mercoledì 30 novembre 2016

Intervista a Brandon Sanderson


È finalmente on-line l'intervista allo scrittore Brandon Sanderson, che ho incontrato a Lucca Comics, corredata dalle belle foto esclusive di Massimiliano Malerba (autore di quella qui sopra).
Dell'aspetto emotivo dell'incontro ho già parlato qui.
Ora è tempo di entrare nel cuore delle storie e dei mondi di questo autore. Penso che Brandon Sanderson sia uno di quegli scrittori che ha tanto da insegnare a chiunque ami scrivere, a prescindere dal genere che predilige. Questo per vari motivi. È abbastanza giovane da ricordarsi quando era lui stesso un aspirante scrittore (non c'è libri in cui non ringrazi il docente di uno dei corsi che ha seguito) e sa cosa significa cercare di districarsi tra le mille indicazioni contrastanti. È un gran lavoratore, con idee ben chiare in testa, sa cosa vuole fare, come lo vuole fare e non ha problemi a raccontarlo. Ha il dono della divulgazione. Non tutti sanno trasmettere i propri segreti del mestiere, a prescindere dalla propria bravura. Avete in mente Michelangelo? "Come si scolpisce maestro?" "Guardi il blocco di marmo e tiri fuori la statua che c'è già dentro, figliolo" (e grazie tante, maestro, immagino rispondesse tra sé l'aspirante scultore). Brandon Sanderson, invece, sa scrivere, ma anche insegnare a scrivere.
A questo proposito vi segnalo questo bel post dell'amico Andrea Atzori che racconta la lezione di scrittura tenuta da Sanderson sempre a Lucca.
Pronti e preparati?

Per me questi sono giorni particolarmente strani. Con l'adozione nessuno ha certezze sui tempi. Così cerchi di farti un'idea della tempistica pensando di andare all'estero e ti trovi invece con una splendida pupattola da nazionale prima, però, che la sua cameretta non solo sia pronta, ma costruita. Così i lavori per l'ampliamento che pensavamo di avere tutto il tutto il tempo per fare sono partiti da quattro giorni, da cui i miei commenti sui martelli pneumatici come ninna nanna. Quindi ho internet a singhiozzo, perché ogni due per tre qualcuno si attacca all'impianto sbagliato e fa saltare la corrente, inoltre ci sono momenti in cui casa viene invasa dalla polvere e io e pupattola dobbiamo fuggire (per fortuna oggi la giornata è splendida e siamo fuggite al lago). Quindi mi scuso con Viola, Michele, Marina e Helgado per le risposte tardive (o il non essermi accorta proprio di cose inviatemi), purtroppo da cellulare non mi trovo molto bene a lavorare.

Se internet mi assiste, però, questa sera sarò in radio insieme agli altri amici di Rill:
Oggi, mercoledì 30 novembre, dalle 21 alle 21.30, RiLL sarà ospite della trasmissione Cosplay on Air, sull'emittente Radio Dimensione Musica. Parleremo del Trofeo RiLL, di SFIDA e delle antologie di racconti, insieme ad alcuni "nostri" autori: Antonella MeceneroMaurizio Ferrero e Alain Voudì.
Potete ascoltarci in FM sulle frequenze 103.1 – 88.5 – 100.8 MHz (se vivete a Bologna, Modena, Pistoia e provincia) o in streaming: qui

lunedì 28 novembre 2016

Seguendo la Cometa illustrato da Viola!


Quando ho iniziato a postare "Seguendo la Cometa" tante persone si sono proposte di illustrare le mie bozze o di mettermi in contatto con dei disegnatori. Grazie davvero a tutti quanti. Il blog è, me ne rendo conto sempre più, una cosa meravigliosa che permette di far circolare le idee, mettere in contatto le persone, dare spunti e creare sinergie.
Viola non si è fatto scoraggiare da nulla, neppure dal fatto che io, persa dietro alla pupattola e ai lavori di ampliamento della casa (e, sì, pensavamo proprio di partire per il paese in cui devi stare almeno tre mesi e quindi di avere un sacco di tempo per allestire casa a misura di bambino, indovinate qual è il paese) ci abbia messo un sacco a vedere i suoi disegni, rispondendole per altro all'inizio a monosillabi.
I suoi disegni sono splendidi. Non solo io mi rispecchio perfettamente nella Tenar/fumetto, ma anche lo stile è esattamente quello che avevo in mente.
Non ho davvero parole per ringraziare Viola, spero che siate voi a farle i complimenti che merita qui o sulla sua pagina fb.
Spero davvero che questa collaborazione possa continuare perché penso che per me sia un onore poter lavorare con lei.
Intanto vi ripropongo le puntate precedenti illustrati (a iniziare da queste tavole, perché sono belle e già ottimizzate per il blog, che qui la corrente va e viene e la connessione ora c'è e poi chissà).

Vi segnalo anche una bella intervista in cui parlo de La spada, il cuore e lo zaffiro. La trovate qui

venerdì 25 novembre 2016

I demoni di zia Matilda – Racconto inedito completo

Racconto che frullava in testa da un po', scritto durante una nanna insolitamente lunga della pupattola (favorita, parrebbe, dai martelli pneumatici dei muratori che lavorano dall'altra parte del muro...).

I DEMONI DI ZIA MATILDA

Ci sono parenti che non ti ricordi neppure di avere, fino a che un giorno qualcuno ti telefona per dirti che sono morti.
Sinceramente, ero convinto che zia Matilda fosse trapassata già da un pezzo. Nei miei ricordi zia Matilda non solo è sempre stata vecchia, ma decrepita. E non è una questione di memoria che distorce. A quanto mi ha detto l’avvocato, se ne è andata serenamente all’età di 110 anni e considerando che non ho ricordi di lei precedenti ai quattro o cinque anni, non l’ho mai vista sotto gli ottanta. A gli occhi di un bambino di cinque anni una vecchia di ottanta ha già un piede e mezzo nella fossa. Forse non solo agli occhi di un bambino. Ho il sospetto che parecchi parenti in attesa di eredità l’abbiano preceduta dall’altra parte…
Io non la vedevo almeno da dieci anni, ma c’è stato un periodo, quand’ero bambino, in cui la frequentavamo spesso.

