lunedì 30 marzo 2015

Vita da giallista


Finalmente si torna a scrivere gialli!
Negli ultimi mesi, come sapete, sono stata lontana dalla scrittura e, quel poco tempo che ho avuto da dedicarle, l'ho usato per cimentarmi con altri generi.
Prima di Natale ho scritto un apocrifo sherlockiano dai toni non del tutto gialli (quelle di Sherlock Holmes sono spesso più propriamente "avventure", piuttosto che gialli classici). Poi è stata la volta di Prima che venga il gelo. C'è stato il tentativo di cimentarmi nel rosa in costume (per il momento sospeso) e infine un altro racconto fantastico per un concorso a cui sono particolarmente affezionata. Adesso, però, il colore prevalente nel giardino è quello dei fiori che vedete in foto. E quindi non resta che immergersi di nuovo in un fantastico mondo a base di sangue e delitti!

COME TI SERVO IL MORTO
C'è una puntata della mia serie preferita, Sherlock, la seconda puntata della terza stagione, in cui il protagonista si trova a dover ragionare ad alta voce a un matrimonio. Sa che ci sarà un delitto, ma non chi sarà la vittima né quali potranno essere le modalità. Quindi inizia ad elencare i modi in cui lui ucciderebbe le varie persone presenti, ammettendo che, come esercizio, lui immagina spesso come ammazzare il propri amici. L'effetto è, ovviamente, un poco inquietante.
Eppure non sono così diversa. Un delitto, secondo me, deve essere fattibile, plausibile in quel dato luogo e tempo. E quindi, sì, come ammazzerei una persona in modo pratico ed efficace?
In Avventura a Parigi l'arma del delitto è qualcosa che è presente nel mio salotto, cosa che, a lettura ultimata, ha inquietato più di un famigliare. 
Sono molto affezionata a mia suocera e non le farei mai del male, però l'ho uccisa. O, meglio, ho immaginato un personaggio con la sua stessa grave allergia e ho pensato a come farlo fuori facendo passare il tutto per un incidente.
In effetti "come ammazzerei la persona x?" è un interrogativo piuttosto importante per una giallista!
Marito e amici, per fortuna, si sono abituati a questo mio passatempo. In quanto farmacista, mio marito è consulente in veleni, mentre gli amici sono una riserva inesauribile di creatività. Ormai sono rassegnati al fatto che ogni tanto giunge loro un messaggino che recita "come la ammazzo una persona che...". Nessuno di loro, per il momento, mi ha denunciato.
E sì, come prof, suppongo che non sia un caso il fatto che un certo quantitativo di vittime sia composto da studenti...

LETTURE ISTRUTTIVE
Nella mia postazione di lavoro sono sempre presenti due libri. Uno dei manuali di antropologia fisica su cui ho studiato all'università, con il capitolo riguardante l'antropologia forense e La gestione della scena del crimine un testo scritto da poliziotti e carabinieri e su cui mi interrogo da tempo perché non vedo a chi, se non ai giallisti, possa interessare...
Larve, tempi di decomposizione e amenità varie non hanno più segreti. Però a volte i sacri testi non bastano.
Ogni tanto quasi mi aspetto una telefonata da parte dei carabinieri. Come quella volta in cui ho scaricato un manuale in PDF con tutte le istruzioni per scassinare una serratura. Certo, nell'introduzione si diceva che scassinare delle serrature (ovviamente) acquistate appositamente può essere un hobby come un altro, però... (Sia agli atti che mi sono limitata alla teoria, ho già problemi a relazionarmi con la porta di casa mia munita di apposita chiave...)
Per non parlare di quando ho scoperto che fior fiore di sette sataniche hanno un loro seriosissimo sito internet! Ricordo che ce n'era uno che tentava di convincermi che era tutto un fraintendimento, in realtà "Satana" era il buono (ma dotato, suppongo, di un ufficio stampa davvero pessimo). La cosa buffa è stata che di un pomeriggio intero passato a leggere i siti delle più improbabili sette ne La roccia nel cuore sono rimaste due righe in una battuta del ligissimo padre Marco!
Le ultime sere le ho passate invece a cercare di scoprire se si possa uccidere una persona con una fionda (la risposta è sì, meglio se con una fionda compound fatta in casa, e è attestato almeno un fatto di cronaca in cui a un tizio il vicino ha sfondato la mascella con un colpo di fionda).
Sono convinta che prima o poi mi troverò i carabinieri in casa a chiedermi conto di certe letture fatte in internet. Me ne ricordo sempre quando sto descrivere un carabiniere o un poliziotto come un idiota e finisce sempre che addolcisco un po' i toni...

DEFORMAZIONE PROFESSIONALE
– Prof! Non ne posso più! Posso buttare giù dalla finestra x, così lo ammazzo?
E il mio istinto è controllare il salto e rispondere:
– Guarda che così al massimo si rompe le gambe. E poi testimonia...
O, peggio, l'amico che si sfoga:
– Il capo non lo sopporto più! Vorrei ammazzarlo!
– Vuoi parlarmene?
Devo sempre ricordarmi che io ho ben chiaro il confine tra realtà e fantasia, ma magari il mio interlocutore no.
Perché poi, dopo aver passato la giornata a progettare omicidi, torno a casa, scopro che il gatto ha combinato uno dei suoi disastri e non sono in grado neppure di sgridarlo.
Nella vita reale sono contraria alla guerra, alla circolazione delle armi, alla pena di morte e odio litigare. È solo in letteratura, che, a un ritmo di 5/6 delitti descritti all'anno, sono ormai una serial killer...

L'ANGOLO DELLO PSICANALISTA
Sopratutto nelle prime storie gialle, l'acqua era estremamente presente.
In ben tre racconti, Avventura a Parigi, Certe Mattine e l'inedito Il caso del detective smemorato i cadaveri vengono ritrovati in acqua, due in un fiume e uno in un lago. In due casi un personaggio vene gettato in un fiume come morto, ma si salva e in un altro c'è un tentativo (sventato) di suicidio per annegamento.
In un racconto la storia inizia quando l'investigatore viene chiamato a indagare su una misteriosa serie di presunti suicidi, e in due casi su tre la causa della morte era l'annegamento.
Cosa mai vorrà dire?

Anche se non scrivete gialli, vi siete mai trovati a fare ricerche imbarazzanti per i vostri scritti? O a uscirvene con un'affermazione inopportuna perché stavate pensando alla vostra storia?

venerdì 27 marzo 2015

Prima che venga il gelo – Parte terza

Qui la Parte Prima.
Qui la Parte Seconda.

Riassunto breve: Ven è un giovane pastore della Ley del Nord. Un gruppetto di nomadi Coyranà giunti al suo capanno lo informa che poche miglia più a monte si è consumata una congiura. Il leyler (governatore) ha ucciso il Leylord e il suo erede.
Poco dopo, Ven trova in un fiume il corpo del giovane erede del Leylord, un suo coetaneo e scopre che è vivo, sia pure gravemente ferito. Lo porta al capanno, dove viene raggiunto dalle due donne del gruppetto Coyranà. Poco dopo sopraggiungono i soldati del leyler...


