lunedì 13 marzo 2023

È giusto leggere libri scritti da "brutte persone"?


 Mi piace il blog, nonostante tutto, perché mi permette la riflessione lenta, dilazionata nel tempo. Qualcosa di molto diverso dal frenetico botta e risposta dei social. Immediati, veloci, dove in un attimo ci si infiamma e, quasi sempre, ci si arrocca su posizioni che il confronto serve a radicalizzare piuttosto che a mutare.
Nell'ultimo post la riflessione sulla modifica ai testi di Dahl ha portato nei commenti tutta una serie di riflessioni e diramazioni di dibattito di cui vi sono estremamente grata. E da quel fluire di discussioni mi è sorta un'altra domanda: è giusto leggere libri di autori dalle opinioni discutibili, disturbanti o, peggio ancora, ai limiti del reato?

Io oggi fatico a immaginare una grande casa editrice che faccia in grande stile il lancio di un autore che sia apertamente antisemita, razzista fino a incitare all'odio razziale, sessista fino a teorizzare la totale sottomissione della donna. E, sinceramente mi va benissimo così. Sarei in imbarazzo ad acquistare il libro di un autore che inneggia al ritorno del nazismo e se per caso mi dovesse piacere proverei un po' di disgusto per me stessa.

Però... Però...

Ho appena terminato questo libro:

Mary Renault, per me, è la miglior scrittrice di romanzi storici ambientati nell'antica Grecia. Questo, Fuoco dal cielo, non è il suo più riuscito, a mio parere, ma Le ultime gocce di vino e La maschera di Apollo stanno nel mio olimpo personale. Non vedo l'ora di intaccare Il ragazzo persiano di cui ho sempre sentito un gran bene. Leggendo pigramente la quarta di copertina non posso non notare che l'autrice si è stabilita in sud Africa nel 1948 e vi è rimasta fino alla morte. Ci sono ragioni comprensibili per questa sua scelta, dato che voleva vivere in pace con la propria compagna in un momento in cui in Inghilterra non era ancora possibile. Ma è un fatto che lei abbia vissuto per decenni nel Sud Africa dell'apartheid. E su questo io (il mio approfondimento, lo ammetto, è molto superficiale) ho trovato solo una dichiarazione molto blanda in cui dice che l'apartheid ha avuto un impatto scarso nella sua vita e non ne ha mai tratto vantaggio. Ai miei occhi l'aver scelto di vivere proprio nel paese dell'apartheid avendo un sacco di altri posti dove andare mi fa sospettare che il razzismo non fosse poi un pensiero così lontano dal suo. E niente, comunque non vedo l'ora di iniziare Il ragazzo persiano.
Passiamo ora a ciò che sto ascoltando. L'abbonamento ad audible si è rivelata per me una scelta felice. Ha dato un altro fascino alle faccende di casa, sopratutto al continuo stendere, piegare, ritirare i panni. Audible mi permette di spaziare secondo l'estro dei miei gusti ondivaghi, la mia curiosità per tutto. Ci ho ascoltato classiconi (ho appena finito Grandi Speranze), libri per ragazzi, saggi di botanica e biografie di alpinisti. Se non mi piace posso cambiare in pochi rapidi click. Oggi ho iniziato un racconto lungo di Lovecraft. Basta un rapido giro su wikipedia per constatare che l'autore era razzista, antisemita e simpatizzante del fascismo. Troverei abbastanza difficile tollerare una discussione con il signor Lovecraft. Ma è un fatto che il suo racconto non mi dispiaccia affatto.

