lunedì 28 giugno 2021

Mystfest2021

 




Partire all'avventura, senza sapere bene cosa aspettarsi, spaventata dal dover guidare in autostrada, dalla mia timidezza, tornare piena di gratitudine, ubriaca di incontri, di risate, di storie, di libri e di idee nuove. Questo è stato per me il Mystfest 2021, vissuto dal ruolo (molto privilegiato) della pregiurata.

Nell'incapacità di dare un ordine ai pensieri, mi limiterò alle cose essenziali.

Il Mystfest e la sua organizzazione

Io non oso immaginare quanta fatica ci voglia a organizzare un festival del genere, di questi tempi, cercando di far sentire ciascuno a casa, ciascuno coccolato, a proprio agio, in modo che vada via con un grande desiderio di tornare. Però so che il Mystfest c'è riuscito. Simonetta Salvetti, la direttrice del festival, e tutto lo staff hanno la mia più grande ammirazione. Sono riusciti a creare un evento in cui ci si sentiva a casa e si poteva passare con grande naturalezza dalle risate più grasse alla riflessione. Era tutto curato nei minimi dettaglia, al punto che quando un gatto nero ha fatto la sua comparsa dietro al palco, mentre parlavano i giallisti era difficile pensare che il suo ingresso non fosse stato sapientemente coreografato.

Il Fondo Giallo della Biblioteca di Cattolica
Vi sono custoditi tutti i gialli editi in Italia
Praticamente il mio paradiso è così.


Franco Forte, il Giallo Mondadori e tutti i suoi autori
Avevo già avuto modo di incontrare Franco Forte e di conoscerlo per la gran persona che è, ma non avevo mai avuto modo di sentirlo parlare così a lungo, anche in ambiente informale. Franco Forte è il direttore di diverse collane di Mondadori e autore poliedrico, ma è anche, sopratutto, il papà letterario di un sacco di scrittori. Autori che ha letto, incoraggiato, di cui ha favorito l'incontro, che promuove, quando arrivano alla pubblicazione, con evidente piacere. Si dice che in ambito scolastico che una classe prenda il carattere dell'insegnante più carismatico o più presente. Evidentemente funziona così anche nel giallo. Quello che ho trovato in tutti è stato il piacere di incontrarsi, di parlare di storie, di leggersi a vicenda, di raccontare progetti in corsa. Ho scoperto che molto collaborazioni, magari sfociate poi in libri scritti a quattro mani, sono nate a Cattolica intorno a un tavolo. Perché alla fine gli scrittori sono in primo luogo lettori e quello che sognano davvero sono tante storie nuove. 

Roberto Saviano
L'incontro più toccante, anche da un punto di vista umano, è stato quello con Roberto Saviano. Chi, ormai, non ha letto i suoi libri, non l'ha visto parlare in televisione? Però dal vivo è un'altra cosa. E per un motivo molto semplice. Lui vive sotto scorta e lo vedi. Lo vedi in faccia quando dice che è stanco, che ha rinunciato a quindici anni della sua vita. Gli vedi gli occhi, non solo non hai alcun dubbio sulla sua sincerità, ma vorresti andare ad abbracciarlo. Non puoi, non solo per le norme covid, ma anche perché la scorta te lo impedirebbe. La scorta che è lì, che ti controlla prima di andare al firmacopie. Che se lo porta via, quando gli altri autori vanno a bere qualcosa insieme. E tu di colpo ti chiedi cosa significhi davvero vivere sotto scorta, molto meno libero che il libertà vigilata, è un regime di massima sicurezza che sarebbe duro anche se ci fosse alla base qualcosa da scontare.


Il Gran Giallo Città di Cattolica
Io poi ero lì per quello, per il premio per il racconto giallo. Innanzi tutto ho scoperto una cosa. Avevo già vissuto il Gran Giallo da finalista. Ebbene, da pregiurata me lo sono goduta mille volte di più. Con tanta emozione, perché quest'anno ho tifato visceralmente per alcuni racconti. Quest'anno, come ho già scritto, c'erano racconti che giocavano in un altro campionato rispetto agli altri e in quegli altri ci metto anche i miei, di racconti. Testi autoriali, che rimangono dentro che non sono "solo dei racconti".