 I soldati del leyler erano vestiti di metallo e di nero. In tre avevano addosso più ferro, tra spada, picca e cotta di maglia, di quanto ce ne fosse nella casa dei Serder, giù in paese. Cavalcavano imponenti cavalli dalle lunghe criniere ed erano accompagnati da due grossi mastini dal collare irto di punte.
 Ven agguantò Puk con una mano che tremava, ma pensò che non c’era nulla di strano nel farsi vedere spaventato da dei soldati. Aveva portato il principe a spalla e tra l’odore delle pecore, della torba e quello di Puk, i mastini non potevano certo distinguere quello del ragazzo.
 – Cerchiamo un traditore. – disse uno degli armati, senza preamboli. – Dargli aiuto o riparo è un crimine che il leyler punisce con la morte.
  Di solito, notò Ven, le guardie parlavano in nome del leylord, di cui il leyler era garante nella Ley.
 – Tenete i vostri cani lontano dal mio. Com’è questo traditore?
 – È un ragazzo biondo, può trarre in inganno e sembrare gentile, ma è subdolo e malvagio.
 – Non c’è molta gente bionda qui in giro. – replicò Ven.
 Una delle guardie lanciò una lunga occhiata lasciva sulla ragazza.
 – Cosa ci fa una vagabonda coyranà con te, ragazzo? – chiese, con disprezzo.
 – So parlare da sola. – si fece avanti lei. – Mi chiamo Vilaya. Viaggiavo con mia nonna, ma lei ieri si è sentita male e abbiamo chiesto ospitalità al primo riparo che abbiamo trovato, da questo pastore.
  L’uomo che aveva parlato, il capo, sputò per terra a segnalare cosa pensava sul far entrare in casa dei coyranà.
 – Perquisite il tugurio. – ordinò agli altri.
  Adesso Ven sentiva che gli tremavano le gambe, oltre alle mani.
  Due degli uomini scesero di sella e aprirono la porta della casa con un calcio sufficiente a scardinarla.
  Un’abitazione con un ambiente solo non offriva molti nascondigli.
  Uno dei mastini entrò nella casa insieme agli uomini e un istante dopo si sentì la vecchia gridare.
  Ven e la ragazza, Vilaya, si precipitarono dentro a loro volta.
  Il mastino stava ringhiando alla vecchia, che tremava sdraiata sul giaciglio. Uno degli uomini le aveva strappato la coperta e stava infilando la punta della spada nel materasso di fieno. L’altro aveva aperto l’unica cassapanca e, senza un motivo apparente, stava prendendo a calci la torba accatastata per essere bruciata. 
  Ven sbatté gli occhi più volte, ma del principe non c’era traccia.
 – Volevo solo passare una notte al riparo! – stava piagnucolando la vecchia. – È un delitto anche questo, adesso?
 – Alzati, megera, se non vuoi che ti punzecchi con questa! – disse l’uomo con la spada sguainata.
  La vecchia prese a tossire, si passò una mano davanti alla bocca e la mostrò all’uomo sporca di sangue.
 – Sarai anche tu vecchio un giorno, ragazzo. – mugolò – Non posso alzarmi e anche se mi uccidi non cambi di molto il mio destino.
 – Non mi importa chi siete, non osate toccare mia nonna! – si intromise Vilaya.
 – Non c’è nessun altro. – parlò anche Ven. – Solo una vecchia malata. L’ospitalità, qua sulle alture, è una legge sacra. Ma non c’è nessun traditore.
 – Cosa succede? – gridò il capo da fuori.
 – C’è una vecchia coyranà decrepita che tossisce sangue. – rispose uno degli uomini armati.
 – Nessun altro?
 – No.
 – Venite fuori. Non abbiamo tempo di occuparci di tutti i rifiuti della terra. 
  I due uomini che erano nella casa si guardarono un po’ delusi. Uno sputò nel fuoco.
 – Puzzerò di pecora e di torba per tutto il giorno. – grugnì.
 – Non che per te peggiori tanto la situazione. – replicò l’altro, mentre indirizzava il mastino verso l’uscita.
 Ven si lasciò quasi cadere per terra, mentre le due coyranà rimanevano immobili. 
  Dall’interno, seguirono i rumori dei tre uomini che si rimettevano in sella, richiamavano i cani e ripartivano.
 – Troveranno il nonno e Damesh? – chiese Vilaya.
 La vecchia, con un movimento agile, saltò su dal giaciglio. Il corpo del principe era proprio dietro al suo, eppure, finché non si era mossa, era stato del tutto invisibile.
  La donna strizzò l’occhio a Ven e sputò a sua volta nel fuoco.
 – Ho dovuto mordermi la lingua per sanguinare. Nessuno si avvicina volentieri a qualcuno che ha i polmoni marci. – disse. – Il nonno e  tuo fratello sanno badare a loro stessi e hanno il grosso vantaggio di non avere nulla da nascondere.
 Ven guardò con scarsa simpatia il giovane sdraiato sul suo giaciglio, con la fronte imperlata di sudore e le palpebre che tremavano sotto chissà quale incubo.
 – Lo devo tenere qui? – chiese.
  L’anziana coyranà si strinse nelle spalle.
 – Non vedo dove tu possa metterlo. Per un po’, almeno, non torneranno.

  La lunga notte d’autunno era lenta a passare.
  Vilaya e sua nonna erano andate a cercare gli altri del loro gruppo e Ven era rimasto a vegliare il ferito. Secondo la vecchia sarebbe morto nella notte oppure sarebbe vissuto.
  Ven stava seduto per terra, con Puk a fianco, tra il giaciglio e il focolare, infelice e stanco. Doveva far bere il ragazzo a intervalli regolari. Il principe Amrod si agitava nel sonno della febbre, mugolava o emetteva singulti strozzati che sembravano dover essere il suo ultimo respiro. Ven pensava che sia che vivesse, sia che morisse, qualcuno gliene avrebbe fatto una colpa.
 – E tu dovresti essere il leylord? La guida e il padre di tutti noi delle Ley? – mormorò, per far passare il tempo. Almeno avrebbe potuto dire di aver parlato a un principe. – Non sai neppure badare a te stesso. Sono convinto che, se fossi in te, avresti orrore di essere qui, sdraiato sulla paglia, in mezzo alle pulci, a bere la stessa acqua che bevono i tuoi sudditi e le loro pecore. Non si può dire che non te lo sia meritato. Scommetto che potevi avere qualsiasi cosa tu volessi. Avresti potuto avere tutte le donne del mondo, senza neanche doverle pagare. Invece hai preferito fare quelle cose schifose con un altro maschio. E sei finito qua. Scommetto che, se lo avessi saputo, avresti capito che non ne valeva la pena.
 – Ne valeva la pena, invece.
  Ven sobbalzò.
  Gli occhi aperti e lucidi di Amrod brillavano nella semioscurità rossastra. 
  E adesso, pensò Ven, come avrebbe dovuto comportarsi? Doveva inchinarsi? Come doveva parlare?
 – Valeva la pena di tutto, tranne che della sua morte. – disse ancora il principe.
  Aveva una vocetta flebile da malato, ma non priva di ostinazione.
 – Perché mi hai salvato, se la pensi così?
 Ven era ancora del tutto pietrificato. Nel suo mondo i principi, neppure quelli moribondi, non parlavano in quel modo, da pari, ai pastori. Puk, però, si era già avvicinato al giaciglio, incuneando il muso nella paglia, nel caso il ferito volesse coccolarlo.
 – State simpatico al mio cane. – borbottò Ven.
  Amrod fece una smorfia che poteva essere un sorriso.