Vivo quindi questa idiosincrasia personale. Non acquisto e non leggo autori viventi il cui pensiero mi sia noto e mi risulti particolarmente disturbante e invece lo faccio senza troppi problemi con gli autori ormai morti. Non pretendo che ci sia un agire morale in questo, è solo una questione di disagio personale. E anche questa distinzione è molto sfumata e non trovo una bussola morale che mi guidi. Nella mia adolescente un'autrice di libri di consumo che mi ha affascinato è stata Marion Zimmer Bradley. Mi ha affascinato per l'evidente ambiguità morale di alcuni suoi personaggi e di alcune situazioni raccontate. Erano disturbanti e, pertanto, interessanti. Ricordo in particolare un ragazzino abusato da un adulto che per varie ragioni era intoccabile. Più avanti il ragazzino e l'adulto in questione si trovano per forza di cose a collaborare. Ne usciva il ritratto di un uomo contorto, pericoloso eppure sofferente e umano, difficile da incasellare come come totalmente negativo. Alla fine si sacrificava per gli altri. Uscì, anni dopo, che il marito dell'autrice era implicato in un bruttissimo giro di pedofilia e che lei probabilmente sapeva e lo aveva protetto. Alla luce di questo retroscena i suoi libri appaiono ancora più ambigui e disturbanti. Però fatico comunque a non dedicare loro neppure un po' di affetto.

Alla fine ho riflessioni, non verità da offrire. In un mondo ideale i libri dovrebbero essere pubblicati tutti con pseudonimi. Esistere come opera pura, del tutto staccati dal proprio autore. Del resto il tempo agisce proprio così, lava via sempre più la presa dell'autore sull'opera e libera il testo. Certo, ci sono sempre doverosi studi che spiegano perché proprio quell'autore in quel dato tempo abbia scritto quelle parole. Ma l'opera ne è sempre più svincolata. Se Dante fosse o no un usuraio, se avesse o no sottratto del denaro pubblico era una questione molto importante per i fiorentini del suo tempo. Lo è molto meno per noi. Possiamo serenamente leggere la Commedia senza chiederci se tutte le accuse che hanno portato Dante all'esilio fossero false. Le opere che più stridono con la nostra sensibilià odierna si mettono in qualche modo fuori gioco da sole. Non presenterei ai miei alunni come lettura di piacere (ben contestualizzata è un altro discorso) Il fardello dell'uomo bianco di Kipling, ma trovo un'idiozia non proporre Il libro della giungla. 

Idealmente, ogni libro dovrebbe essere spiegato solo con se stesso e appartenere a un autore ignoto. Perché è un fatto che brutte persone abbiano scritto libri bellissimi. Però quando la "brutta persona" è più vicina a noi a livello temporale o geografico è più difficile o mi è più difficile ignorare la biografia dell'autore.

Credo che continuerò a comportarmi come sempre. Se l'autore è vivente ed è noto per idee che mi risultano particolarmente disturbanti non so se acquisterò un suo libro, sopratutto per non foraggiarlo. Se è morto mi porrò assai meno problemi, come del resto ho sempre fatto. Insomma, ho ragionato, ma non ho concluso niente.
Voi come vi ponete di fronte ai libri scritti da brutte persone?

domenica 26 febbraio 2023

Parole mobili e parole inamovibili - La mia opinione sul caso delle correzioni a Roald Dahl


 Mi inserisco di nuovo a gamba tesa in una polemica in corso per esporre la mia ininfluente opinione.
Il caso è questo. Le nuove edizione alle opere per ragazzi di Roald Dahl, il famoso autore de La fabbrica di cioccolato conterranno delle modifiche linguistiche (non ci saranno parole come "grasso", "brutto" o "nano") e, almeno in un caso, contenutistiche. La protagonista del libro Matilda, ad esempio, da oggi in poi leggerà Jane Austen e non autori maschi in odore di colonialismo.
La scelta è motivata dal fatto che Dahl è sì un eccezionale scrittore per bambini e ragazzi, ma non sempre politicamente corretto, anzi, per dirla tutta alcune sue opinioni erano del tutto censurabili. Si vuole quindi proporre ai ragazzi di oggi testi che non usino difetti fisici come spregiativi e portino messaggi positivi e più inclusivi.
La polemica è scattata per due motivi. I cambiamenti sono stati fatti sugli originali e non su edizioni ridotte, adattate o tradotte. Inoltre le nuove versioni saranno a breve le uniche in commercio. In altre parole la nuova versione sostituirà del tutto quella vecchia e non sarà possibile recuperare i testi originali.