Unica sopravvissuta della generazione di mio nonno, ci teneva a tenere i rapporti con nipoti e pronipoti. Era il tipo di prozia dalle guance piene che faceva le torte di mele e lo zabaione col marsala, che a Natale rinunciava alla pensione per mettere cinquantamila lire nella busta di ciascun pronipote. 
Abitava in una vecchia cascina, in paese, con il giardino, l’orto e il pollaio e per noi bambini di città andarla a trovare voleva dire cercare i lombrichi sotto le pietre da dare alle galline, impastare torte di fango e far diventare i pantaloni verdi d’erba sulle ginocchia. Ci fu un momento nella mia infanzia in cui zia Matilda fu davvero molto amata, per la disperazione di mia madre che non capiva come solo in un’ora nel cortile della zia riuscissi a distruggere tutto ciò che avevo indosso. 

Nel fondo del giardino di zia Matilda c’era il capanno degli attrezzi. Nessuno di noi bambini c’era mai stato e di solito era chiuso con una catena e un lucchetto. Dentro c’era conservato il becchime per le galline e, dato che uno dei nostri divertimenti preferiti era nutrire il pollame, quando era il momento aspettavamo religiosamente fuori mentre la zia entrava, si chiudeva la porta alle spalle, prendeva la giusta quantità di mais e grana verde e tornava fuori. Avremmo giurato, però, che, dentro il capanno, la zia parlava con qualcuno. Persino noi bambini, però, sapevamo, che dopo una certa età si diventa tutti un po’ strani…

Una volta mi capitò di sentire i miei che parlavano di lei.
– Com’è che non si è mai sposata? – stava chiedendo mia madre.
– Be’, sai, ha i suoi demoni…
Poi la conversazione proseguì a voce così bassa che non riuscii a seguirla.
Da quella volta mia madre insistette perché io non mi trovassi mai da solo con la zia. Chiesi spiegazioni, perché non era facile. Se ad esempio ero fuori a giocare con i cugini e mi scappava, entravo in casa e zia Matilda mi accompagnava in bagno. Mia madre non addusse spiegazioni particolari, ma ribadì che non dovevo farlo e basta. Piuttosto la tenevo fino a che non scappava anche alla cugina Caterina, allora potevamo entrare tutte e due in casa e andare in bagno a turno. Quindi capii che non potevo stare da solo con la zia perché “aveva i suoi demoni”…

Arrivò il giorno in cui, fatalmente, mi trovai da solo a casa della zia. Mia madre aveva non so che impegno e mio padre, non sapendo dove piazzarmi, aveva optato per la vecchia parente. Conoscendo le fisime di mamma, però, si era assicurato che ci fosse anche Caterina, ma arrivati là scoprimmo che la cugina era stata trattenuta a casa da un malanno improvviso. Mio padre, preso alla sprovvista, adottò una soluzione tipica.
— Ricordati di dire a mamma che Caterina c’era – mi sussurrò prima di andare.
Io per un po’ rimasi in ansia, temendo che la zia mi spingesse in un forno dopo essersi assicurata che ero abbastanza cicciottello o facesse una qualsiasi delle altre cose che potevo attribuire a una signora “che aveva i suoi demoni” e fui un poco deluso quando invece zia Matilda mi propose di andare a giocare fuori mentre lei preparava una variante di zabaione al cacao. Forse ero ancora troppo magro per essere cucinato.
Da solo, però, era tutto meno divertente e finii per bighellonare in cortile senza neppure troppa voglia di sporcarmi. Come accade nelle fiabe a questo punto, scoprii che il lucchetto del capanno era stato dimenticato aperto.
Da dentro provenivano dei rumori. Una sorta di frinire e fruscii di qualcosa che si muoveva. Ne usciva un’odore strano, che riconobbi come alcolico. 
Inutile dire che misi dentro la tesa. 
Quello che vidi fu un animaletto dall’aspetto simile a quello di una scimmia, ma ricoperto da penne rade, come la gallina che tutte le altre beccavano, intento a succhiare del liquido trasparente da una bottiglia. Con le zampe posteriori prensili teneva già pronta una ciotola che sembrava contenere del vino rosso.
Un altro animaletto simile, ma dal pelo fulvo e con due cornini ritorti da ariete che spuntavano dalla fronte stava invece fumando tre sigarette. Lì vicino un altro dall’aspetto vetusto, con la pelle cascante, stava impilando delle vecchie monete in torri ordinate. Fu il primo a vedermi e si girò digrignando i denti gialli, ma ancora affilati.
Feci un passo indietro, urtando, credo, un rastrello, che cadde percuotendo un secchio di latta. Mi girai di soprassalto.
Dietro il secchio caduto stava una quarta creatura. Questa aveva seni prosperosi, ma attributi decisamente maschili, anche se forse vi era anche una piccola vulva, cosa che all’epoca non ero in grado di appurare. Si toccava con le mani sia i seni che il pisello in un modo che non avevo mai visto fare e che pure mi affascinava. Il volto scimmiesco, ma a suo modo affascinante, aveva un’espressione di piacere che io di certo non avevo mai avuto, neppure con lo zabaione.
– Vieni via, sei un po’ piccolo per farci amicizia.
La voce di zia Matilda ruppe l’ipnosi in cui ero caduto e con vergogna mi resi conto che stavo infilando le mani nei pantaloni.
– Vieni, è ora di merenda – continuò la zia, con dolcezza.
– Chi sono? – chiesi.
Ne avevo visto un altro. Aveva messo un piccolo cappio attaccato a una trave nel soffitto e sembrava intenzionato ad impiccarcisi, zia Matilda, però, non sembrava preoccupata. Aveva in mano una bottiglia di grappa che con naturalezza mise in mano alla creatura spennacchiata, in sostituzione a quella già svuotata.
– I miei demoni – rispose, tranquilla. – Un sacco di gente ne ha uno addosso, ma non lo sa trattare a dovere. Io li tengo bene e non permetto che vadano in giro a saltare su chicchessia.
Di colpo non mi interessava più.
– Andiamo a giocare a rubamazzo, zia? – proposi. – Però ci puntiamo dei soldi. La busta di Natale. Se vinco io mi ci metti due cinquantamila dentro, se perdo ti do la mia collezione di figurine dei calciatori. Potremmo anche giocare a tris, io punto la mia macchinina nuova, quella che cambia colore se la metti nell’acqua calda, tu cosa ti giochi?
La zia mi fissò con attenzione, senza tuttavia riuscire a farmi smettere di parlare. Avevo una voglia matta di tornare a casa a giocare. A dire in vero non avevo voglia di giocare. Avevo voglia di vincere. Vincere cose.
– Ecco, immaginavo. Sciò! Via! Torna a cuccia – gridò, con lo stesso tono con cui scacciava le galline.
Dalla mia spalla scese un’altra di quelle creature, magra e con gli occhi furbi. Aveva in mano delle carte e mi accorsi che ne era rimasta una sulla mia spalla. Un due di picche.
– Andiamo a far merenda – disse la zia.
Io annuii. Non avevo più voglia di giocare.
– Dove si trovano i demoni? – chiesi.
– Un po’ ovunque, sulle spalle delle persone più impensabili – rispose la zia. 
Sospirò e parve soppesarmi.
– Più avanti, magari, ti spiegherò come prenderli senza farti male. Per ora, però, sarà il nostro segreto.
Io annuii. Adesso che il Demone del Gioco era sceso dalla spalla tutta la mia attenzione era rivolta all’imminente zabaione.