 Ben presto la febbre tornò a prendersi la coscienza del principe e Ven iniziò ad avere paura sul serio. Fino a quel momento non gli era importato molto del ferito. Si era preoccupato di più per la salute di certe vecchie pecore miti che erano state compagne delle sue interminabili giornate di pastore. Adesso che il principe aveva parlato, però, era diventato vivo ai suoi occhi. Un ragazzetto smunto con gli occhi tristi. In preda alla febbre tremava tale e quale a suo fratello, che era morto a cinque anni squassato dai brividi e dalla tosse.
Continua il prossimo fine settimana

Vi segnalo inoltre che su Kultural è on-line in mio post Breve apologia del racconto

mercoledì 25 marzo 2015

Vedi alla voce "scrittore"


In questi giorni sono in regime di "funzionamento ridotto". Dopo dieci giorni di febbricciattola ho deciso che forse il mio organismo mi stava lanciando un messaggio, quindi da lunedì ho deciso che a un certo punto, esauriti gli impegni fondamentali della giornata, se il divano mi chiama, posso anche annuire e assecondarlo.
Stavo quindi guardando una vecchia puntata di Castle in cui lui porta la detective nella sua villa vista mare per un fine settimana romantico. Caspita, ho pensato, ecco perché tutti vogliono fare gli scrittori! Viene quasi voglia anche a me!
Complice anche questo post di Chiara, ho ripensato a tutti i luoghi comuni su chi scrive e a cosa ne penso.

Lo scrittore è uomo. Se è donna scrive rosa. Se è una vecchia signora sola e un po' acida può anche scrivere gialli.
Credo che sia la cosa che in assoluto mi dà più fastidio. Quest'idea maschile della scrittura, almeno di certa scrittura. Ci sono generi percepiti come prettamente maschili. Fantascienza? Da uomini! (Con buona pace non solo della mia amata Le Guin, ma anche di tutte le Zimmer-Bradley, le McMaster Bujold e compagnia). Fantasy? Da uomini! Che vuole saperne una donna di spade e di battaglie? (Con buona pace delle signore di cui sopra, delle Robin Hobb, della signora Harry Potter e anche della nostra Aislinn...) E così via.
Le donne, nell'immaginario collettivo, devono scrivere solo rosa, possibilmente vestite di rosa in case che sembrano gigantesche bomboniere. E comunque, nell'immaginario collettivo, per rosa si intende il più becero Harmony. Al massimo Liala. Comunque non letteratura. Qualcosa che a livello culturale viene giusto prima dell'uncinetto.
Sia ringraziata La signora in giallo (ancor più di generazioni e generazioni di gialliste) per aver istillato il dubbio che anche una donna possa scrivere dei gialli. Però deve essere vecchia, sola e acida. Perché mai una donna giovane e felice dovrebbe pensare alla gente ammazzata? Se lo fa un uomo, però, è tutto normale...

Lo scrittore è un animale notturno che si nutre di caffè, superalcolici e sigarette.
Sarà... Ammetto che quando frequentavo il master a Torino e quando frequentavo un collettivo di autori ero io la bestia rara. In particolare alle riunioni del collettivo io mi addormentavo quando gli altri, verso le 23.00 entravano in fase creativa.
Personalmente diurna, scrivo quando ho tempo, che spesso vuol dire alla sera, ma se è anche al mattino, non solo mi adatto, ma ringrazio. 
Io e il caffè avremmo tranquillamente continuato ad ignorarci, se non fosse stato per quello che è considerato l'antitesi della creatività: il lavoro d'ufficio. Nella mia breve (ma bellissima, perché non era proprio un ufficio convenzionale) esperienza di lavoro d'ufficio ho scoperto l'importanza sociale del caffè, che poi mi sono portata dietro come abitudine. Se fosse stato per la scrittura io e la tazzina non ci saremmo mai incontrate!
Sui superalcolici non saprei dire cosa li associa alla scrittura. Se si esce la sera non sono certo io a dire di no a un bicchiere di qualcosa. Non è, però, che poi mi venga voglia di scrivere...
Non fumo.

Lo scrittore è un uomo tormentato, in preda ai suoi demoni interiori.
Immagino che per praticare una qualsiasi forma d'arte ci voglia un minimo di sensibilità. Tra essere sensibili ed essere tormentati, però, c'è una bella differenza. Il fatto che si una percentuale di scrittori con problemi vari (traumi, dipendenze...) non rende vero il sillogismo "tutti gli scrittori sono tormentati". O peggio "senza traumi non si può scrivere". Per un King o un Hemingway ci sono centinaia di autori dalla biografia incolore.
E se il trauma proprio si rendesse necessario per diventare Grandi Autori, che sia agli atti che io preferisco allora limitarmi ad essere mediocre.
Quanto ai miei demoni, mi sembrano piuttosto domestici. Ce n'è uno che sonnecchia sul divano in forma di gatto. Tutto sta, suppongo, nel saperci convivere.

Per scrivere ci vuole ispirazione.
Certo, e la luna in opposizione a Mercurio e i raggi di sole obliqui sulla scrivania di mogano. E dieci anni per scrivere un romanzo.
In mancanza di un tempo indefinito, dell'ispirazione preferisco andare a caccia attivamente, piuttosto che aspettare che sia lei a venire da me. 

Ogni opera è sempre autobiografica.
Infatti io inciampo in cadaveri ogni giorno... E in draghi, fantasmi e vampiri, per giustificare la mia produzione fantastica.
E, prima o poi avrei dovuto svelarlo, in realtà sono Sherlock Holmes (e ho... Ehm... Più di 160 anni...)

Non si può scrivere senza... La moleskine/il dato programma di scrittura/la penna di marca/il gadget indispensabile.
A intervalli regolari, nella corsa come nella scrittura, incappo nel guru. Quello che ha la GRANDE VERITÀ e non vede l'ora di elargirmela.
Ricordo una conversazione surreale, in anni ormai lontani, con un tizio conosciuto prima di una corsa che mi diceva come certi scalda muscoli allora di moda fossero indispensabili per determinate prestazioni. E regimi alimentari più o meno folli. Dove pensavo di andare senza? E poi il suo sguardo mentre lo superavo in allegria. Con l'idea che per correre bastassero un buon paio di scarpe, un buon allenamento e un'alimentazione sana mi ero intanto qualificata per gli italiani.
Per la scrittura è più o meno la stessa cosa. Ognuno ha le sue fisime e i suoi rituali. Anch'io ho i miei e non mi sento certo di giudicare quelli altrui. Basta che non si provi a impormeli.
"Ma come fai a scrivere senza..." è l'incipit ideale per fare uscire il peggio del mio carattere.