Menti migliori della mia hanno già affrontato la questione in lungo o in largo e, tuttavia, mi sembra che le varie argomentazioni proposte abbiano mancato un punto.
Ho cercato di guardare la questione da un'angolazione leggermente diversa.
Il punto per me non è che queste modifiche sono state fatte. Testi ridotti e adattati sono sempre esistiti. Da ragazzina tutti i Dumas che ho letto erano in versione ridotta e adattata. Nessuno sano di mente darebbe i Tre Moschettieri in versione integrale a una bambina di nove anni. Più avanti ho avuto accesso agli originali e infine ho avuto in mano anche la versione in francese. La cosa inquietante è che le modifiche sostituiscono del tutto l'originale. Mettiamo il caso le vecchie edizioni pian piano spariscano. La nuova versione sarà l'unica nota. Matilda avrà letto sempre e solo Jan Austen. Se da un lato mi intriga la visione di un filologo del futuro che ricostruisce il testo de La fabbrica di cioccolato come si fa con un'opera parziale di Aristotele, dall'altro mi inquieta.

In quali casi un'opera viene modificata in via definitiva senza il consenso dell'autore?
Nel campo delle arti figurative gli esempi non mancano. Basti pensare alle famose foglie di fico che di fatto tante opere le hanno salvate, rendendole tollerabili. 
Ma in letteratura?
Nessuno, mai, modificherebbe in via definiti Dante o Manzoni. 
Qualcuno potrebbe obiettare che Dante o Manzoni si riferiscono a un pubblico adulto, che a quindi più strumenti per contestualizzare l'opera.
Io rispondo che forse c'è un altro motivo. Dante o Manzoni sono considerati letteratura. I loro libri hanno un valore estetico. Pertanto le parole che li compongono sono inamovibili. Possono essere tradotti, ovviamente, adattati e ridotti, ma non modificati in originale
E Dahl?
Beh, Dahl scrive per bambini, suvvia. Non importa che La fabbrica del cioccolato sia in giro dal 1964, costantemente edita e letta, mentre un sacco di romanzi vincitori di importanti riconoscimenti siano stati nel mentre del tutto dimenticati. Che valore estetico potranno mai avere le sue parole? Insomma, non è proprio letteratura.
Se fatichiamo a riconoscere una validità letteraria e quindi estetica alla letteratura di genere, alla fantascienza, al giallo, vorremo mica porci il problema per la letteratura per l'infanzia.
Perché è evidente: se un libro è considerato letteratura, le parole con cui è stato scritto sono importanti. Anche quando solo disturbanti. Anche quando sono palesemente obsolete. A volte gli si mette a fianco la versione in lingua moderna. Ma si continua a proporre l'originale per il suo valore estetico.
Se una parola è interscambiabile con un'altra allora non ha alcun valore artistico. A Dahl si riconosce l'intuizione del buon artigiano, dell'onesto intrattenitore che viene quindi adattato al gusto corrente. Non è, però, uno scrittore.
È questo l'aspetto che più di ogni altro mi amareggia in questa vicenda.

Se scrivi per ragazzi non fai letteratura, neppure se sei Roald Dahl.

domenica 19 febbraio 2023

Storie naturali - Letture


 A metà febbraio è arrivata la prima folgorazione letteraria del 2023: Storie Naturali di Primo Levi.