Come pattuito, raccontai che Caterina era stata con me tutto il pomeriggio. Tornai ancora da zia Matilda, ma trovai sempre il capanno chiuso. Qualche volta, furtivo, mi ci avvicinai. Sentii ancora l’odore della grappa del Demone dell’Alcool e persino i versi osceni e affascinanti di quello della Lussuria, ma non ci entrai più.
La primavera seguente a papà fu offerto un lavoro lontano e ci trasferimmo. Nonostante i buoni propositi, finimmo per andare a trovare sempre meno zia Matilda.
Una volta, un paio di anni dopo, sentendo parlare di un uomo vittima del demone dell’alcool chiesi se il demone avesse le piume. Tutti mi guardarono in un modo così strano che ritenni in caso di non parlarne più.
In effetti ho raccontato questa storia a una sola persona. 
Anche se con il passare degli anni ci ho pensato sempre meno non l’ho mai dimenticata del tutto e ogni tanto, crescendo, ho finito per chiedermi cosa fosse successo davvero in quel capanno. La mia ragazza, ai tempi dell’università, studiava psicologia. Quando le raccontai dei demoni di zia Matilde mi disse con dolcezza, ma senza troppi giri di parole, che ero stato abusato e la mia mente aveva creato la storia degli animaletti a forma di scimmia per proteggersi. Che ora i ricordi stavano emergendo e avrei dovuto farmi aiutare, se volevo diventare un adulto sereno. In caso contrario la cosa mi avrebbe rovinato la vita. 
In effetti rovinò quella relazione. Io non avevo nessuna voglia di farmi psicanalizzare e non mi sentivo addosso alcun trauma e la mia ragazza continuava a insistere che invece dovevo parlarne, farmi ipnotizzare, che lei voleva aiutarmi ma non sapeva come fare. Ogni volta che ci vedevamo finiva col piangere per il mio supposto trauma e alla fine la mollai. Decisi che probabilmente mi ero immaginato tutto e non volli più né pensarci né parlarne. Da allora, probabilmente, non parlai più di zia Matilda.
Fino a questa mattina.

Mi ha telefonato un avvocato di Milano, un tizio piuttosto importante, non il genere di frequentazione che avrei attribuito a zia Matilda. Mi ha informato del decesso e ha spiegato che nel testamento la zia aveva specificato che gli immobili sarebbero andati a me, mentre i risparmi e i, suppongo pochi, gioielli, agli altri pronipoti. La casa, il terreno e il capanno, quindi, sono miei.
– È successa una cosa strana, però, che forse è bene che sappia – mi ha raccontato l’avvocato, prima di passare alle istruzioni legali. – Sua zia, nonostante l’età, era ancora autonoma. I vicini, non vedendola da due giorni, hanno chiamato i carabinieri, che l’hanno trovata morta nel capanno. Infarto, nulla di sorprendente, considerato tutto. La cosa strana è che i due carabinieri hanno portato fuori il corpo, chiamato chi di dovere, ma non sono rientrati in caserma. Uno si è suicidato quella sera stessa, dopo aver perso al casinò di Lugano tutti i suoi averi e l’altro ha accoltellato un vecchio amico di sua moglie, convinto che ne fosse l’amante.
– Appena usciti da capanno di mia zia, eh? – ho mormorato.
– Già…

mercoledì 23 novembre 2016

Seguendo la cometa 5 – Paese che vai...

In un mondo in cui non riusciamo a metterci d'accordo sull'utilizzo di una presa elettrica universale, vi lascio immaginare cosa sia districarsi tra le regole riguardanti l'adozione internazionale... 
Tutte le informazioni sono reali, almeno lo erano due anni fa, e riguardano i paesi dell'elenco, quindi potete divertirvi ad associare il giusto paese con la sua regola, più o meno formalizzata. Sul "simpatico", poi abbiamo un po' il dente avvelenato, perché è un paese che abbiamo preso in considerazione, sulla carta i requisiti c'erano, ma no, non eravamo "abbastanza".

