Ci sono piccoli fatti di per se insignificanti che però fungono da campanelli d'allarme.
Nelle ultime settimane a scuola sto raccogliendo strani indizi che suscitano domande che sto condividendo con amici e colleghi alla ricerca di una chiave di letture.
Le cose sono andate all'incirca così. Dopo il solito ciclo di lezioni mi appresto a correggere le verifiche di geografia. Ora geografia è di solito una materia "amica". Piace, permette di immaginare viaggi, esperienze, si presta a mille approfondimenti e collegamenti interdisciplinari. Non è una materia che in generale metta ansia, né io voglio che lo sia. Deve essere una di quelle materie in cui più o meno tutti, se ne hanno la volontà, possano cavarsela, dove sono più propensa ad aggiungere piuttosto che a togliere. Insomma, per andare male bisogna proprio impegnarsi. E poi le classi di questi anni sono le migliori che si potessero sognare di questi tempi. Neppure so più come si fa a mettere una nota disciplinare. Quindi nell'assoluta non volontà di infierire ho confezionato una verifica sulla Germania che prevedesse una lettura di cartina (con possibilità di consultare quella del libro) e delle domande sul passato della Germania, studiato attraverso video, film, giochi di immedesimazione. Una di quelle verifiche in cui ci sia aspetta di distribuire otto a pioggia. Ed ecco quindi la mia costernazione nello scoprire che Berlino si trova nella Pianura Padana, Vienna sta in Germania, il muro di Berlino era alto 550 m o anche 155 km. La cosa più strabiliante era che le risposte erano del tutto indipendenti dallo studio. La cartina era data e ben leggibile. Il discorso sul muro di Berlino poteva essere sostanzialmente corretto fino alle dimensioni dello stesso.
L'esperienza mi ha insegnato che alcune risposte deliranti hanno origine dal fraintendimento di qualcosa di effettivamente detto o fatto in classe, ma qui si andava troppo nel mondo parallelo perché l'origine fosse quella. Qualche giorno dopo mi trovo a parlare della dominazione austriaca su Milano. Tra dove insegno e Milano ci sono circa 40 minuti d'auto. Ho pertanto la malaugurata idea di chiedere a che punto della strada si scavalli dal Piemonte alla Lombardia, per far capire come da noi si fosse in un altro stato. Al piovere delle risposte inizio a segnare alla lavagna i paesi che secondo loro si incontrano tra il Lago d'Orta e Milano. C'è chi ci fa fare il gran tour del Piemonte e chi punta diretto verso la Svizzera. Salta fuori che la maggior parte di loro a Milano non c'è mai stata. Oppure ci sono stati da bambini, nel mitico e lontano mondo pre pandemia.
Ormai viviamo da due anni nella bolla pandemica. Due anni di viaggi mancati, di prossimità, affetti stretti, tamponi e mascherine. Due anni di DaD a singhiozzo. Per me sono due anni tra i 40 e i 42, ma per loro sono due anni tra i 10 e il 12, tra l'infanzia e l'adolescenza. Due anni in cui il virtuale ha sopravanzato il reale, cui Milano è lontanissima, può stare accanto a Berlino, tanto sono entrambe irraggiungibili. Due anni di esperienze mancate. Ieri un'alunna commentava un libro letto ambientato a Londra. Si stupiva di leggere di suoi coetanei (quasi 13 anni) che andavano da soli in metropolitana o salivano sulla ruota panoramica. Lei la città non ricorda di averla mai vista e la sola idea le fa paura, il luna park è un'esperienza lontanissima, dell'infanzia e di un mondo forse ormai finito. Fino a qualche anno fa gli alunni di seconda media spasimavano per visitare Londra o Parigi, ora è un sogno irraggiungibile. Non solo, queste città generano più paura che desiderio.
Li osserviamo giocare all'intervallo nel grande cortile che per fortuna abbiamo, ben diviso in modo che ogni bolla/classe abbia il suo spazio, e vediamo come giochino come farebbero bambini di 8/9 anni. Fanno tenerezza, giocano a sparviero o a prendersi. Si organizzano, raramente litigano, anche perché i loro rapporti sono strettissimi all'interno della bolla, se si vedono fuori da scuola spesso lo fanno solo tra compagni di classe o addirittura tra quelli seduti più vicini, per limitare i contatti. Poi c'è il contraltare d'ansia. La psicologa scolastica ha l'agenda piena. Abbiamo una percentuale non trascurabile di ragazzi che che faticano a uscire di casa per venire a scuola, incapaci di affrontare il mondo. Siamo una scuola piccola e quindi cerchiamo di non perderli, di andarceli a cercare, di recuperarli, ma stiamo parlando di un ragazzo ogni 20/25 studenti, una percentuale mai vista.
L'unica osservazione che riesco a fare ora è che non si cresce chiusi nella propria camera. Si può apprendere, ci si può istruire, ma non si cresce. Quello che manca a questi ragazzi è il contatto con l'esterno, il confronto tra il personale e il generale. Quel minimo si esperienza empirica che ti ha scattare un campanello d'allarme se stai scrivendo che un muro è alto mezzo chilometro o che Berlino sta verso Pavia. I miei alunni hanno 12/13 anni. Sono abbastanza ottimista sul fatto che ne usciranno. Sono resilienti. Hanno attraversato dolori, quasi tutti la pandemia l'hanno vista da vicino, a molti ha portato lutti. Non sono bimbi viziati. Sono educati e volenterosi. Quello che manca è solo il contatto col mondo esterno. Due anni, però, credo sia il limite massimo che si possa sopportare, specie a quest'età. Perché questa condizione è pericolosa a più livelli. L'adolescenza è l'età della scoperta, del sé, degli altri, del mondo oltre e a volte in opposizione alla famiglia. Non la si può affrontare con il timore per tutto ciò che è esterno. Metà dei ragazzi ha sintomi da ansia da controllo, li abbiamo anche noi adulti, ma dovremmo avere gli strumenti per affrontare la cosa, cosa che non si può pretendere a 12 o 13 anni. Ma mi spaventa ancor di più la difficoltà nel riconoscere il plausibile generata dalla mancanza di esperienze concrete. I miei alunni, poi, sono ragazzi di campagna. Vanno per boschi, si muovono in bicicletta, hanno discrete abilità pratiche. Ma nella loro inesperienza è facilissimo convincerli di qualsiasi cosa. Oggi di un posizionamento improbabile di una città, domani di chissà cosa. Google è l'unico detentore delle verità su un mondo esterno che forse non esiste e che comunque non li riguarda. Perché, ed è la cosa più triste, faticano non solo a immaginare una vita diversa, ma anche a sognarla o a desiderarla. Che l'idea di visitare Londra metta paura forse è peggio di pensare che Berlino stia verso Pavia.
Per chi volesse una storia (solo un po') meno angosciante, ecco un nuovo capitolo de L'assedio degli angeli.