Insegno alle medie, è ovvio che io abbia letto Primo Levi. Ogni anno leggo in classi passi da Se questo è un uomo, La tregua e I sommersi e i salvati. Ogni anno convinco un certo numero di miei alunni ad abbandonare gli ultimi scampoli della loro innocenza pre adolescenziale sulla lettura integrale di Se questo è un uomo. E ogni anno penso che Primo Levi sia stato un grande scrittore prima ancora che un grande testimone, perché la sua penna scava, scarnifica, entra dentro di noi mettendoci di fronte all'orrore del nazismo e dei campi di concentramento. E tuttavia, come moltissima altra gente, pare, non mi ero messa a cerca i libri in cui Primo Levi è solo scrittore. Male, molto male.

Questa nuova edizione è corredata da una lunga (troppo) prefazione che alla fine cerca di dire "siccome Primo Levi è un grande scrittore, la sua fantascienza non è fantascienza". Perché siamo in Italia e si sa, da noi fantascienza è una brutta parola. Infatti si premurano di ricordarci che la prima edizione di questo libro è uscita sotto pseudonimo e con una fascetta che recitava: "fantascienza?".
La risposa avrebbe dovuto essere: "Fantascienza!". Dovremmo andarne fieri e i racconti dovrebbero essere inseriti in tutte le antologie scolastiche. Invece non ne ho mai trovato neppure uno.

Si tratta, quindi, di racconti di fantascienza, brevi e folgoranti che prendono spunto, appunto, dalle scienze naturali. Racconti ambientati, quasi tutti, in un futuro quasi prossimo, all'apparenza rassicurante, in cui però si insinua l'angoscia.
Si scopre quindi che le tenie hanno una loro sorta di letteratura. Loro, parassiti umani, percepiscono il corpo ospite come un universo/divinità. Qualcuna quasi ne intuisce la natura vivente e vorrebbe comunicare con l'essere umano che la ospita. Ma sono parassiti e come tali espulsi e rifiutati.
Oppure un lichene può incidentalmente rivelare che le automobili hanno un sesso e quindi, presumibilmente, un io, e chissà, forse sono loro a causare almeno alcuni degli incidenti.

Come sempre accade, il vissuto e il dramma umano dell'autore si insinua nella storie, quasi come fumo che penetri pian piano da sotto una porta. Molti dei racconti sono ambientati in futuro prossimo, apparentemente rassicurante, popolato da persone dai nomi tedeschi. È in questo mondo che vengono commercializzati i mirabolanti brevetti della NATCA, subito distorti in usi meschini. Quindi una sorta di stampante 3D in grado di replicare qualsiasi cosa viene immediatamente utilizzata per produrre diamanti e poi per duplicare la propria moglie. E sono abbastanza sicura che sì, se si riuscisse davvero a parlare e a contrattare con gli animali, uno dei primi usi sarebbe il contrabbando di droga. 
A volte, però, le cose si fanno ancora più inquietanti. Non sarebbe bellissimo convertire il dolore in piacere? La visione che ce ne dà Levi è orrorifica ed è fin troppo facile immaginare in un contesto preciso esperimenti simili, con un fine preciso. In questi racconti, tuttavia, le semplici meschinità umane, in primis l'avidità, in qualche modo sembrano sventare sul nascere qualsiasi piano su grande scala.

Qua e là appaiono racconti più leggeri e divertenti, su tutti quello del comitato preposto alla creazione dell'uomo. Una riunione di stampo aziendale di emissari divini alle prese con l'arduo compito di costruire un essere superiore, che qualcuno vuole insetto, qualcuno rettile e qualcuno acquatico. Alla fine l'uomo dovrebbe essere un uccello, volante, quindi privo del concetto stesso di frontiera, influenzato dalla sessualità solo per brevi periodi all'anno, ma paritario nella gestione della prole e del nido. Quando la scelta sembra fatta, ecco che arriva la notizia che, all'insaputa di tutti, l'uomo è già stato creato. Resta il dubbio che l'uomo uccello (a me piaceva anche il progetto con i serpenti filosofi) potesse essere migliore...