PARLANDO DI TUTT'ALTRO
Oggi mi è arrivato un rendiconto su cui non speravo più. Nel 2016 i miei guadagni relativi al diritto d'autore dovrebbero aggirarsi intorno agli 800 euro, 1000 se le ultime cose che devono arrivare hanno venduto molto più del previsto. Quest'anno non ho partecipato a concorsi e considerando che l'antologia è appena uscita, si tratta di romanzi già fuori da almeno un anno o racconti in digitale. Che sia poco o tanto dipende da come lo guardi, suppongo. Pochissimo se uno ci deve vivere. Considerando che si tratta di romanzi editi da più di un anno o di racconti pubblicati in digitale al (giusto) prezzo di un cappuccino io ritengo comunque di portarmi a casa, oltre a dei bonifici che schifo non mi fanno, la consapevolezza che non tutti gli editori spariscono con la cassa dopo la pubblicazione e il fatto che tutte le spese (editing, impaginazione, distribuzione...) le hanno sostenute gli editori.
Quindi grazie a INTERLINEA, DELOS BOOKS e DELOS DIGITAL.  
(Mondadori ha pubblicato quest'anno un mio racconto che però era stato contrattualizzato prima e Wild Board è, giustamente, all'inizio del suo cammino con me come autrice.)
Lo so che "hanno fatto solo il loro dovere", ma di questi tempi, in questo mondo, la correttezza non è, purtroppo, scontata.

Per quanto riguarda invece LA SPADA, IL CUORE E LO ZAFFIRO, vi segnalo una recensione che però è MOOOLTO spoilerosa (dice cose che mi hanno fatto molto piacere, ma leggete a vostro rischio e pericolo) su IntercoM Scienze Fiction Station

domenica 20 novembre 2016

Piovono libri – Il giovane Holden

Questo mese il libro prescelto dal gruppo di lettura è stato Il giovane Holden. Romanzo dal formato assai congeniale, facilmente leggibile anche con la pupattola in grembo (commento della pupattola: "questo libro fa addormentare, mamma", commento di mamma: "ottimo motivo per leggerlo, quindi").
Libro generazionale, celeberrimo, che ha dato il nome anche alla scuola di narrazione che io pure ho frequentato, ma che non avevo mai letto. Non si tratta di uno di quei libri che non ho mai letto per caso, si tratta di un libro che ho, fino a questo momento, evitato con cura e dedizione. E perché mai?
Ebbene, al gruppo di lettura si è capito che c'è chi è stato Holden o si è sentito vicino ad Holden e chi Holden non lo è mai stato. Per me è pure peggio. 
Io sono, da sempre, il professore di storia.

Partiamo dall'inizio. 
Edito nel 1951, Il giovane Holden è forse tutt'oggi il libro migliore che descrive la crisi adolescenziale. Holden è un sedicenne che, appena prima di Natale, viene cacciato, per l'ennesima volta da scuola. Non volendo affrontare subito i propri genitori, finisce per vagare da solo per New York, alla ricerca (vana) di qualcuno che lo possa capire.
Lentamente emerge il dolore mai superato per la morte del proprio fratello minore, il senso di inadeguatezza nei confronti di una famiglia di vincenti, di un fratello maggiore sceneggiatore e in generale l'insofferenza per l'ipocrisia del proprio mondo altoborghese.
È, senza dubbio, un romanzo epocale, che entra nella mente di un adolescente mostrandola per quello che è, confusa, arrabbiata, ossessionata dal sesso, piena di desiderio e di repulsione per il mondo degli adulti. Holden è un'anima ferita che non sa dare un nome a un proprio dolore, che si aggira alla ricerca di un'anima amica, senza trovarla. Cerca in continuazione un contatto, chiama persone, amici, conoscenti, vecchi professori, sperando che qualcuno possa dargli, più che un conforto, una spiegazione per questa cosa confusa che è la vita. 
Come si vede dalla fotografia, il titolo italiano non ha nulla a che vedere con quello originale. Concordo che l'originale fosse intraducibile, ma è un peccato. Si tratta della storpiatura di un verso di una filastrocca e suonerebbe più o meno come "il prenditore nella segale" e fa riferimento a uno dei momenti più toccanti del romanzo, in cui Holden si immagina come colui che salva dei bambini in un campo di segale, impedendo loro di cadere in un burrone

Se è un bel libro, ed è un bel libro, allora qual è il mio problema con lui?
Nelle primissime pagine, prima ancora di lasciare la scuola, Holden va a trovare l'anziano prof di storia e commentano insieme il tema improponibile scritto dal ragazzo. A cosa pensava Holden mentre il prof spiegava? Alla possibilità che in inverno un tir portasse via le papere da un laghetto di Central Park.
E io ho pensato: come i miei alunni! Io spiego e loro pensano alle papere! Hanno la testa piena di piume!
Questo è il mio problema. Io sono il prof, non Holden. 
Sono stata un'adolescente infelice? Certo. Ma la rabbia indiscriminata, acritica e autolesionista di Holden non l'ho mai provata. Holden non analizza, non cerca cause o soluzioni, procede a tentoni, sperando che giunga qualcuno a salvarlo, non in grado di sapere non si dice ciò che vuole, ma neppure ciò che non vuole. Dice di odiare l'ipocrisia, ma non ne cerca le cause né aspira a una vita che ne sia priva, se non come mero sogno irrealizzabile. Non ha alcun ideale a cui tendere, nessuna aspirazione da raggiungere 
Leggendo questo libro, suppongo, ci si dovrebbe riconoscere in Holden. Io ci riconosco i miei alunni più snervanti. Quelli che mentre spieghi sembrano seguirti ma, nel migliore dei casi, pensano alla loro (o alla tua) vita sessuale. Quelli che si inventano le scuse più improbabili per i compiti non consegnati o fanno solo quello che a loro piace. Quelli che, perché a loro è capitato qualcosa di brutto, pensano che tutto il mondo sia colpevole. Quindi, invece di immergermi in Holden, pensavo sempre di più a quanto fosse difficile rapportarsi con lui, a quanto fosse snervante, a quel santo del suo amico che va da lui in piena notte solo per venir trattato male e che tuttavia si sforza di dare al ragazzo dei buoni consigli. 
Per carità, mi ha anche rassicurato. Non sono i ragazzi di oggi, evidentemente gli Holden ci sono da sempre. Come dice lui stesso non è colpa del professore di storia, tu puoi spiegare nel modo migliore del mondo, ma se questi pensano alle papere...