Scrivendo si diventa ricchissimi.
In potenza, certo, si potrebbe diventare ricchissimi. Come si può diventare ricchissimi producendo, che so, un formaggio di capra particolarmente apprezzato. Aprendo un locale che diventa di culto. Incidendo un disco di successo. Insomma, come lo si può diventare con qualsiasi attività: con molta bravura e ancora più fortuna.
Quindi, cari aspiranti scrittori, fate un favore a voi stessi e al mondo: se sentite di avere più attitudine per il formaggio di capra, dedicatevi a quello e non a un romanzo. Le probabilità che vi renda ricchi sono più o meno le stesse.

Per pubblicare in Italia bisogna essere raccomandati.
Nella terra dei contrasti, possono benissimo convivere due stereotipi in antitesi. 
Per quanto strano possa sembrare, per pubblicare basta scrivere una buona opera, seguire alla lettera le indicazioni per l'invio (a un editore, a un concorso, a un agente) e avere un po' di fortuna. Il problema è che avere due di queste tre condizioni non è poi così semplice.

Lo scrittore ama i gatti.
Per pura statistica, ci sarà ben uno stereotipo scrittoreo nel quale mi riconosca? A quanto pare sì. Gatti e scrittura.
Tutto sommato poteva andarmi peggio...

Quali sono gli stereotipi della scrittura che meno sopportate?
O, al contrario, ce n'è qualcuno nel quale vi riconoscete?

lunedì 23 marzo 2015

Boomstick Award e pulizie di primavera

Questo è il mio primo post scritto dal nuovo Mc.
Nella mia vita ho cambiato computer in seguito a furti, virus letali, incidenti catastrofici ed altre amenità. Questa volta si è trattato di "suicidio assistito" e tutti i miei file si sono riversati nella loro nuova casa con un semplice click.
Trovare tutti i documenti esattamente dove li avevo lasciati ha avuto un che di miracoloso ai miei occhi di neolitica.
Per quanto indolore sia stato il trapasso, la mia attitudine a considerare arte del demonio ogni tecnologia più complicata della pietra levigata non ha comunque aiutato. C'erano programmi da installare, re istallare e aggiornare. 
Io immagino il mondo Mc tutto controllato Steve Jobs che dall'alto del Cieli (immaginato seduto imbronciato da una nuvoletta uguale a quella del simbolo del Cloud). E Steve, dall'alto della sua nuvola, non voleva proprio capacitarsi che il suo argenteo figliolo si connettesse a una stampante tanto decrepita e mi ci è voluta un'ora per convincerlo a concedermi di stampare una paginetta rachitica, ma indispensabile per la mia lezione di domani.
Oltre a questo c'è il puro fattore emotivo. Il mio vecchio Mc mi ha fedelmente servito per anni, è venuto con me in Provenza, sui Pirenei, al mare e in montagna. Ci ho scritto tutto ciò che ho pubblicato. È caduto, ci ha passeggiato sopra il gatto, mi ha fatto compagnia sul divano e in giardino. Ci ho guardato film e ascoltato musica. E per quanto il successore prometta di servirmi altrettanto bene (se Stive Che Sta Sul Cloud dà l'assenso, ovviamente), al momento non sembra la stessa cosa. Però ho incollato vicino alla mela tre adesivi a forma di papperella (che Steve Sulla Nube mi suggerisce di cambiare in "pappardella") e adesso sembra che sorrida un po' di più.

L'ultimo servizio che ho chiesto al mio vecchio Mc è stato di seguirmi all'ultimo incontro del corso di scrittura.
Mentirei se dicessi che non è stato stancante in sé, per la preparazione (con la borsa dei libri soprannominata "Il peso della cultura") e le 4 ore di durata, ma è stata un'esperienza FANTASTICA! A renderla tale, ovviamente, è stato il gruppo che si è formato, il miglior gruppo che potessi incontrare. A ciliegina sulla torta, sono stati scritti dei racconti deliziosi. L'ultimo compito assegnato era "dialogo col vampiro" e sono uscite delle cose meravigliose (e non proprio vegetariane).

Tra le altre belle cose degli ultimi giorni, c'è stata anche l'assegnazione del Boomstick Award da parte della fantastica Aislinn!
Eccomi quindi a copia-incollare le regole, come da dettami:

"Cos’è il Boomstick? È il bastone di tuono di Ash ne L’Armata delle Tenebre. Una doppietta Remington, canne d’acciaio blu cobalto, grilletto sensibilissimo. Magazzini S-Mart, i migliori d’America.Perché un Boomstick?Perché il blog è il nostro Bastone di Tuono!
Come si assegna il Boomstick?Niente di più facile: dal momento che in giro è un florilegio di premi zuccherosi per finti buoni (o buonisti) & diplomatici, il Boomstick Award viene assegnato non per meriti, ma per pretesti.
O scuse, se preferite.
Nessuna ipocrisia, dunque.
E ricordate, il Boomstick non ha alcun valore, eccetto quello che voi attribuite a esso."

Come funziona?

"Per conferirlo, è assolutamente necessario seguire queste semplici e inviolabili regole:1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come Hell le ha concepite"
Inoltre:
a) il premio può essere assegnato dai sette vincitori ad altrettanti blogger meritevoli, contribuendo a creare, come tutti gli anni, una delle più gigantesche catene di sant’antonio che la storia di internet ricordib) premio e banner sono creazione di Hell, che quindi è giusto citare negli articoli relativic) il Boomstick è un premio cazzuto. Se l’avete vinto non siete di sicuro delle mezze cartucce, ma… se non rispetterete le 4 semplici regole che lo caratterizzano, allora mezze cartucce diventeretee vi beccherete d’ufficio, in quanto tali, il celeberrimo Bitch Please Award.
Adesso non mi resta che cercare i miei sette prescelti (sempre che piacciano a Steve, che mi consigliava di sostituire "Aislinn" con "Asili", tra me che sono dislessica e il fantasma con manie di protagonismo ne vedremo delle belle...)

Quindi:
Elena – perché scrive con competenza e leggerezza di grandi classici e dovrebbe farlo più spesso
Il manoscritto del cavaliere – perché la passione per la storia è una splendida malattia
Sandra – perché scrive con leggerezza di cose serie e questa è una dote rara
Chiara – perché oramai il suo blog è un salotto in cui non si smetterebbe mai di discutere.
De Agostibus – che mi affascina con i suoi cerbiatti, i suoi studi e il suo sguardo un po' apolide su Canada e Italia
Scrivere è vivere – perché chi è andato in Scozia in bici si merita ogni riconoscimento possibile!
Trentundicembre – che seguo da poco, ma mi piace già molto


Incredibile, sono arrivata in fondo al post evitando alle pappardelle di Steve Nella Nuvola di mangiarsi le mie paperelle.
Adesso devo solo recuperare tutti i siti di fumetti e di cinema che stavano nell'elenco "preferiti" e che sono scomparsi. A Steve Nella Nuvola, evidentemente, non piacevano.

venerdì 20 marzo 2015

Prima che venga il gelo – Parte seconda

Qui la prima parte.

