domenica 10 novembre 2019

A Casale Monferrato a parlare di Ursula K. Le Guin – Parte seconda, chi era Ursula K. Le Guin?


CHI ERA URSULA K. LE GUIN


Il disegno che ho scelto credo rappresenti bene chi era per me Ursula K. Le Guin.
È stata una sorta di "nonna virtuale" che attraverso i suoi scritti, dall'alta parte del mare, mi ha accompagnato dall'infanzia fino all'età adulta, facendomi capire che tipo di donna avrei voluto diventare. Dopo tutto, tra lei e la nonna che ho conosciuto c'erano solo tre anni di differenza e davvero, anagraficamente avrei potuto essere sua nipote.

Ursula, però, non è mai stata una signora normale, come me la immaginavo io da bambina, una donna che dopo una formazione più o meno come quella di tutti gli altri ha deciso di mettersi a scrivere.
È stata sicuramente estremamente fortunata a poter vivere in un ambiente stimolante all'ennesima potenza, in contatto (e parliamo degli anni '20 e '30 del novecento) con la diversità culturale nel senso più ampio del termine. A lei il merito, però di aver condensato e trasmesso questa ricchezza in idee tanto forti da attraversare il tempo e lo spazio e plasmare la mente di una ragazzina di provincia come me, cresciuta tanto dopo, ma priva (come il 99% dell'umanità) di quello straordinario humus culturale in cui è cresciuta lei.

Come scrivevo nel post precedente, lei si è sempre firmata Ursula K. Le Guin. K sta per il suo cognome paterno, Kroeber, un nome che chiunque mastichi un po' di antropologia conosce (a me comunque ci sono voluti decenni per collegare i puntini).
Quindi ora un po' di antropologia di base. Semplificando all'inverosimile, non mi accoltellino gli antropologi culturali veri, l'antropologia si forma nei primi decenni del novecento con lo studio di popolazioni dalla cultura ancora molto differente da quella occidentale. Hanno estrema importanza gli studi  effettuati tra le popolazioni siberiane e quelli sulle popolazioni native americane. Alfred Kroeber il papà di Ursula studia i nativi americani.
Ora, per quanto ho capito io, Kroeber separa gli aspetti culturali da quelli biologici organici. Secondo lui una cultura non dipende dalla biologia delle persone che vivono quella cultura e i modelli culturali non possono riprendere quelli biologici. Il suo saggio principale è del 1917, un periodo, per intenderci, in cui si parlava tranquillamente di "popoli primitivi", "razze umane" e altre amenità simili, scindere nel 1917 l'aspetto biologico da quello culturale non è scontato e spazza via un bel po' delle idee che allora andavano per la maggiore.
La mamma di Ursula, invece, era una scrittrice, Theodora, (nell'America degli anni '10 del novecento) che voleva scrivere la storia dell'ultimo esponente di una popolazione nativa. Inevitabilmente incontra nel lavoro di documentazione incontra Alfred. Lei è già vedova con due figli, non ho capito come (credo che in famiglia avessero i super poteri), si specializza anche in psicologia e nel mentre sposa Alfred.
Non dimentichiamoci in questa storia di Ishi, l'ultimo esponente della propria popolazione, che, messo in contatto da Theodora con Alfred, inizia a lavorare con lui. Non ho trovato molte notizie su Ishi in una lingua a me comprensibile, ma dalla foto presente su wikipedia direi che lo troviamo in parecchi romanzi della Le Guin, sia come figura archetipa (qualcuno di totalmente isolato dalla propria cultura di appartenenza e che studia per interagire alla pari con un universo culturale che comunque non sarà mai suo e non lo accetterà mai del tutto), sia a livello di tratti somatici.

La famiglia Kroeber passa gli inverni in università e le estati in mezzo al nulla, in un ranch da cui passavano nativi americani, gente dalle più varie provenienze e idee e fisici del calibro di Robert Oppenheimer.
Il che mi spiega probabilmente due cose. I romanzi di fantascienza della Le Guin tengono conto della teoria della relatività meglio della maggior parte degli altri e si addentrano più di altri nella fisica e nella matematica delle teorie proposte per la tecnologia del futuro. Nonostante questo, lei diceva spesso nelle interviste che la fisica moderna la affascinava, ma la capiva solo fino a un certo punto. Suppongo sia vero, se il tuo metro di paragone è il direttore del progetto Manhattan.
In ogni caso, pur affascinata dalla fisica, Ursula decide di studiare letteratura, perché la stimola, le viene meglio e vuole scrivere "storie affascinanti e strane di quella che chiamano fantascienza". Immagino che nel suo contesto famigliare fosse un sogno molto meno eccentrico di altre cose.