Da un punto meramente stilistico, i racconti non sono invecchiati di un giorno. La prosa scorre e solo di tanto in tanto, quando in effetti ci si rende conto di avere in casa qualche ritrovato NATCA, ci si rende conto che in effetti questa raccolta è stata pubblicata nel 1966 e contiene racconti ancora più vecchi. Poco male, sta attraversando gli anni con ancora più grazia della donna in criostasi di uno dei racconti più ironici.

L'unica cosa che non si spiega è perché, appunto, questi racconti non siano in tutte le antologie scolastiche a dare pubblica dimostrazione di quanto versatile sia la prosa di Primo Levi, di quanto sia Autore e non solo (importantissimo) testimone. 

Recuperatelo e leggetelo!

mercoledì 1 febbraio 2023

Spare, il minore – letture

(la macchia scura a fianco è il persiano, finalmente
guarito dalla dermatite allergica)

 
A volte i libri più improbabili sono le giuste compagnie nei momenti più improbabili. Nei primi giorni di covid, quando anche volendo non potevo fare molto di più che stare a letto, Spare, la discussa "non proprio autobiografia" del principe Harry è stato una buona fonte di intrattenimento e argomento di discussione via cellulare col marito.

Ho comprato Spare principalmente per il suo non essere del tutto un'autobiografia. La penna che da voce al principe Harry, l'uomo che si compiace di dire di aver terminato un solo libro nella sua vita, è J.R.Moehringer, la penna dietro alla (non) autobiografia di Agassi Open (e sospetto anche dietro ad altre autobiografie). Un signor scrittore in grado di rendere universali eventi prettamente personali, con una capacità di analisi della psiche umana davvero invidiabile. Insomma, dovendo mettere per iscritto la sua vita, Harry si è rivolto al migliore sulla piazza. Un punto per lui. E poi, al netto del pettegolezzo, Harry è quasi mio coetaneo, ha quattro anni meno di me. Mi intrigava non poco l'idea di vedere gli eventi degli ultimi decenni con gli occhi di un coetaneo ma da un'angolazione unica. Possiamo dirci quel che vogliamo sulla monarchia britannica, può non interessarci il pettegolezzo, ma sfido chiunque a dire che quello di un principe non sia un punto di vista sul mondo particolare, per non dire unico.

Ebbene, cosa emerge da Spare?
Innanzi tutto in me è emerso un dubbio. Non so dire quanto Moehringer abbia accentuato, se lo abbia fatto, alcuni tratti, ma spesso mi sono chiesta se Harry abbia davvero approvato, abbia riletto il libro che ne è uscito (come per certi alunni prima che consegnino la verifica. "Sei sicuro? È proprio quello che volevi scrivere?").
Il ritratto che ne esce è di un uomo profondamente irrisolto, fermo emotivamente a quando aveva dodici anni, alla morte della madre. Diana aleggia in maniera ossessiva dalla prima all'ultima pagina. Un fantasma senza forma, perché per sua stessa ammissione Harry ha rimosso i ricordi autentici che ha di lei. Ma questa mancanza, questo lutto non elaborato si mangia pian piano tutto. L'ambiente famigliare che Harry delinea è, come facile immaginare, piuttosto freddo e poco incline all'empatia, ma non drammaticamente distaccato. Il contrasto emerge e si fa insanabile in una mancanza di empatia bidirezionale. La famiglia non capisce lo stato d'animo di Harry che doveva essere mandato in terapia per direttissima subito dopo il lutto, non anni e anni dopo, dopo uno stratificarsi di comportamenti disfunzionali e autodistruttivi. Ma anche Harry non capisce la capacità dei membri della sua famiglia di andare oltre, di adattarsi allo status quo e di accettare un ruolo che non hanno scelto, sicuramente a tratti scomodo, ma in qualche modo ineluttabile. Qui c'è forse la prima e la più grande contraddizione del libro. 500 pagine per raccontarsi come uomo, per non farsi vedere come principe, per fuggire al suo ruolo di principe. Firmato "principe Harry".