Riassunto breve: Ven Sender è un giovane allevatore, impegnato a curare le greggi nei pascoli lontani dal paese. Un mattino un gruppo di nomadi Coyranà lo informa che il Leylord, il signore delle cinque Ley, giunto in visita proprio nella Ley del Nord, è morto e che il leyler (governatore) del Nord ha fatto uccidere anche il giovane erede. Questi fatti sono avvenuti solo a poche miglia da lì. Non volendo rimanere implicati negli inevitabili disordini, i nomadi si stanno spostando e vogliono acquistare da Ven una pecora macellata.

Il capanno di Ven è un edificio più semplice, ma dalla
struttura simile a questo (isola di Lewis - Foto di Tenar)
 Ven adorava azzuffarsi, ma odiava uccidere. Le sue pecore, poi, le conosceva ad una ad una. Due delfini d’argento, però, erano un prezzo spropositato e un paio di animali non avrebbero comunque superato l’inverno. I Coyranà sembravano abbastanza di fretta da non fare storie per l’età della bestia.
  Ven si diresse verso la cascata. Il fiume, scendendo dai monti Dari, arrivava con un piccolo salto nei suoi pascoli, dove l’acqua formava poi una lanca tranquilla e gli animali più anziani non si allontanavano mai molto da quel comodo abbeveratoio naturale.
  Ancora prima di arrivare in vista del fiume, Puk iniziò ad abbaiare. Correva avanti e indietro nel suo solito modo esagitato, spaventando le pecore che avrebbe dovuto proteggere. 
  Correndo, Ven arrivò a vedere la causa di tanta agitazione.
  Nelle acque calme della lanca sotto la cascata, c’era un corpo. Una figura umana che Puk aveva già preso per una manica e stava trascinando sul prato.
  Era un ragazzetto magro, un poco più giovane di Ven. Aveva capelli corti e biondi, era vestito in pelle scamosciata tinta d’azzurro con ricami metallici e aveva alla cintura una spada. Sulla schiena una macchia scura sporcava la casacca e vi spuntava ancora l’asta spezzata di una freccia. 
 Ven aveva passato due lune a lamentarsi che nulla accedesse nel pascolo e adesso gli era arrivato tra le braccia il cadavere dell’erede pervertito del leylord.
 Poi la mano del ragazzo si contrasse.
 I coyranà avevano detto che l’erede era morto e il corpo era così pallido e immobile che Ven non aveva neppure pensato che potesse essere vivo.
 D’istinto si tolse la propria giacca per avvolgerlo, ma si bloccò prima di completare il gesto.
 Un pervertito amante d’uomini che il leyler non aveva riconosciuto come sovrano. E, al di là delle questioni morali, il pascolo si trovava nella Ley del Nord, sotto il controllo delle truppe del leyler del Nord, che di certo non avrebbero stretto la mano a chi avesse prestato aiuto all’erede. Infine, anche se non era morto, il ragazzo era mezzo assiderato e aveva una freccia nella schiena. Se non fosse arrivato di corsa, forse l’avrebbe trovato già cadavere.
  Puk, però, aveva preso a leccargli la faccia, ben deciso sulla parte da cui stare e tutto il corpo del ragazzo aveva preso a tremare.
 L’erede doveva avere diciassette anni. Ne dimostrava meno. Quindici, sedici al massimo. Era un tipetto mingherlino, di quelli che Ven avrebbe subito difeso in una rissa. Quanto pervertito poteva essere? Ven aveva sempre saputo cosa volesse, eppure era riuscito a stare solo con un paio di ragazze, quelle con cui tutti i giovanotti del villaggio erano stati. L’erede non poteva aver avuto molti più amori segreti. Non lo avrebbe certo contagiato all’istante.
  Ven lo avvolse nella propria giacca e se lo caricò in spalla. 
  Pesava, pensò, più o meno come una pecora.

 Davanti alla porta del capanno c’erano la ragazza e la vecchia coyranà.
  – Abbiamo pensato di darti una mano a scuoiare l’animale, per fare prima – disse la ragazza, venendogli incontro.
 Si bloccò quando fu a pochi passi da lui.
  – Quella non è una pecora!
  – No. L’ho trovato nel fiume.
 Non c’erano molte persone dagli abiti ricamati d’oro e d’argento che potessero essere trovati nei fiumi in quell’autunno e la ragazza di portò una mano alla bocca.
  – Oh, cazzo!
 Ven trovò adorabile che anche una coyranà potesse imprecare, mentre le guance arrossivano un poco, regalando un tocco di color carne a quella pelle di roccia.
 Anche la vecchia si era avvicinata.
  – È ancora vivo! – esclamò la ragazza, provandogli il polso.
  – Non lo resterà a lungo, se rimaniamo qui fuori – replicò la vecchia. – Presto, portiamo dentro.
  Così, senza aver neppure il tempo di pensare, Ven si trovò a depositare l’erede al trono delle Ley nel suo giaciglio di fieno, a fianco del focolare dove la torba bruciava con la sua luminescenza rossastra. Sentendosi spodestato e inutile, si sedette sul pavimento di terra battuta con Puk al fianco, mentre le due donne, con fare pratico, spogliavano il giovane, lo asciugavano e massaggiavano mani e piedi assiderati.
  – Coraggio, giovanotto, ci serve dell’acqua calda! – gli gridò la vecchia con fare imperioso. – E ce le hai delle bende pulite in questa topaia?
  – Non è una topaia! E non prendo ordini da dei vagabondi!
  – Beh, i topi ce li hai e questo fa di casa tua una topaia. E se pensi di cavartela meglio ti cediamo il passo!
  Ven vide che avevano spogliato il corpo dell’erede e lo avevano steso sul ventre. La vecchia aveva in mano un coltellino dalla lama di ossidiana, simile a quelli che usava lui per castrare gli agnelli, e stava per estrarre la freccia. Scosse il capo.
  – Vado a prendere le bende. Può servire l’unguento che metto sulle ferite delle pecore?
  – Adesso come adesso può servire tutto. Prega anche lo Spirito o tutte le divinità che conosci.
  Quando Ven fu di ritorno, vide che la freccia dalla punta di metallo sporca di sangue era stata buttata per terra. La vecchia stava cucendo la ferita con un filo sottile, come se rammendasse un abito, mentre la ragazza accarezzava i capelli biondi cantando a bassa voce una nenia.
  – Se la caverà? – chiese Ven, porgendo la stoffa pulita e il vasetto con l’unguento.
  La vecchia terminò la sutura.
  – Non lo so. Ho richiamato la sua anima tre volte, ma ogni volta sembrava aver più voglia di andare che di restare.
  – Sei una strega?
  – Strega è una brutta parola nella vostra lingua. 
  Ven immaginò di dover prendere quella frase come un’ammissione.
  – Perché non dovrebbe voler vivere? – chiese.
 Zio Dan, che da lune e lune non vedeva il cielo, dentro la miniera, poteva anche desiderare la morte, ma un principe perché avrebbe dovuto farlo?
 La ragazza, continuando ad accarezzare i capelli del ferito, alzò lo sguardo. Aveva occhi color dell’acqua del fiume e sembravano pieni di lacrime.
  – Lui e suo padre, il leylord, si sono trovati isolati in una una battuta di caccia sulle montagne, circondati da tre pantere delle nevi. Secondo chi aveva organizzato la congiura, due uomini contro tre pantere era un affare sicuro. Padre e figlio hanno combattuto fianco a fianco. Nessuno sa come siano andate le cose, ma quando gli uomini della scorta li hanno raggiunti, le pantere erano morte e il leylord era spirato tra le braccia di suo figlio.
 Questa mattina all’alba è iniziato il ritorno verso Portorso, per scortare la salma del leylord nel suo viaggio verso Caysal, dove il giovane Amrod sarebbe stato incoronato. Lui cavalcava il testa al drappello. D’un tratto qualcuno ha fatto rotolare qualcosa da un cespuglio proprio tra le zampe del cavallo del principe. Lui è sceso di sella per vedere cosa fosse. Era la testa mozzata di un ragazzo. Allora il leyler del Nord, che lo accompagnava, ha chiesto ad Amrod se riconoscesse quella testa e se fosse quella del suo amante. Di fronte al leyler, ai nobili e alla guardia, il principe lo ha ammesso. Era il segnale che il leyler attendeva. Ha gridato che un pervertito non può essere leylord e i suoi uomini lo hanno attaccato. Ma non tutti hanno ubbidito al leyler e Amrod stesso ha iniziato a combattere come una furia. Alla fine è riuscito a rimontare a cavallo, ma, mentre fuggiva, una freccia lo ha colpito alla schiena.
  In pochi giorni ha visto morire suo padre e il suo amato. Tu ti stupisci che non voglia vivere?
  – Come sapete queste cose? – chiese Ven.
  – Eravamo lì – rispose la vecchia. – I Coyranà sono un popolo libero, che ha degli accordi con il leylord. Volevamo incontrarlo. Ma siamo arrivati che il sovrano era già morto e abbiamo preferito non farci vedere, per capire come si sarebbero messe le cose. Abbiamo assistito allo scontro da lontano. Abbiamo visto la freccia colpire il ragazzo e abbiamo dato per scontato che fosse morto. Il nostro accordo era sfumato e avevamo visto troppe cose per ritenerci al sicuro così vicini al leyler. Immagino che non andrà in giro a raccontare che l’incidente di caccia era organizzato e che l’erede è stato colpito alle spalle.
 Ven annuì.
 Poi Puk iniziò ad abbaiare.
  – C’è qualcuno che si sta avvicinando. – disse la vecchia, guardando di malanimo il cane.
 Ven non ebbe neppure il tempo di essere preso dal panico.
  – Vieni fuori e assecondami. – gli ordinò la ragazza.