Il vincitore sarà pubblicato su Giallo Mondadori, ma io spero davvero che almeno tutti e tre i racconti finiti sul podio abbiano uno spazio di pubblicazione. O magari che vengano ampliati e diventino romanzi. Perché questi sono dieci racconti tutti bellissimi e alcuni mi hanno proprio rapito il cuore. Mentirei se dicessi che tutti i 202 racconti partecipanti meritavano una lettura. Ma questi (e altri) hanno ripagato di gran lunga la fatica. Visto che li ho letti vorrei spendere una parola almeno sui primi tre.
3°classificato - La scacchiera di Jo'Burg
È il Sud Africa che non ti aspetti. Il Sud Africa di chi non ha patria, perché ha un genitore bianco e uno nero. In due comunità che ancora fanno fatica a integrarsi, questi sono i figli di nessuno. Bambini che in passato non avrebbero dovuto nascere, essendo i matrimoni misti vietati e che sono esuli nella loro stessa terra, dal momento che nessuna comunità li riconosce. Mi auguro che questo racconto venga ampliato, diventi un romanzo. Quando lo ritroverete da qualche parte leggetelo, perché ne vale la pena.
2°classificato – Un fatto terribile
Questa racconto è un'opera d'arte. Da sbattere in faccia a chi ancora considera quella di genere letteratura di serie b. È di sicuro il più autoriale, il più raffinato come scrittura, quello che crea l'atmosfera più densa e immersiva. Un paesino del sud, parecchi decenni fa, un fatto semplice nell'abisso di dolore che scatena. Dell'autrice, Matraxia Simona, sentiremo ancora parlare.
1°classificato – Fine pena mai
Ci vuole coraggio, un enorme coraggio per scegliere come protagonista un ergastolano, mafioso non pentito che si trova a indagare su delle uccisioni avvenute in carcere e a collaborare con la direttrice dello stesso, che della mafia è stata vittima. Un racconto che si regge su equilibri perfetti, ci porta dentro il carcere, mondo parallelo con le sue ritualità e sul suo lessico. Da leggere assolutamente.


domenica 20 giugno 2021

Verso il Mystfest 2021 come pregiurata del Gran Giallo


 

Giacché questo è l'anno degli imprevisti è bene non vendere la pelle dell'orso prima di averlo catturato.

Quindi forse, se, se, se, se... giovedì partirò per uno di quegli eventi che nella vita di una mamma sono rari e memorabili quanto le eclissi solari. Un fine settimana con un'amica!

L'occasione? Ovviamente eccezionale: la partecipazione al Mystfest di Cattolica in quanto membro della pregiuria che ha aiutato a individuare i dieci racconti finalisti del Gran Giallo Città di Cattolica.

Ecco, quella di leggere i racconti partecipanti a un concorso è un'esperienza che, almeno una volta, chiunque voglia scrivere a livello professionale dovrebbe fare.

Innanzi tutto perché è un rapido bombardamento di stili diversi, idee narrative e personaggi. Il Gran Giallo Città di Cattolica è tra i più prestigiosi concorsi per racconti gialli presenti in Italia. Tutti partecipanti, tranne i più sprovveduti, sanno che non basta un buon racconto. Ce ne vuole uno memorabile, che catalizzi l'attenzione della giuria e spicchi tra tutti gli altri (tanti) partecipanti. Quindi ogni autore si ingegna cerca trovate, strategie, personaggi . Non tutto funziona, ma è come fare un corso di scrittura accelerato. Da fuori, poi, è molto più facile capire cosa funziona e cosa no.

È un bel bagno di umiltà. Ci sono racconti che, dal mio punto di vista, giocavano a un altro campionato. Un campionato, purtroppo, a cui non ho (ancora) avuto accesso. E non fatevi abbagliare dal mio tono tranquillo. Il mio ego di scrittrice di racconti è piuttosto imponente. È il genere che frequento di più, che amo di più, di cui pubblico di più. Come scrittrice di racconti io mi sento brava. Ma alcuni lo sono più di me. E mi piange il cuore all'idea che il vincitore sia uno solo. Mi fa anche bene, però. Nella rosa dei finalisti ci sono racconti che ho amato tantissimo e tra cui non saprei scegliere. Per fortuna persone più qualificare di me avranno il compito di stabilire una graduatoria. Quindi ogni volta che sono arrivata in finale a un concorso, anche se non ho vinto, ho scritto qualcosa che qualcuno ha amato.

Rappacifica con il mondo dell'editoria italiana. Perché so come ho letto i racconti. Senza sapere chi li avesse scritti, cercando la massima oggettività. Perché so che tutti hanno lavorato come me. E quindi no, non è vero che è tutto un magna magna e che tutto è pilotato. Questi sono bravi. Tanto.