Da decenni, quindi, conoscendone spannometricamente la trama, me ne sono tenuta lontana per evitare di guardare con gli occhi del professore di storia chi diceva di sentirsi o essersi sentito come Holden.
Voi l'avete mai letto? Vi siete mai sentiti Holden (tranquilli, non vi do 3 se mi dite di sì)?

giovedì 17 novembre 2016

In difesa di una specie minacciata: gli avverbi in -mente


Ho finito il racconto ambientato durante la grande peste. Non è il mio racconto migliore, non riesco a trovargli un titolo e alcuni passaggi sono farraginosi. Però l'ho finito, cosa che a dire il vero mi ha stupito. Quindi sono passata alla revisione, pronta a cancellare l'inutile e in cacofonico come un cacciatore ben appostato. Ho stanato le prede previste, ripetizioni, ridondanze, incongruenze. 
Poi l'ho visto, rintanato verso in fondo, farsi piccolo nella speranza (vana) di non essere scorto.
Rispose distrattamente
Ah!
Io pronta ho imbracciato il mio ipotetico fucile, preparata a fare fuoco.
Ma, un attimo, come sostituirlo?
Innanzi tutto, il concetto era importante?
Beh, sì.
Il mio protagonista viene interpellato su una questione che non gli interessa mentre sta sfogliando un libro e pensando ad altro. Non corbellerie, gli hanno appena ammazzato il fratello. Per educazione non può non rispondere, ma, che diamine, non gliene frega un accidente, almeno all'inizio.
Quindi?
Rispose, distratto?
Che poi è una forma contratta per dire rispose in modo distratto che è come dire rispose distrattamente. Tanto vale mettere distrattamente.
Certo, c'è l'opzione rispose soprappensiero che, però, non è proprio la stessa cosa. A me dà l'impressione (sicuramente soggettiva e imperfetta) di uno che abbia la testa tra le nuvole. Lui è distratto da cose più importanti, almeno nella sua percezione.
Quindi, con un senso di colpevolezza dato dal lavoro non svolto fino in fondo, l'ho lasciato. Nel mio racconto, ho pensato, ci sono 36500 battute, ci sarà pur posto anche per un avverbio in -mente.
E lui mi ha guardato, come un ultimo lupo sopravvissuto su montagne troppo antropizzate. Mi ha fatto una tenerezza infinita.

Dopo tutto è così, no? Una volta si riteneva che il lupi fossero nocivi, dei nemici giurati delle greggi e dell'uomo e solo poi abbiamo capito che, se esistevano, erano necessari. Indispensabili all'ecosistema.
Ora, siamo tutti d'accorto che troppi predatori nuocciano, così come troppi di qualsiasi cosa. Se ci sono troppi lupi in un bosco presto le prede scarseggeranno con danni a catena per tutta la foresta. Gli avverbi in -mente sono ingombranti, nemici riconosciuti di tutti gli scribacchini. Però, come i lupi, esistono. Se esistono, se la nostra lingua li usa da secoli, sarà, suppongo, perché hanno uno scopo. Se fossero così rimpiazzabili, anzi, se fosse giusto ed elegante farlo, la nostra lingua li avrebbe già espulsi. La nostra lingua, del resto, ha già espulso cose in apparenza molto meno inutili degli avverbi in -mente, come il genere neutro, presente in latino (per non parlare del delizioso duale greco). Loro, invece sono sopravvissuti. Ho il sospetto, badate bene, il sospetto, non la certezza, che siano utili.
Non devono muoversi a branchi. Forse non sono come i lupi, dopo tutto, forse più come i grandi felini. Ne basta uno ogni tot mila battute, di più distruggerebbero il loro ecosistema-testo. Ma qualcuno, ogni tanto, che male può fare? Di più, non è che uno ogni tanto sia anche bello da incontrare, come il fugace passare di una tigre? In due tigri nessuno vorrebbe imbattersi, ma avvistare una singola tigre che si aggira nella foresta...
Quando leggo cose come si sistemò gli abiti in modo affrettato o i libri posati in modo disordinato mi irrito. Perché mi sembra evidente che l'autore o il traduttore, terrorizzato all'idea di incappare nella tigre, abbia preferito evitare. Mettendo due parole invece che una. Ecco, a me mettere due parole invece che una non piace. Non se posso evitarlo. Per non fare una ripetizione quasi tutto è lecito, ma così, gratuitamente
Avrei potuto scrivere, è ovvio, in modo gratuito. O cercare un'altra perifrasi, o magari un'altra parola. La lingua italiana, però, mi offre gratuitamente. Se esiste, avrà uno scopo. Ad esempio stare qui, in questo post (esempi a parte dovrebbe essere l'unico).
Sta così male? È così irrimediabilmente cacofonico? Ecco, forse irrimediabilmente potevo evitarlo. Quello l'ho messo per simpatia. Lo ammetto, come i lupi e le tigri gli avverbi in -mente mi stanno simpatici.
Considerateli animali pericolosi, ma rari, da salvaguardare. Hanno bisogno di un habitat arioso e sono bestie solitarie, quindi hanno bisogno di un ampio testo intorno senza competitori. Sono ingombranti, pericolosi, come le tigri.
Voi cosa ne pensate? Non sarete per lo sterminio, spero...