Il grande nemico di Harry sono i media. Ecco credo che questa sia la parte forse più profonda della vicenda, perché davvero noi non possiamo sapere quanto peso abbiano sulla vita dei reali. Per Harry sono loro gli assassini della madre (suppongo sia anche vero, se le indagini hanno stabilito che la principessa fuggiva da un inseguimento). Di certo i giornali lo hanno braccato dal primo giorno della sua vita e gli hanno mostrato il corpo della madre agonizzante, hanno reso difficile ogni giorno della sua vita. Nulla da stupirsi se i momenti migliori Harry li ha trascorsi nel cuore dell'Africa, nel delta dell'Okavango, luogo per cui si percepisce un amore autentico, fatto di desiderio di preservare la natura, ma anche di assenza di stampa. Quello che davvero Harry non perdona alla sua famiglia è di essere venuti a patti con la stampa, aver accettato l'esistenza dei giornalisti, aver imparato a gestirli e persino a indirizzarli. La sua è una posizione umanamente comprensibile, ma realisticamente irrealizzabile. E, da fuori, posso capire l'insofferenza dei suoi famigliari, proprio quanto la salute di Elisabetta declinava, una pandemia mondiale scuoteva il globo, per il suo pretendere una vita reale, sì, ma senza stampa. Al netto di questo va dato atto ad Harry che il comportamento di molti giornalisti è inqualificabile, forse chiunque di noi sarebbe sbroccato, chissà...

Alla fine l'impressione che mi sono fatta di Harry è di una persona genuinamente di buon cuore, che si appassiona facilmente a cause che può comprendere e si fa in quattro per ciò che crede, ma che ha la maturità di certi miei alunni di terza media.
I guai che si caccia sembrano la versione amplificata all'ennesima potenza di quelli in cui potrebbero cacciarsi i più immaturi dei miei studenti in gita. È ovvio che c'è del patologico in questo, una sorta di spirale autodistruttiva "odio la stampa - mi metto in condizione da far uscire le peggio notizie su di me -odio ancor di più la stampa", ma è difficile per me non immaginarmelo in versione alunno in gita.
"Prof... Per quella festa in maschera era rimasto un solo costume e quindi l'ho preso... In effetti da nazista forse non era il caso... Ma io non pensavo, prof..."
"Prof... Sa in questa settimana sulla neve... Forse sciare in jeans leggeri non è stata una grande idea... Prof, mi brucia proprio lì sotto, cosa faccio?"
"Prof... Ma insomma eravamo solo noi in camera, e va beh, quelli dell'altra scuola che abbiamo conosciuto ieri... Va bene, giravo nudo, chi avrebbe immaginato che poi mettessero le mie foto in rete..."
"Prof... Ma non è che l'ho fatto per offendere, lei sa che non sono razzista, mi è uscito di chiamarlo così, è solo che stavano riprendendo proprio in quel momento..."
"Prof... Sa quella cosa di non accettare cioccolatini dagli sconosciuti? Ecco, in effetti potrei aver assunto qualcosa..."
Il problema è che in nessuna di queste occasioni (raccontate da lui medesimo!) Harry aveva quattordici anni. Per carità per chi non ha a che fare ogni giorno con quattordicenni che si comportano così può anche risultare un simpatico cazzone. Ma del tutto inadatto al proprio ruolo. Che non ha scelto, per carità, però...
Il risultato è che si ride parecchio, ma di lui, povero Harry, che beve come una spugna (questa cosa passa quasi in sottotraccia, come se non fosse di per se un problema), prova una quantità imbarazzante di droghe, per lo più in situazioni poco opportune e non ne azzecca una giusta.
Fa simpatia perché non è mai malevolo e non danneggia mai altri che se stesso, però...