Da uno spaccato del nostro tempo che non mi aspettavo mi arrivasse con questa forza. La maggior parte die racconti, suppongo, sono stati scritti durante la pandemia. Molti sono ambientati in questi mesi di panademia, ma, al contrario di quanto capitava l'anno scorso, il virus non domina mai la narrazione. La nomina la stanchezza, la tristezza. I protagonisti quest'anno sono per lo più investigatori già sconfitti dalla vita, perché, comunque vada, la felicità è a loro preclusa. Ho perso il conto dei racconti in cui il protagonista ha subito un gravissimo lutto famigliare, quasi sempre il figlio. È un tema trasversale,  si trova nei racconti peggiori come nei migliori. È la tristezza all'ennesima potenza, il lutto più pervasivo e lacerante che possiamo immaginare. Questi racconti, non (solo) i finalisti, tutti quanti formano un canto di lutto collettivo. E questo mi ha toccato e commosso nel profondo.

Il consiglio che darei a chi sogna di entrare l'anno prossimo nella rosa dei finalisti? Non trascurate l'impaginazione. Sembra una sciocchezza. Ma abbiate pietà dei poveri pregiurati che leggono tutte le centinaia di racconti in poche settimane, per lo più alla sera. Un racconto scritto in corpo 8, con interlinea 0,7 e i dialoghi che non è chiaro dove iniziano e dove finiscono non bendispone. Poi cerchiamo di essere oggettivi e distaccati, magari quel racconti dall'apparenza illeggibile è un capolavoro, ma se inizia a farmi tirar giù santi solo per re impostarlo in un formato leggibile!

Intanto i miei migliori in bocca al lupo a tutti e dieci i finalisti. Dire "che vinca il migliore" implica che ci sia un migliore, ma io avrei davvero difficoltà a scegliere

martedì 15 giugno 2021

L’anno che ci ha fatto capire cos’è la scuola


 

Quest’anno scolastico non è finito. Si è afflosciato. Svuotato lentamente. Adagiato.

Si è addormentato lentamente, come fanno i bambini, quando continuano a sbadigliare, ma protestano di non avere sonno. 

Gli ultimi sono stati giorni strani. Gli scrutini sono stati fatti con un anticipo mai visto. E quindi ci siano trovati ad andare a scuola con i programmi chiusi, le medie fatte, persino il conto delle assenze già cristallizzato.

Si è creato uno strano clima di autogestione, con le classi che stavano per lo più all’aperto, passeggiate al posto delle lezioni, cineforum su proposta dei ragazzi, ma sembrava che nessuno avesse davvero voglia di porre fine a tutto questo. Nessuno aveva più voglia di studiare, ma la voglia di venire a scuola, quella non era passata. Perché questo, in fin dei conti, è stato l’anno in cui abbiamo capito che la scuola è molto di più della somma degli insegnamenti che vi vengono impartiti.

Questo è stato un anno di follia didattica (spero) difficilmente uguagliabile.

Ho fatto lezione in una ex mensa, con una colonna in mezzo che bloccava a tre ragazzi la visione della lavagna, in un ambiente in cui ogni parola rimbomba, senza LIM, ma con un computer collegato a un proiettore che proiettava (appunto) nell’unico punto del muro in cui batteva il sole.

Ho fatto lezione da casa gli alunni a scuola.

Ho fatto lezione da scuola agli alunni a casa.

Ho fatto lezione a scuola con tutti gli alunni a casa e un alunno collegato via web.

Ho fatto lezione a scuola a classi con un gruppetto a scuola e la maggior parte a casa.

Ho fatto lezione a scuola a classi con la maggioranza a scuola e un gruppetto a casa.

Ho fatto da supporto a lezioni fatte da casa a un gruppo a casa e uno a scuola.

Ho fatto lezione da scuola ai ragazzi a scuola ma via web.

Credo sinceramente di aver provato tutte le combinazioni di DDI (Didattica Digitale Integrata) possibili, con vette di particolare improbabilità. Ho assistito da scuola insieme a un ragazzo audioleso a una lezione fatta da remoto dal docente di musica in cui in teoria sarebbe stato importante capire quale fosse la nota suonata dal docente a casa e trasmessaci dalla LIM. Per riuscire a far interagire la classe che rimbomba con un esperto esterno ho dovuto tenere 24 ragazzi, tutti presenti, ciascuno collegato al proprio dispositivo, con cuffie e microfono e in questo modo facevano anche le domande a me che stavo a due metri di distanza. Questo del resto è stato anche l’anno in cui gli Ipad sono sbarcati a scuola e ci siamo trovati tutti con la nostra piccola astronave in mano. A un certo punto è diventato più facile comunicare con l’Australia che con il vicino di banco.