martedì 15 novembre 2016

Green Manor – Letture

Come vi raccontavo, a Lucca, nella mia mattinata di libertà sono entrata all'apertura nel padiglione degli editori dove sono incappata in alcuni irresistibili volumi cartonati che poi mi sono portata nello zaino fino a sera. Ho avuto male alle spalle per tre giorni.
È bello scoprire che, almeno in un caso (l'altro devo ancora leggerlo) ne sia valsa la pena.
Green Manor è un piccolo gioiello. Lo è già come oggetto. Ricorda in tutto per tutto un volume ottocentesco e al tatto regala una sensazione bellissima, che riporta ai tempi in cui i libri erano oggetti di lusso. L'ultimo libro così bello da un punto di vista meramente estetico che mi è capitato per le mani è stato S. La nave di Teseo, il cui contenuto, però, alla fine mi ha deluso.
Green Manor è sicuramente meno ambizioso, ma dà quello che promette. Storie nere squisitamente vittoriane.
Il Green Manor è un club londinese dove i distinti soci si trovano tutti, in un modo o nell'altro, a disquisire di delitti, a progettare delitti e solo più raramente a risolvere delitti.
Ogni storia occupa pochissime pagine e si sforza di giocare con i cliché del giallo classico, ribaltandoli e stupendo il lettore. Non tutte e sedici le storie ci riescono, ma alcune sono fenomenali. Ovviamente, la mia preferita riguarda un tentativo di omicidio ai danni di Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes.
In tutta sincerità non pensavo che il racconto breve si adattasse alla narrazione per immagini, eppure queste brevissime storie a fumetti sono perfette così come sono, con i loro disegni falsamente rassicuranti, dove gli assassini hanno quasi sempre lo sguardo placido e i tratti vagamente disneyani. 
Onore al merito a Bao, quindi, per aver portato in Italia questo gioiello d'oltralpe per farne un volume di lusso per palati raffinati. Non mi stupisce, quindi, che abbia vinto uno dei premi che la fiera di Lucca assegna annualmente ai fumetti migliori.
Consigliatissimo, dunque, non solo agli amanti del fumetto.
C'è molto da imparare da questi mini gialli che con pochissimi tratti caratterizzano personaggi e situazioni, in due pagine costruiscono aspettative che poi vengono ribaltate sulla terza. Green Manor mi ha ricordato molto quei piccoli gioielli che sono i Racconti Imprevisti di Roald Dahl e mi ha fatto quasi impressione constatare che queste storie così british sono in realtà state scritte e illustrate da dei francesi, Fabien Vehlmann e Denis Bodart.
Da leggere. 

domenica 13 novembre 2016

Cose che cambiano, cose che restano

Ogni neo genitore, credo, vive in una sorta di regime dittatoriale con a capo il neonato. Noi siamo in un regime di dittatura illuminata che poi, probabilmente, è la miglior forma di governo (il problema è che i veri dittatori illuminati sono più rari delle fenici, degli unicorni e delle uova di roc). D'istinto deve aver capito che questi genitori improvvisati alcune cose non le avrebbero potute reggere, quindi (per ora) ci permette notti tranquille. Sa che l'ansia di questi genitori improvvisati non può reggere certi pianti. In settimana abbiamo fatto il controllo delle anche e all'appoggiarsi del gel gelido per l'ecografia è partito un pianto di un'intensità inaudita. È durato solo pochi minuti, ma è bastato a scuotermi nel profondo. Alla fine ho pensato che i poveretti che fanno tutto il giorno per lavoro ecografie ai neonati devono uscire dal turno con i timpani e i nervi a pezzi (me ne ricorderò quando mi lamenterò del caos dei miei studenti). Ancora devo assimilare l'idea che ci sono bambini che piangono in quel modo quasi tutto il giorno.
La pupattola pare essere di carattere dolce e comprensiva con questi genitori imbranati che le sono capitati e pare ricambiare il nostro entusiasmo per la nuova vita famigliare. Così vivo questa strana situazione di giornate dalla luce dorata, con lunghe passeggiate in carrozzina in cui scopro magari inaspettate fioriture verticali di margherite come quelle della foto. Poi torno a casa e apprendo che è morto anche Leonard Cohen, che Trump è il presidente degli Stati Uniti, che c'è tutto un mondo al di fuori della mia bolla di caldi colori autunnali e che quel mondo non va come io vorrei.
Vivo con degli strani ritmi da vacanziera a Ibiza, perché ho scoperto che alzarmi per la poppata della notte vuol dire nel migliore dei casi ondeggiare per diversi minuti nel tentativo di svegliarmi (mentre la pupa, invece, esige del latto subito!), nel peggiore bruciare accidentalmente il biberon. Così rimango sveglia fino circa all'una o alle due, un'orario per me, diurna, improponibile in precedenza. In compenso il marito si occupa della poppata dell'alba, cosicché io di fatto mi sveglio beata sette o otto ore dopo essere andata a nanna, con i ritmi un po' sfasati, ma senza sintomi da deprivazione di sonno. In quelle strane ore serali che non mi sono abituali purtroppo non riesco a scrivere (a volte è un problema essere diurna), ma leggo, anche se al momento ho dei problemi con un tomo troppo pensante. I libri leggeri li gestisco senza problemi con la pupa in braccio, ma se le cadono addosso le 1200 e fischia di quello attuale rischio di farle danni seri (maledetto Sanderson). Ho scoperto Sky Arte che quasi ogni sera mi propone una serata tematica musicale, cosicché io e la pupa ci stiamo facendo una cultura di tutto rispetto su generi musicali che ci erano estranei (il documentario su Demetrios Stratos mi ha aperto un mondo).

Tutti mi chiedono quanto mi senta cambiata. In realtà non saprei. Non tanto. Non quanto mi sarei aspettata. Sto facendo cose che ho sempre desiderato fare, dando affetto a una bimba, come ho sempre desiderato fare, quindi mi sembra abbastanza naturale esserne felice.
Non è cambiato, però, il mio modo di pensare o di vedere il mondo. 
Sinceramente, pensavo che mi sarei addolcita e che avrei indugiato maggiormente su pensieri dai colori confetto. O, meglio, che mi sarebbe interessato di più indagare intellettualmente pensieri color confetto. Che so, scrivere favole della buona notte. Scrivere racconti rosa e a lieto fine.
Invece sono passo le ore a fare i sorrisetti e i versetti alla pupattola, con il marito che si chiede seriamente se io sia impazzita, ma quando mi siedo al computer torno là nelle zone d'ombra che mi piace indagare.
Ho iniziato un nuovo racconto giallo, che in realtà covavo da quest'estate. È ambientato nel 1349. Nel pieno della grande peste.

giovedì 10 novembre 2016

Seguendo la cometa 4 – Moduli

C'è un momento in cui ti rendi conto che se hai aggiornato anche una sola volta le graduatorie docenti senza aiuto puoi conquistare il mondo...