– Continua il prossimo fine settimana –

mercoledì 18 marzo 2015

Delitti di lago – Antologia in uscita per Morellini Editore


Non capita spesso di poter segnalare due pubblicazioni in una stessa settimana!
È accaduto grazia all'inossidabile entusiasmo di Ambretta Sampietro che, per il terzo anno consecutivo, è riuscita a creare un'antologia di racconti gialli tutti di rigorosa ambientazione lacustre, costola del premio letterario Giallo Stresa. Dopo Delitti d'acqua dolce e Giallolago, quest'anno Ambretta è riuscita a raccogliere intorno a sé un team di autori di tutto rispetto tra i quali, una volta di più, sono onoratissima e fiera di esserci.

Da domani, quindi, è in vendita il formato cartaceo dell'antologia Delitti di lago, edita da Morellini Editore, a 14,90€.
Presto sarà disponibile anche in formato e-book e i diritti d'autore sono devoluti al FAI. In un momento come questo, in cui l'Italia perde bellezza come una ferita perde sangue a me è sembrata la destinazione più giusta per gli introiti di racconti che, a modo loro, raccontano anche la bellezza dei nostri laghi e sono quindi particolarmente fiera di questa scelta.

Da domani parte anche il fittissimo programma di presentazioni del Delitti Tour 2015.

Ecco qua la descrizione ufficiale dell'opera:
" Il lago è sinonimo di fascino e mistero, cangiante e mai uguale a se stesso, e nei venti racconti che compongono l’antologia Delitti di lago si trasforma in un originale “luogo del delitto”. Le acque trasparenti riflettono i colori del cielo, delle montagne e della vegetazione che li circonda. La tranquillità e la pace vengono sconvolte da intrighi, atroci delitti, misteri e segreti inconfessabili. 
Gli assassini sono quasi sempre persone insospettabili, spesso gente di lago come le loro vittime. Il giallo è un punto di vista insolito per conoscere luoghi ameni e bellissimi frequentati ogni anno da moltissimi turisti.
Gli autori di Delitti di Lago: Cristina Bellon, Angela Borghi, Mercedes Bresso, Rossana Girotto, Daniele Grillo, Alessandra Guzzonato, Riccardo Landini, Giorgio Maimone, Antonella Mecenero, Sabrina Minetti, Emile Munch, Emiliano Pedroni, Maurizio Pellizzon, Alberto Pizzi, Liana Righi, Renato Rizzi, Sergio Roic, Federico Spinozzi, Gianluca Veltri, Laura Veroni."

IL MIO RACCONTO – CERTE MATTINE

Come ho già avuto modo di raccontare, Certe Mattine, il racconto inserito in questa antologia e secondo classificato a Giallo Grado è stato uno dei più difficili da affrontare a livello emotivo.
Per certi versi è l'esatto contrario di Avventura a Parigi. Tanto la stesura di quello è stata fluida, tanto il rapporto con i personaggi è stato sereno, tanto in questo caso è stato invece doloroso.

Con Certe Mattine mi avventuro nei chiaroscuri dell'anima più di quanto abbia mai fatto prima. Il protagonista (un protagonista che adoro e con cui spero di tornare a lavorare presto) vede letteralmente il suo mondo andare in pezzi. C'è un conto alla rovescia che percorre tutto il racconto al termine del quale per il Maresciallo Roberto Desideri nulla sarà più come prima.
Prima di quel momento, però, c'è un'indagine da portare a termine. Una di quelle indagini che non si vorrebbe mai dover cominciare, con una ragazza, giovane e bella, trovata morta nel lago. E l'idea che persone comuni, il tipo di persone che ogni giorno tutti noi sfioriamo, possa aver reciso in questo modo una vita è già di per sé una sconfitta.
È stato un viaggio doloroso quello che ho compiuto insieme al mio protagonista, che mi ha fatto toccare quasi tutti i temi che più mi sono cari, la solitudine, la diversità, l'adolescenza, la crudeltà che nasce dalla normalità, dal proteggere quelli che consideriamo diritti acquisiti. C'è, però, anche l'amicizia, unica ancora di salvezza in questa palude che è la vita.


