martedì 17 dicembre 2019

I testamenti – Letture



Di Margaret Atwood ho molto amato il famosissimo Il racconto dell'ancella, distropia che immagina l'instaurarsi di una dittatura religiosa negli Stati Uniti.

Ho quindi acquistato con trepidazione I testamenti, seguito dichiarato del primo romanzo. Devo dire che un piccolo campanello d'allarme è scattato. Il racconto dell'ancella è diventato ora famoso grazie a una serie tv (che non ho visto). Che il seguito sia stato scritto solo sull'onda di quel successo? A onor del vero ho subito represso questo pensiero. Margaret Atwood è una signora della letteratura, ha un'età, un carisma e una fama che dovrebbero metterla al riparo da simili tentazioni e quindi, mi sono detta, se è tornata a Gilead, il regimo totalitario che preso il posto degli USA, è perché ha qualcosa di nuovo da dire in proposito.
Questo è in parte sicuramente vero, anche se è altrettanto vero che non tutto funziona come dovrebbe.

Ne I testamenti si alternano tre voci narranti. Tutte e tre, come già avveniva nel primo romanzo, sono documenti presentati in un convegno di studi, molto tempo dopo la caduta di Gilead stesso.
A narrare le proprie vicende sono zia Lydia, una delle poche donne di potere del regime, che prima della rivoluzione era stata un giudice e due ragazze, opposte e speculari, una cresciuta in una famiglia bene di Gilead e una invece allevata oltre confine, in Canada. Tre storie che si intrecciano e che poi vanno a confluire in una stessa vicenda.

La voce di zia Lydia è sicuramente quella che mi è rimasta più impressa. Una donna abituata ad avere indipendenza e potere che, messa di fronte all'instaurarsi del regime ha deciso di collaborare. Le si può dare torto? Se si fosse opposta sarebbe finita fucilata o uccisa poco dopo. Zia Lydia non solo non si oppone, ma diventa uno dei capi del potere femminile. Le "zie", donne votate alla castità, controllano infatti tutto il sistema femminile di Gilead, dove le donne sono divise in rigide caste, le mogli, le marte (serve) e le ancelle, concubine fertili. Le zie, le uniche donne a saper leggere, tirano le fila dei destini, controllano i matrimoni e gli accoppiamenti (cose che non sempre coincidono), tengono traccia dei segreti di tutti, pronte ad usarli a loro vantaggio. Il potere di zia Lydia, è infatti la conoscenza, l'accumularsi di informazioni e segreti e l'uso spregiudicato che ne fa. Ma questa donna che un tempo era un giudice minorile, fino a che punto è diventata una delle anime nere del regime?
Questo sta al lettore deciderlo. Perché se è innegabili l'agire da un certo punto in poi di zia Lydia contro il regime, non è così facile definire il "da un certo punto".
La vediamo farsi carico di alcune giovani donne, che userà per il suo fine, a cui però sembra anche emotivamente legata, ma rimane aperto il dubbio su quante ne abbia mandate a morire prima. La vediamo, nel corso della narrazione, evitare che una giovane moglie sia uccisa dal marito, ma la vediamo anche ben consapevole che quell'uomo ha commesso altri omicidi che Lydia non ha saputo o voluto evitare.
Devo dire che il cinismo e l'ambiguità morale di Lydia sono le cose che mi sono piaciute di più. Mi ha affascinato il mio non riuscire a dare un giudizio netto. O, meglio, Lydia sicuramente aiuta Gilead a implodere, ma lo aiuta anche a costituirsi. Ecco, ai miei occhi questo ravvedimento finale non giustifica fino in fondo una donna le cui azioni sono sicuramente ben comprensibili, ma non del tutto giustificabili.