In tutto questo non ci siamo risparmiati un alluvione di quelli da far passare tutta una giornata a rintracciare parenti e amici, per assicurarsi che stessero bene e una nevicata che ha isolato l'asilo di mia figlia e ha reso il rientro a casa un'odissea di oltre due ore, invece che gli abituali 15 minuti.

Mai come quest’anno ho sentito che la scuola è quel posto, reale o virtuale, in cui passiamo tantissimo tempo. E è un tempo che non può essere di sofferenza. Soprattutto se già il mondo intorno sembra impazzito, se l’angoscia raspa con forza alle porte della nostra mente. Quasi tutti, a turno, per lo più per contatti esterni alla scuola, siamo finiti in quarantena. E quando si è chiusi in casa, isolati anche dai propri cari, il tempo non passa più. L’ho vissuto io, ma ho avuto anche ragazzi, unici positivi in famiglia, che sono stati messi in isolamento nella propria stanza, da soli, con il collegamento con la scuola come unica finestra di socialità. Quasi tutti, a turno, siamo stati angosciati per la salute dei nostri cari. A volte, purtroppo, la preoccupazione è finita con un lutto.

Mai come quest’anno ho avuto la percezione del fatto che la scuola non è un luogo ma un tempo, uno spazio di vita. E non può essere un tempo buttato, un buco nero di noia. Deve essere, necessariamente, un tempo di qualità. Una frazione di vita intensa.

Questo era anche l’anno della sperimentazione senza zaino. Che in parte è morta di covid, perché non abbiamo derogato alle regole di distanziamento, che hanno resto impossibile quella condivisione di spazi e materiali che è parte integrante della metodologia. Dal momento, poi, che a scuola non si poteva lasciare niente, che ogni ragazzo doveva avere la propria dotazione personale e ogni prestito doveva passare dalla pulizia del materiale, si è trasformata in una scuola con sempre più zaino. Ai libri e ai quaderni si è aggiunto l’ipad e qualsiasi altro materiale si dovesse usare. Interi plastici dovevano andare a casa e tornare con gli alunni ogni giorno.

Il senza zaino, però, è stato almeno un pretesto per sperimentare. In un mondo di colpo così spaventoso non potevo avere paura di provare a fare. Cosa? Qualsiasi cosa che ci permettesse di imparare stando bene. Partendo dal presupposto che se stavo bene e mi divertivo io probabilmente sarebbero stati bene anche i ragazzi, questo è stato l’anno in cui ho provato più cose nuove. Forse è stato l’anno in cui mi è passata definitivamente la paura di non riuscire a fare tutto, dato che con questi continui cambi di regole e modalità sembrava pura utopia finire quanto programmato a settembre. Per assurdo, è stato l’anno in cui abbiamo terminato gli argomenti da affrontare prima dei giorni di lezione.

Abbiamo provato quindi.

Abbiamo costruito vulcani facendo a gara tra i ragazzi a scuola e quelli a casa a chi li finiva prima. Abbiamo decostruito in ogni modo possibile i poemi epici e abbiamo stabilito che quest’anno in nostro eroe è Ettore. Perché in fondo, in mezzo a una pandemia, vogliamo qualcuno che combatta per noi per farci coraggio, pronto a morire piuttosto che abbandonarci. I ciclopi e le sirene li lasciamo per tempi migliori. Abbiamo (cercato) di imparare i verbi saltellando nel cortile della scuola. Abbiamo cercando di rendere viva la storia, un po’ più vicina e meno astratta e del resto lo sgomento dei medioevali di fronte alla peste non era così diverso dal nostro. 

Abbiamo provato e abbiamo cercato. Non sempre siamo riusciti nel nostro intento. Solo il futuro mi dirà se i ragazzi hanno nonostante tutto imparato.

Eppure questo è stato un anno di cui ricorderò il tempo scuola con simpatia, se non con piacere. Perché in alcuni momenti è stato quasi il mio tempo migliore.

Prof pronta per lezione di storia

Elaborato di francese sopravvissuto al volo

Duello omerico in corso

Invasione vichinga

Scriptorium medioevale




Vulcani pronti all'eruzione
(diligentemente distanziati anche loro)


Quello che ho imparato quest'anno, anche grazie ai miei alunni, è che non possiamo scegliere il tempo che ci è dato da vivere. A volte, solo a volte, possiamo scegliere come viverlo.

E comunque, ora la scuola è finita. È iniziata la scuola estate...
Noi oggi a lezione...