Il tutto è raccontato, come ci si aspettava, con maestria. Non c'è la profondità di Open e forse è anche mancata la sintonia giusta tra narratore e penna, chissà. A volte certe frasi troppo perfette stridono proprio con la faciloneria di Harry. Probabilmente non è l'opera di cui Moehringer andrà più fiero (anche se immagino che ne abbia ricavato valangate di denaro) ma è comunque un libro scritto da chi le parole le sa usare. Se poi la persona che viene raccontata sia o non sia degna di lettura, beh, questo sta a ogni lettore deciderlo.
Io, lo ammetto, mi sono divertita.                                       

domenica 15 gennaio 2023

Di mamme finlandesi e scuole italiane


 Vi regalo la vista magica del mio lago, scorto dall'alto di una montagna innevata e le mie inutili considerazioni sulla polemica che ha tenuto banco nelle ultime settimane nel mondo della scuola e non solo.

Riassunto delle puntate precedenti, per chi fosse riuscito a non sentirne niente. Una famigliola finlandese si trasferisce in Sicilia, ma dopo due mesi scappa. La colpa? La totale disorganizzazione della scuola, dove regna il caos, gli insegnanti non sanno fare il loro lavoro (l'insegnante di inglese ne sa meno del figlio!) e i bambini sono costretti a lunghe inutili ore senza pause. Il tutto è stato esposto con dovizia di particolari in una lettera mandata ai giornali in cui la signora sfoga tutto il suo disappunto.

La missiva, inutile nasconderlo, trasudano spocchia e antipatia. Dopo due mesi di permanenza in una singola città, con l'esperienza quindi di singole classi, la signora ritiene di poter dare lezioni al sistema scolastico italiano nel suo insieme mescolando problemi che poca attinenza hanno l'uno con l'altro (il giardino della scuola non è abbastanza curato e l'insegnante di inglese è impreparato!). Questa spocchia permette a tutti noi che la scuola la viviamo ogni giorno di scrollare le spalle, ringraziare in cuor nostro di non aver avuto il piacere di interagire di persona con una cotale genitrice, e continuare a fare come abbiamo sempre fatto.

Al di là del tono saccente di Colei Che è Arrivata a Portare la Civiltà a noi selvaggi, ci sono però alcune considerazioni che si potrebbero fare. Anche Miss Antipatia, dopo tutto, può dare qualche spunto sensato.

Alcune delle sue osservazioni non meritano molto di più che una scrollata di spalle. Le scuole italiane sono vecchie. Gli arredi del cortile (di quel cortile) non sono all'altezza degli standard nordici. Ma nooo? Chi lo avrebbe mai detto? Non ci siamo davvero mai accorti dello stato pietoso dell'edilizia scolastica, anzi ci diverte rischiare la vita ogni giorni. Stessa cosa riguardo al professore incapace. Al singolo professore incapace che le fa gridare orripilata che gli insegnanti italiani sono capre. Signora mia, buongiorno, benvenuta in Italia, uno dei paesi in cui si spende meno per l'istruzione e che ha metodi di arruolamento dei docenti tra i più cavillosi al mondo. Senza di lei non mi sarei mai accorta delle criticità del sistema in cui lavoro...

Ci sono due punti, però, nella sua lettera, che meritano qualche istante in più di riflessione.
Il primo più che la scuola riguarda la cultura generale, l'organizzazione e la sicurezza delle città. Ogni mattina davanti a ogni scuola, in qualsiasi posto in Italia, si crea un ingorgo creato dai genitori che accompagnano i pargoli in auto. E questo non avviene, o avviene molto meno nel resto d'Europa. Non si tratta di qualcosa di irrisolvibile, che necessiterebbe investimenti stratosferici. Basterebbe un'organizzazione diversa e, sopratutto, una cultura per cui è normale che i bambini possano andare a scuola, persino quando piove, con il pulmino o addirittura a piedi.