Ecco l'incipit del racconto:

Vibrazione del cellulare. Messaggio.
Come stai?
Mamma.
Altra vibrazione. Messaggio.
Non riesco a venire. Casini al lavoro. Mi spiace. Bacio.
Sandra.
Giovedì sarò a Milano. Dobbiamo parlare.
Certe mattine, pensò Roberto mentre inviava l’sms, faresti qualsiasi cosa per non doverle attraversare per giungere a un giorno di cui si vorrebbe fare a meno.
Certe mattine, pur di spezzarne questo grigio incombente,
appiccicoso come afa, ci vorrebbe un morto.
Altra vibrazione. Messaggio.
Trovato corpo di ragazza nel lago. Vieni subito.
Riccardo.
Ecco, adesso si sentiva in colpa.
Quale lago?
Avrebbe mai immaginato, tre anni prima, di finire assegnato
a un posto dove di laghi ce n’erano troppi?

lunedì 16 marzo 2015

Avventura a Parigi – racconti in e-book per Delos Digital


Da domani il mio racconto Avventura a Parigi sarà in vendita in formato e-book a 1,99€ su tutti gli store on-line, compreso il Delos Store e Amazon.
Si tratta del 65° racconto della collana Sherlockiana di Delos Digital che raccoglie apocrifi italiani e stranieri.

Tanto per cambiare, avevo perso di vista l'uscita di Avventura a Parigi e avevo programmato per oggi un post che fosse, non a caso, un'apologia del racconto. Amo leggere e scrivere racconti. Ho due romanzi editi e qualcuno di più nel cassetto, ma sono molti, molto di più i racconti che ho scritto.
Tra questi è inevitabile che abbia i miei preferiti, quei 2/3 in cui ritengo di essere riuscita ad ottenere un'approssimazione ragionevole di quello che volevo fare. Questo è uno di quelli.
Non importa se non conoscete o non siete appassionati di Sherlock Holmes. 
Se dovete scegliere di leggere qualcosa di mio, se dovete scegliere una sola cosa mia da leggere, se avete 1,99€ che vi avanzano, leggete questo racconto.

È stato il mio primo incontro ufficiale con Sherlock Holmes. Sono andata a Baker Street con le idee ben chiare. 
Volevo ballare il valzer con Holmes.
Volevo un racconto con cambi repentini di tono e di prospettiva in cui Holmes fosse sempre un passo avanti a tutti.
Volevo un personaggio femminile forte, in grado di guardare Holmes negli occhi senza abbassare lo sguardo.
Più di ogni altra cosa, volevo ballare il valzer con Holmes.
Non è affatto detto, chi scrive lo sa, che nell'opera finale si ritrovi proprio tutto quello che ci si era promessi di raccontare. Ma qui troverete un racconto con repentini cambi di tono e prospettiva, una donna in grado di trattare Holmes da pari e un ballo.
Inoltre c'è nascosto nel testo un piccolo gioco letterario che fino ad ora nessuno a risolto. Un brano è costruito a ricalco su un altro brano di un romanzo giallo che nulla ha a che fare con Holmes (anzi!). Chissà se qualcuno riesce a trovarlo?

Quando ho scritto questo racconto, il romanzo Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico non era ancora stato progettato, ma alla fine, Avventura a Parigi ben si colloca nel mio progetto generale tra il romanzo (tarda primavera 1881) e il racconto Sherlock Holmes e il caso del detective scomparso (novembre 1881).


Ecco qui la sinossi ufficiale:
Una giovane nobildonna riceve minacce di morte. Per Sherlock Holmes inizia un’indagine che si dipana tra le feste del bel mondo parigino e le pieghe dell’animo femminile
Una donna abituata ad avere tutti gli uomini ai propri piedi giunge al 221b di Baker Street dopo aver ricevuto minacce di morte. Sherlock Holmes dovrà proteggerla a Parigi, dove, tra balli, poeti falliti e pittori impressionisti cercherà di stanare un assassino determinato a portare a termine la sua missione, ma anche scavare tra segreti non detti. I misteri più grandi, infatti, sono proprio quelli che si nascondono dietro il sorriso affascinante di lady J., i cui occhi possono essere più pericolosi della pistola di un sicario.


Domande e questioni pratiche

Un solo racconto, ma quanto mi costa?
1,99€, neppure due caffè.

In quali store on-line posso acquistarlo?
Tutti. 
Ad esempio qui

Quali formati sono disponibili?
Copio-incollo dal sito:  EPUB per iPad, iPhone, Android, Kobo o altri ebook reader, Mac o PC con Adobe Digital Editions

MOBI per Kindle, Kindle Fire
(potrai scegliere quale formato scaricare direttamente dalla tua pagina di download)

Ma io non ho un e-reader!
Nessun problema. Il formato EPUB è leggibile da qualsiasi Mac, Pc, iPad o dispositivo Android (tablet vari) e il programma necessario per leggerlo è gratuito e si scarica con facilità (del tipo ci sono riuscita pure io)

Ma adesso scrivi/pubblichi solo racconti sherlockiani?
No, già prestissimo (praticamente col prossimo post) vi racconterò di un racconto che nulla ha a che vedere con Baker Street.
Tuttavia adoro Sherlock Holmes e per me è un onore pubblicare i miei racconti su Sherlockiana, una collana curatissima, con delle copertine bellissime. 
Un grande, ENORME ringraziamento a tutti colore che rendono la vita di Sherlockiana possibile, a quelli che conosco e a coloro che ignora del tutto, ai lettori e a tutti coloro che permettono ad Holmes di continuare ad indagare.

venerdì 13 marzo 2015

Prima che venga il gelo – parte prima

Ho deciso di dedicare il fine settimana alla narrazione.
Parte quindi oggi un racconto lungo che ci terrà compagnia, salvo imprevisti, per 7/8 settimane. Come potete immaginare, quello che state per leggere non è un passatempo di un pomeriggio annoiato, ma una parte del mio cuore.
Come ho già avuto modo di raccontare, l'epopea fantasy a cui ho dedicato tante delle mie energie e del mio tempo, ha finito per frammentarsi in una serie di racconti lunghi che vanno a formare, tutti insieme, un'unica storia, ma che offrono di volta in volta punti di vista differenti.
Sono racconti dal destino segnato. Sono troppo poveri d'azione e con una magia talmente rarefatta da risultare inconsistente per attrarre gli amanti del fantasy eroico. Troppo fantastici, comunque, per gli amanti del mondo reale. Troppo lunghi, salvo poche eccezioni, per essere spendibili in concorsi e/o in antologie. Troppo corti per fare romanzo a sé. 
Sono miei, qualsiasi cosa siano, fantasy intimisti con eroi controcorrente che non amano, o non possono, risolvere i problemi a colpi di spada.
Tutti questi personaggi vivono con me, ormai, da dieci anni, sono quelli che conosco meglio e che amo di più. Tuttavia solo quest'inverno ho scritto un racconto, questo, che potesse essere un inizio, un punto di partenza per tutto il resto. 
Per la prima volta, dopo dieci anni, ho dato voce a uno dei personaggi che fin dall'inizio era vivo e presente nella mia mente, Ven Sender, dando forma a una storia che è insieme un inizio, una conclusione e qualcosa che è compiuto in se stesso. L'idea base che mi ha permesso di dare infine voce a Ven è stato GLI AMORI IMPOSSIBILI.

Trattatela bene, questa mia storia, perché certamente potrei farvene leggere di più belle, di più eleganti, più levigate nella forma. Ma poche di più amate.