Vi segnalo intanto anche una bella recensione alla mia antologia, la trovate qui. Grazie di cuore a Stefano Sacchi che, per altro, deve aver letto il libro in tempo record! Vi ricordo che La spada, il cuore e lo zaffiro è comodamente acquistabile su amazon o sul sito di Rill.

lunedì 7 novembre 2016

A tu per tu con Brandon Sanderson

Da dove cominciare?
Chi segue il blog sa che Brandon Sanderson è un autore che mi piace. È giovane, ma scrive un fantasy maturo. Da che ho iniziato a lavorare con le parole e le trame ho un problema: fiuto i colpi di scena con troppa disinvoltura. Tutti a dirsi sconvolti dalle morti della saga de Il trono di spade, ci fosse stato un colpo di scena uno che mi avesse davvero sorpreso. Certo, magari qualche personaggio minore è sfuggito alle mie previsioni, ma ho un'idea piuttosto precisa di come evolverà la vicenda, ce l'ho dal primo libro e finora nulla mi ha smentito.
Di Sanderson ho letto per prima la saga dei Mistborn e a fine libro primo ho capito che no, non avevo la più pallida idea di quello che sarebbe potuto succedere. L'ho divorato, apprezzando sia il "come andrà a finire?" che la tutt'altro che banale meditazione sulla religione che stava alla base della vicenda.
Ho letto poi praticamente tutto ciò che di suo è stato tradotto e nulla mi ha mai deluso, ma molto mi ha stupito. Quando prendo in mano un suo libro non so mai cosa aspettarmi, cambiano le atmosfere, le tematiche, le ambientazioni, ma non cambia mai l'accuratezza con cui sono descritti mondi e vicende. Lui, più di tutti, negli ultimi anni, ha tenuto desto il mio senso del meraviglioso.
Ormai non è più un autore di nicchia o una giovane promessa. Si parla da tempo di trasposizioni cinematografiche o televisive delle sue opere. Tra gli autori sotto i 60 lui e Neil Gaiman sono per me il top della narrativa fantastica.
Quindi capite che l'idea di andarlo a intervistare per me era un sogno non da poco. Fino all'ultimo ho pensato che la cosa non sarebbe andata in porto. O che non era come avevo capito. Sarebbe stata una conferenza stampa e forse sarei riuscita ad alzare la mano per fare una singola domanda.
Invece no. Ero io, lui, il fotografo e il traduttore, in una bella villa liberty di Lucca, con la luce che filtrava dalle finestre dai vetri colorati.

L'intervista la sto ancora sbobinando. Il mio mio non inglese è subdolo, perché non l'ho mai studiato, ma ho sempre viaggiato molto. Quindi, spannometricamente capisco e persi nella discussione, non tutto è stato tradotto e ora ho il mio da fare a tradurre quel "spannometricamente" in "quello che esattamente ha detto". Le foto ufficiali ancora non mi sono arrivate. 
Ma le impressioni, quelle ve le posso regalare.

La prima cosa che colpisce in questo ragazzone americano è l'umiltà e la gioia nel fare quello che fa. È un nerd e non se ne vergogna e vuole dare al lettore esattamente quello che lui cerca. Storie, tante storie, che giungano a una conclusione, con una trama non scontata. Che detto così è una sciocchezza. Quale lettore non ama avere tante storie diverse dei suoi autori preferiti, possibilmente che giungano a delle conclusioni? Nella prassi, quanti autori ci offrono davvero questo?
Sanderson è uno scrittore che pensa da lettore e con molta umiltà scrive per i lettori, probabilmente per il lettore che è in lui. Questo non vuol dire svendersi, tutt'altro, vuol dire lavorare sodo, consapevole di avere un pubblico attendo ed esigente che va trattato con rispetto.
Quello che mi ha trasmesso è la consapevolezza di avere il privilegio di fare ciò che ha sempre desiderato fare, unita alla consapevolezza che sono i lettori a permettere tutto questo e che pertanto vanno rispettati. Non assecondati, attenzione, ma rispettati.
Che Sanderson fosse un gran lavoratore lo sapevo già, ma parlando con lui ne ho avuta la conferma. La scrittura è un lavoro certosino. C'è una serie di suoi romanzi che è ambientata in Stati Uniti sconvolti dall'apparire di super eroi folli che hanno modificato completamente l'economia e la geografia stessa delle città. Eppure per costruire quelle città mutate è partito dallo studio delle cartine e dalla storia stessa delle città reali, dando così alla sua New York allagata o alle sua Atlanta fatta di sale un realismo e una consistenza unica. Un'idea può partire da un "e se?", ma un romanzo ha bisogno di lavoro di costruzione e di studio.
Non c'è nulla di improvvisato in quello che fa. Ho visto i disegni del suo universo e il bozzetto di un giornale di uno dei suoi mondi alternativi. Non c'è un particolare fuori posto. 
Sanderson sa esattamente cosa vuole fare. Abbiamo parlato un po' dell'evoluzione della saga dei Mistborn (cose che, forse, in Italia vedremo tradotte tra dieci anni, considerando che siamo indietro di parecchio su ciò che è già edito negli USA e lui si riferiva a cose su cui sta ancora lavorando). Sarebbe stato facile riproporre ai lettori cose note. Gli stessi personaggi, le stesse ambientazioni, le stesse situazioni. Ci sono autori che sono campati una vita (o stanno campando una vita) facendo questo lavoro, per la gioia dei loro editori. Lui vuole mostrare mondi in evoluzione andando a parare in qualcosa (per i particolari dovrete aspettare l'intervista) di inedito nel panorama della letteratura fantastica. Ci vuole una gran determinazione e una gran fiducia nei propri lettori per fare una cosa del genere (io lo immagino il suo editore a chiedergli mille volte se era proprio sicuro, se non era meglio far tornare in campo i personaggi dei primi libri di successo...). Eppure è questa la chiave del suo successo, credo. 
Per quanto il mercato americano dia sicuramente più opportunità del nostro, neppure lì emergere è facile. Lui non ha mai voluto essere emulo di nessuno, anche se i suoi riferimenti li ha ben chiari in testa. È emerso perché ha portato qualcosa di nuovo e vuole continuare a farlo, perché alla fine il pubblico può anche essere rassicurato dalla riproposizione di ciò che ha amato, ma l'innamoramento arriva con le novità. Non credo che Sanderson voglia un pubblico di vecchi ex innamorati fedeli e rassicurati, ma lettori sempre pronti a stupirsi e a innamorarsi di nuovo di nuove storie. C'è una bella dose di rischio in questo. Eppure non è quello che davvero chiediamo un autore?

