sabato 10 novembre 2012

L'automa che sapeva parlare - la vera storia dell'invenzione del telefono


Questa è una storia vera di cui sono venuta a conoscenza giusto ieri sera (grazie Fabio!) e me ne sono subito innamorata.

Aosta, metà 1800. Una famiglia numerosa, povera, originaria delle mie terre tra il Lago Maggiore e quello d'Orta. Un inventore geniale, che dorme due ore a notte e sforna un'invenzione dopo l'altra per mantenere se stesso e gli otto fratelli. Un unico sogno, costruire un automa in grado di stupire il mondo.

Chi ha vista il film "Hugo Cabret" saprà che era a colpi di automi che gli inventori a metà ottocento combattevano la loro  guerra per la popolarità. Ce n'erano che sapevano giocare a scacchi, altri che erano in grado di riprodurre un disegno.
Innocenzo Manzetti, uno che aveva la faccio da diavolo e, forse, l'animo di un bambino, voleva che il suo fosse il migliore di tutti. Doveva potersi alzare in piedi, portarsi il flauto alle labbra, suonare 12 arie diverse e parlare. Sì, parlare. Ma non ripetere parole pre ordinate, cosa che a quanto pare alcuni automi facevano, ma far sentire a distanza la voce del suo inventore.
C'è una lettere con cui il sindaco di Invorio, città natale della famiglia Manzetti, manda a Innocenzo 100 lire per lo sviluppo delle sue invenzioni. E Innocenzo risponde appunto che il suo automa è quasi perfetto, gli manca giusto di farlo parlare.
Da qui partono una serie di esperimenti sulla trasmissione della voce.
Di colpo si viene a sapere che ad Aosta un inventore spiantato sta facendo esperimenti su uno strumento per trasmettere la voce a distanza, ottenendo risultati insperati. Meucci scrive, ammettendo che Manzetti è più avanti di lui, e chiede una collaborazione, ma il nostro Innocenzo forse pensa al suo automa e non risponde. Un biglietto da visita di Bell pare dimostrare che anche l'altro contendente per la disfida del telefono sia giunto ad Aosta a curiosare.
Ci siamo.
Manzetti inventa una cornetta per la ricezione del suono e pare che l'automa fosse pronto per parlare. A questo punto si muove il nostro governo con la lungimiranza che gli è ancora propria dicendo a Manzetti che la sua invenzione è socialmente pericolosa, è pregato di lasciar perdere se non vuole grane. Il nostro è già povero e malato, vuole solo costruirsi il suo automa e desiste.
Morirà pochi anni dopo, nel 1877.
Poco tempo dopo alla vedova si presentano degli inviati di Bell che per poche lire si appropriano di appunti e prototipi, che verranno poi brevettati in America, ovviamente non a nome di Manzetti.
La storia stabilirà poi che il telefono l'ha inventato Meucci, con un primo brevetto del 1871, anche se numerosi articoli di giornali ci dimostrano che ad Aosta già nel 1865 era possibile trasmettere le voci a distanza.
Di Manzetti rimane una targa nel comune di Invorio (una delle poche istituzioni ad aver creduto in lui) e  la foto del suo automa che vedete qui

3 commenti:

  1. Non è una storia meldettamente affascinante?

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    1. Io la sapevo! (Anche se ormai le date andavano confondendosi)

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  2. Altro che affascinante!
    E' romantica, disperata, triste per l'ottusità di alcuni e meledettamente fantastica!

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