L'altro appunto interessante, invece, è interno alla dinamica scolastica. La signora lamenta mancanze di pause in cui i bambini possano muoversi. Ecco, su questo singolo punto, mi sento di darle ragione.
Un bambino delle elementari può arrivare a stare seduto oltre quattro ore con una singola pausa a metà mattina. Alle medie arriviamo a sei ore di lezione con un intervallo di dieci minuti. Ossessionati come siamo dalla sicurezza, in molte scuole l'intervallo si fa in classe, spazio che per altro è molto più pericolosi di un corridoio o di un cortile, anche se ci si muove poco, pieno com'è di banchi, sedie, cartelle e cartellette che sembrano create apposta per inciamparci. Se si esce si esce per poco e non si corre. Non si corre, non ci si rincorre, non si gioca. Di prendere un pallone neanche a parlarne, del resto con dieci minuti, anche volendo, ci sarebbe giusto il tempo di fare le squadre. Che si possa arrampicare, saltare, utilizzare qualcosa di simile a un parco giochi sembra addirittura fantascienza,
Eppure non ci vuole un fine pedagogista per capire che i bambini hanno bisogno di muoversi e che è più facile tornare a concentrarsi dopo che si è fatta una pausa che dopo ore piene di lezione.
È una riflessione che sto facendo da qualche anno, in realtà. Complice una classe che ha una grande energia fisica da sfogare e una scuola con ampi spazi esterni, il potere salvifico delle pause all'aperto è qualcosa che sto sperimentando. Sopratutto durante i pomeriggi. Avendo tre ore di lezione finale, un quarto d'ora di pausa all'aperto distruggerà il processo di apprendimento? In realtà no. Si esce chi vuole corre, chi vuole può prendere una palla morbida, gli altri passeggiano e chiacchierano. Ovviamente questo vuol dire che i ragazzi potenzialmente possono farsi male. Probabilmente non so esattamente cosa rischio. Nel triennio precedente ho avuto una classe di ragazzi che si facevano male nei modi più improbabili. Il caso più incomprensibile è stato una frattura scomposta a un gomito avvenuta perché la ragazza ha urtato il passamano mentre scendeva le scale. Ha urtato il passamano. Sotto i miei occhi e quelli di un altro docente. Non è stata spinta, non stava correndo o saltando. Ha semplicemente mosso il braccio. Frattura scomposta. C'è stato anche il trauma cranico con notte in ospedale di quello che si è alzato in piedi per salutare il docente, è inciampato non saprei dire dove ed è caduto all'indietro sbattendo la testa contro il muro. Alzandosi in piedi. Lo stesso ragazzo si è fratturato la caviglia scendendo una scala (diversa da quella del gomito), ma lì io non ho assistito alla scena. Inutile dire che dopo ogni singola lezione di educazione fisica qualcuno aveva bisogno del ghiaccio. Insomma ho fatto una certa esperienza con i moduli di infortunio e ho deciso che se tanto non posso impedire loro di scendere le scale e alzarsi in piedi, allora che escano e almeno si divertano. Posso dire che questo ha portato benefici visibili e meravigliosi alla didattica? No. Ma la pausa del giovedì pomeriggio è un bel momento, vengo informata sulla salute degli animali domestici, sulle letture, invitata a giocare a palla, cosa che ogni volta rifiuto.
Questa però è una classica soluzione all'italiana. La scelta di una singola docente, appoggiata e imitata a macchia di leopardo nella stessa scuola (cosa che non aiuta il senso di fratellanza, perché alcune classi hanno molti più docenti inclini alla pausa in esterno di altre). Bisognerebbe ragionare davvero sui tempi di attenzione e su ciò che si può umanamente chiedere a bambini e pre adolescenti e cosa no. Non so se possa essere davvero applicata l'idea di un quarto d'ora di pausa all'aperto ogni 45 minuti, ma forse è venuto il momento di pensare che anche stare all'aperto 15 minuti, magari ogni due ore, è funzionale all'apprendimento. Se non piove. Perché, cara signora finlandese, siamo comunque italiani. E i bambini italiani (ogni mamma lo sa) sono solubili in acqua piovana. È inutile che cerchi di convincerci del contrario.