sarebbe mangiato vivo da uno qualsiasi dei miei alunni di seconda media.
Qualche sorpresa in più l'ha riservata la lettura del manga Ayako di Riyoko e Etsuko Ikeda, fumetto del 1980 riproposto ora in due volumi. Interessante l'idea di base: la figlia di un'assassina e di un demone viene sostituita in culla con quella di una famiglia nobile. Quando i genitori scoprono della sostituzione Ayako ha ormai dodici anni, ma per i nobili la scelta è semplice: andarsi a riprendere la figlia naturale e far sparire Ayako che, per sopravvivere, deve rivoltare la situazione a suo svantaggio. Da lì in poi la ragazzina si ritroverà, quasi suo malgrado, a mettere in luce meschinità e ipocrisie di chi la circonda, dando l'idea di essere, lei, la cinica figlia di un demone, l'unica dotata di un barlume di sensibilità in una società basata solo sull'apparenza.
Interessante lo spunto, si diceva, un po' meno la realizzazione, molto didascalica, con una trama fatta di episodi slegati e priva di una vera conclusione. 
Si è trattato comunque di una lettura insolita e non priva di spunti interessanti.