Infine, Sanderson mi ha trasmesso una cosa del tutto inaspettata. Bontà. Un ragazzo buono, che fa quello che ama, vede il mondo per quello che è, ma ha un'intelligenza non venata da cinismo. Ho pensato che è fatto della pasta dei suoi eroi. Che non si illudono e non sono perfetti. Che spesso e volentieri sbagliano. Ma alla fine sono profondamente buoni, almeno nelle intenzioni. 
Spesso nei suoi romanzi ci sono storie di riscatto, curiosamente, credo che ci sia molto di autobiografico. Immagino Sanderson adolescente, nerd e tutt'altro che sportivo, con genitori assai preoccupati per il suo futuro, ma con una fiducia nelle proprie possibilità che alla fine è stata più che ripagata. È difficile non pensare ai suoi personaggi, che partono sempre dal basso, eppure sono mossi da una fiducia che viene sfidata e messa alla prova, ma il più delle volte alla fine viene ripagata.

Alla fine, ne sono uscita anche con una gran voglia di scrivere e di non darmi mai per vinta. Lui quando ha pubblicato il primo romanzo ne aveva dodici nel cassetto. Non uno, non due, non tre. Dodici. Di questi dodici, parecchi ora hanno visto la luce (il che spiega anche la sua apparente inumana velocità di scrittura: si era portato avanti un sacco col lavoro). Quindi chissenefrega se qualcosa rimane nel cassetto. C'è sempre la speranza che ne esca.
Non ho ancora la testa per riprendere a lavorare su un romanzo, ma un racconto l'ho iniziato. Nei ritagli di tempo, a tarda sera, in modo imperfetto, chissenefrega, ma ho tutta l'intenzione di finirlo. 


giovedì 3 novembre 2016

Giorni magici


Dite che state per mettervi in viaggio con una lattante e qualcuno di certo vi predirrà l'apocalisse. Come minimo la fine di tutte le routine impostate con sequela di notti insonni, fino al tracollo sanitario. Invece, alla facciaccia dei gufi, alla pupattola piace viaggiare. Zero pappe saltate, zero ritmi interrotti.
Abbiamo fatto base a Viareggio e devo dire che, per quanto io ami la campagna, trovarmi in un ambiente simil cittadino per una volta mi ha fatto raggiungere l'estasi. 
Appartamento con ascensore, invece che tre viaggi su e giù per le scale ogni volta che si vuole uscire cinque minuti netti dalla decisione al marciapiade.
Dall'altra parte della strada un fast food specializzato in tagliate, a due strade il supermercato e, ovviamente, a venti minuti di carrozzina, il mare. Nel nostro bel borgo sbagliare tipo di pannolini è un piccolo dramma domestico. Bisogna trovare qualcuno che tenga la bimba, aspettare che abbia mangiato, prendere la macchina, pregare che non ci siano ritardi per tornare in tempo per la pappa successiva. Oppure trovare un gentile volontario, istruirlo su cosa comprare, sperare che abbia capito bene. Di colpo, per quattro giorni è stato "ok, scendo e vado a prendere quello che manca". Non credo che ripudierò mai la campagna, uscire con il passeggino, andare a vedere gli asinelli o i greggi che passano è un privilegio. Altre famiglie sono venute a Viareggio per respirare "aria buona", mentre noi, rispetto a casa, sentivamo l'odore dello smog. Però per quattro giorni è stato il Nirvana.
E poi a 20 minuti c'era quel luogo magico che è Lucca Comics & Games.
Io e il marito siamo andati a turno.
Lunedì è stato il mio giorno. Arrivata all'alba, mentre passeggiavo sulle mura ancora deserte (quelle in foto), la mia prima considerazione è stata che ero al mio decimo Lucca Comics & Games e non ha mai trovato la pioggia. Considerato il periodo dell'anno inizia a sfidare ogni statistica. Druidi in azione?
Poi pian piano le vie e le mura hanno iniziato a popolarsi di cosplayer, nerd e curiosi e io all'apertura mi sono infilata negli stand degli editori. Pessima mossa. Nel senso che non c'era alcuna ressa, si poteva guardare tutto con calma, vedere un sacco di cose interessanti... Comprare un sacco di cose interessanti! Alle 11 avevo già finito i soldi e lo spazio nello zaino. Un sacco di volumi meravigliosi erano cartonati e dato che sono rientrata solo a sera... Ho ancora le spalle che fanno male!
Al pomeriggio ho fatto l'autrice.
Allo stand di Rill c'erano i miei libri e il poster con la copertina dell'antologia (che non ho portato a casa perché non avevo dove metterlo...)
C'è stata la presentazione dell'antologia in sala Ingellis, quella dove passano i vip, seduta un attimo prima c'era uno scrittore di nome Terry Brooks... C'è stata l'intervista radiofonica e, sopratutto c'è stato ciò che mi ha davvero convinto alla trasferta.

Se seguite il blog, avrete notato che amo la letteratura fantastica, ma sono piuttosto schizzinosa. Negli ultimi anni, tuttavia tra le recensioni più entusiastiche che ho scritto di libri fantastici c'è un nome che si ripete spesso. Addirittura scrive fantasy così ben strutturati da avermi mandato in crisi come autrice. Si tratta di Brandon Sanderson, autore statunitense di romanzi che per me sono stati folgoranti. Ebbene, io Brandon Sanderson l'ho intervistato. Per una quarantina di minuti l'ho avuto tutto per me, con tanto di interprete e fotografo, per chiedergli ciò che volevo!
Di questo, di come mi abbia incantato sia a livello professionale che a livello umano, riparlerò a breve...
Per ora un grande, enorme GRAZIE, a tutto lo staff di Rill e in particolare ad Alberto Panicucci per aver realizzato, in un autunno di sogni realizzati, un altro dei miei sogni.