Ho trovato meno interessanti gli altri due punti di vista. O, meglio, ho molto apprezzato le infanzie contrapposte di Agnes e Daisy. Agnes cresce a Gilead senza aver mai conosciuto altro, ignorando di non essere la figlia biologica di una madre comunque capace di darle amore, e viene intrisa nella propaganda. Daisy, invece, è una normale adolescente occidentale, che guarda con un misto di orrore e fascinazione la vicina dittatura. Entrambe, però, diventano molto meno credibili nella loro versione adolescente. Agnes è una sorta di creatura asessuata che, pur essendo cresciuta nella dottrina di Gilead rifiuta il matrimonio che le viene proposto, sulla carta estremamente vantaggioso, per dei motivi che non sembrano così radicati nel personaggio (perché la sua amica a sua volta aveva rifiutato di sposarsi? perché una volta era stata oggetto di un palpeggiamento e aveva sviluppato il terrore per gli uomini?). Decide quindi di diventare zia, ma anche la sua crescita all'interno dell'ordine mi è sembrato raffazzonato. Agnes non mette mai in dubbio apertamente Gilead, non si forma un'idea personale su quello che sta succedendo, nonostante zia Lydia la metta al corrente di svariati segreti. Infine, accetta di compiere una missione pericolosissima e che ha il fine dichiarato di abbattere il regime perché? Glielo ha detto zia Lydia?
Non so, qualcosa nella costruzione di Agnes mi è sembrato frettoloso e non perfettamente coerente.
Allo stesso modo Daisy scopre di essere cresciuta da membri di un movimento che si oppone apertamente a Gilead e in pochissimo tempo si trasforma in una spia pronta ad essere infiltrata. I suoi pensieri, tuttavia, continuano a sembrare ai miei occhi una versione stereotipata di quelli dei "ragazzi di oggi".
Nessuna delle due, quindi, mi ha convinto al 100%, troppo facili da convincere a una causa che solo per caso è quella che al lettore pare giusta e sopratutto prive di sentimenti e di passioni. Agnes in particolare giunge all'età adulta senza uno sbandamento, un'innamoramento neppure platonico, una pulsione di un qualsiasi tipo?

Credo che in parte quelli che io ho percepito come difetti siano scelte volute. Tutte e tre le protagoniste sono donne molto celebrali, agiscono sulla base di quello che pensano e ritengono giusto, reprimendo o ignorando i sentimenti. Forse l'autrice ha volutamente lasciato fuori il sentimentale e l'irrazionale dalla vicenda. L'effetto che si è creato ai miei occhi è quello di una diffusa artificiosità. Dubito di questi personaggi come non dubitavo di quelli del romanzo precedente.

C'è anche da dire che sono arrivata a questa lettura dopo aver riletto moltissima della produzione fantascientifica della Le Guin, fonte d'ispirazione della Atwood. Devo dire che nel confronto questo romanzo esce perdente. Manca proprio la capacità includere il lato umano e irrazionale nella narrazione sociologica, cosa che per altro riusciva perfettamente ne Il racconto dell'ancella.

Ne risulta un romanzo interessante, che si legge con piacere e lascia qualche spunto di riflessione. Eppure risulta freddo, come se Lydia, Agnes e Daisy fossero manichini e non persone

2 commenti:

  1. Lo leggerò sicuramente e di certo con le tue stesse aspettative. Diciamo che quando abbiamo molto amato un primo libro, è difficile ritrovare nel seguito le stesse identiche emozioni, però come tu scrivi I Testamenti ha comunque un valore imprescindibile, dovuto al talento dell'autrice.
    Forse, il fatto che le protagoniste risultino "manichini" è una scelta voluta. Il primo libro mi ha impressionata non poco, dare voce al braccio di tutto questo regime deve essere stata una scelta molto precisa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti zia Lydia è di gran lunga il personaggio che funziona meglio, quello che secondo me era interessante anche per l'autrice. Le altre due non so, mi sono sembrate tanto più sciatte. Rimane comunuqe un libro che è un piacere leggere

      Elimina