PRIMA CHE VENGA IL GELO

  Era stata tutta colpa del cane.
 Se Puk non fosse fuggito per consumare il suo amore impossibile con la femmina di segugio di lord Naris, già destinata a figliare con altri blasonati e argentei segugi, Ven non si sarebbe preso a male parole con il figlio del lord. Se il figlio del lord non fosse stato un infame bastardo, ovviamente, la discussione non sarebbe degenerata in rissa. Se il figlio del lord fosse stato appena un po’ più uomo, poi, non si sarebbe fatto rompere il naso da Ven e, sopratutto, non sarebbe andato a piangere per questo dal paparino. Quindi lord Naris non avrebbe mandato il suo scagnozzo a bussare alla porta dei Sender per chiedere ammenda per il naso del primogenito e per l’onore della femmina di segugio. Se Jug Sender non fosse già stato indebitato non si sarebbe arrabbiato così tanto per quell’ulteriore spesa e non avrebbe spedito Ven in esilio intere lune su nei pascoli autunnali, ai piedi dei monti Dari.
  E se Ven non fosse stato consapevole di quanto disperata si fosse fatta la situazione della famiglia, forse non ci sarebbe andato comunque, a costo di fuggire di casa.
  Ormai, però, sarebbe bastato pochissimo perché suo padre non fosse più in grado di pagare i debiti e dall’insolubilità alla prigionia in miniera il passo era breve. Sarebbe sparito come zio Dan, di cui da due anni nessuno aveva notizie.
  Ven e Puk erano partiti senza protestare troppo. 
  Le pecore del nord sanno resistere all’inverno e alla neve e più a lungo stanno al pascolo e più la loro lana diventa morbida e preziosa. Se Ven avesse mantenuto il gregge al pascolo finché sul fiume non fosse arrivato il gelo, forse avrebbero ricavato dalla lana abbastanza da ripagare i debiti.
  Questo, però, voleva dire lune intere sulle colline erbose, senza altra compagnia che quella delle pecore e di Puk. A diciott’anni, persino le miniere prigione sembravano più allettanti.

  Mentre a Portorso il leylord sbarcava in pompa magna insieme al figlio e alla corte per visitare la Ley del Nord, Ven portava le pecore ad abbeverarsi sotto la cascata.
  Mentre il leyler organizzava spettacoli e feste in occasione dell’arrivo del leylord in tutti i centri urbani della Ley, Ven si assicurava che nessuno degli agnelli si perdesse.
  Mentre chiunque ne avesse l’opportunità andava ad assistere al corteo reale che si spostava dalla costa alle zone di caccia sui monti Dari, ad appena qualche decina di miglia a monte dei pascoli dei Sender, Ven si prendeva cura di un ariete che si era azzoppato.
  Ogni mattina in quelle giornate sempre più brevi, usciva dal capanno seminterrato e trovava lo stesso identico paesaggio. L’erba sotto la brina notturna, i contorni scuri delle montagne e le pecore.

 Quel particolare giorno, tornando verso il capanno dopo il giro mattutino, tuttavia, Ven trovò davanti alla porta un gruppetto di persone.
 Puk aveva preso ad abbaiare con il suo abituale coraggio che lo portava a mostrare i denti e il pelo irto stando ad almeno cinque passi dal nemico. 
  Erano in quattro e lui non aveva neppure un bastone, pensò Ven, quando si rese conto che si trattava di  nomadi Coyranà.
  Avevano tutti quella strana carnagione grigia, color delle rocce, che li faceva sembrare umani solo in parte. Vestivano con abiti di pelli e sete rosse che lasciano scoperte le braccia, nonostante l’aria già profumasse d’inverno.
 C’erano due vecchi, un uomo e una donna, con rametti e piume intrecciati nei capelli grigi, un giovanotto alto perfettamente in grado battersi con Ven e forse di avere la meglio, e una ragazza più o meno della sua età. Anche lei aveva la pelle color della pietra, ma Ven ritrattò subito il pensiero precedente. Nessuna ragazza mai gli era sembrata più femminile. C’era anzi da ringraziare il loro abbigliamento leggero, che lasciava così intuire le curve del corpo. Persino le ossa di uccello legate ai suoi capelli scuri sembravano graziose.
  – Volevamo sapere se avevi una pecora da vendere, macellata. – disse il vecchio.
  Ven rimase perplesso.
  I Coyranà, i figli del vento, non avevano nulla da spartire con la gente delle Ley. Ballavano, cantavano, portavano notizie e ripartivano, come uccelli migratori. Non compravano nulla o quasi nei villaggi. Era opinione comune che rubassero quasi ogni cosa, compresi i bambini.
  – Le mie sono pecore da lana. – rispose Ven.
 Se glielo avesse chiesto la ragazza, avrebbe regalato anche tutto il gregge.
  – Abbiamo buone monete, conio del nord e dell’est, come preferisci. Abbiamo bisogno di cibo per spostarci in fretta e paghiamo bene.
  – Che differenza c’è tra le monete del nord e quelle dell’est? – chiese Ven. – Un delfino d’argento del nord vale come una spiga d’argento dell’est.
  – Non lo sai? Il leylord è morto. Le Ley si faranno guerra.
 Ven sperò di non essere rimasto con la mascella spalancata. I Coyranà mentivano su tutto, ma quasi mai sulle notizie che portavano. Il leylord, signore delle quattro Ley, era morto. Doveva essere accaduto a due passi da lì, mentre lui contava le pecore.
 – Perché la guerra? Gli succederà suo figlio. – disse, sapendo di sembrare uno sciocco.
  – Il giovane Amrod era un amante d’uomini. Il leyler del Nord non lo ha accettato come sovrano.
  – Ah… Beh, certo. Chi vorrebbe farsi governare da un pervertito? 
  Il vecchio si limitò a stringersi nelle spalle.
  – Le vostre leggi sono differenti, immagino. – commentò.
  – Vostre? Siete anche voi sudditi delle Ley… O no?
 Ven non si era mai posto domande sulla condizione giuridica dei Coyranà, fino a quel momento. Scioccamente si chiese se anche loro pagassero le tasse.
  – No. – interloquì la donna anziana. – I Coyranà sono un popolo libero, con un accordo di alleanza con il leylord, non dobbiamo nulla ai leyler. Se il leylord e il suo erede sono morti, non vogliamo essere presi dentro in una guerra tra le Ley. Per questo vogliamo comprare la carne e andarcene. Non abbiamo certo tempo per cacciare.
  Ven era ancora frastornato.
  – Avevate detto che il leylord è morto… È morto anche il suo erede? Come… – poi i tasselli combaciarono. – Il leyler ne ha ordinato la morte!
 Mentre pascolava le sue pecore, dall’altra parte delle colline si era consumata una congiura. E forse era iniziata una guerra. Si passò una mano sul mento. Meglio vendere una pecora e prendere delle monete.
  – Devo macellare la pecora… Ve le dò per due delfini d’argento… Un paio d’ore e potrete portarle via.
  Il vecchio annuì.
  – Torneremo quando sarà pronta. 


 – Continua il prossimo fine settimana  –