Ursula studia quindi letteratura rinascimentale francese e italiana e conosce uno storico francese, Charles Le Guin, che sposa. Decide di dare priorità alla carriera del marito e "come ripiego" insegna francese all'università, e inizia a pubblicare regolarmente dopo la nascita del secondo dei suoi tre figli.
Questa è una cosa che mi ha sempre colpito.
Nelle sue storie ci sono persone che compiono le più svariate scelte di vita, dal lasciare tutto e andare su un altro pianeta come ambasciatore, tagliando i ponti con tutto ciò che hai conosciuto al vivere soli e liberi. Ci sono tuttavia un tot di personaggi femminili che hanno spiccati interesse intellettuali e/o professionali. Alcune di queste donne non desiderano la maternità, altre sì, e questo non è quasi mai in conflitto con la loro crescita professionale e intellettuale. Non sempre la cosa è indolore, ma è sempre un equilibrio possibile. Ora, considerando la storia personale sua e di sua madre mi viene da presupporre che lei non proponesse tanto un obiettivo da raggiungere, ma qualcosa che già sapeva possibile. Dopo tutto sua madre, vedova, con due figli, diventa una psicologa di una certa fama. Lei si intestardisce con la scrittura quando ha già dei figli.
È ovvio che tutto ciò non sarebbe stato possibile se non venisse da un'ambiente agiato, ma parliamo comunque della fine degli anni '50 / inizi anni '60, quando le moglie non erano esattamente incoraggiate ad avere una propria carriera.
Infine, non so perché e non ho mai trovato una sua dichiarazione a riguardo, lei si firmerà sempre Ursula K. Le Guin, dando quindi precedenza al cognome del marito. Cosa curiosa per una scrittrice femminista. Non so se comunque il cognome Kroeber rimaneva piuttosto impegnativo e Le Guin suonava a tutti gli effetti molto bene. Considerando il caratterino della signora in questione (ci terrà a far sapere a tutti che una volta l'hanno costretta a firmarsi solo U.K. Le Guin per non far capire che era una lei, ci è rimasta malissimo e se l'è legato al dito per i successivi sessanta anni circa), credo però che l'essersi legata a Charles fosse una cosa che faceva parte della sua identità personale.

A questo punto dire "si interessa di filosofie orientali" fa molto New Age e non mi pare sia il caso. Meglio dire che studia a fondo il taoismo, le teorie anarchiche pacifiche (pur non riconoscendosi mai in tali idee e continua a interessarsi delle discipline in cui è cresciuta immersa, psicologia e antropologia.
Tutto ciò fluisce senza soluzione di continuità in tutti i suoi scritti, che siano storie "per bambini" o riflessioni sulla società.
Un occhio attento, conoscendo tutto ciò che l'ha influenzata, ne segue le tracce nei suoi scritti e che tuttavia, a ben vendere, sono riflessioni in forma narrativa di chi ha visto come testimone l'incontro di civiltà diverse con la consapevolezza che qualsiasi pretesa di superiorità è illusoria fino ad apparire ridicola.

Non c'era probabilmente altra forma che il fantastico in senso lato e il fantascientifico e il fantasy in senso più stretto per imbrigliare le riflessioni sulla società e sui singoli di questa donna.

Dire che ha voluto elevare la letteratura di genere verso una letteratura più alta mi sembra ridicolo.
La sua speculazione ha forma letteraria. E dato che al mercato letterario piace incasellare romanzi e racconti in generi, lei si è trovata a scrivere Fantasy e Fantascienza. Con buona pace, per altro, di chi li considerava generi contrapposti e inconciliabili.

Di certo la sua formazione così particolare, il contesto in cui è cresciuta, le ha dato una consapevolezza diversa. Mi chiedo come osservasse le ragazze della sua generazione, magari le sue compagne di studi, perfettamente immerse nel proprio contesto culturale, lei che già sapeva che il contesto culturale è tutto sommato un accidente che ci è capitato, pieno di convenzioni ridicole. La immagino aggirarsi per gli anni '50 come certe protagoniste di suoi racconti, aliene in un mondo straniero, che si sforzano di comportarsi come si conviene perché offendere gratuitamente gli altri è sempre brutto, e intanto annotano, ragionano, si sforzano di capire sempre pregiudizi.
È questo sguardo sul mondo, quello di chi a quel mondo non appartiene mai del tutto e che tuttavia non ha l'arroganza di definirsi superiore, che più di qualsiasi altra cosa mi è rimasto addosso.

Come tutte le nonne, alla fine mi ha insegnato un modo di pensare.


6 commenti:

  1. Tornerò a leggere entrambi i post con calma, però vorrei chiederti in titolo non troppo fantascientifico x cominciare. Grazie e complimenti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È facile.
      Agata e pietra nera. Ed. Salani.
      È una storia che oggi definiremmo "young adult" senza alcun elemento fantastico, la storia di un primo amore nella provincia americana.

      Elimina
  2. Grazie per questi interessanti retroscena sull'autrice. Non ne sapevo niente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie a te per la lettura, i prossimi approfondimenti saranno sul femminismo, l'antropologia e l'utopia.

      Elimina
  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  4. Scusa, avevo postato qua il commento al tuo ultimo post. Sto andando indietro a leggere gli altri, perché non mi era mai capitato di conoscere così da vicino questa autrice, anche quando ne hai parlato in altre occasioni.

    RispondiElimina