lunedì 27 agosto 2018

Letture – Mattatoio n°5


La capacità proprio della letteratura è quella di far arrivare alla verità attraverso la finzione.
Tuttavia vi sono esperienze al limite dell'umano che diventano tangibili attraverso la letteratura solo se arrivano da un'esperienza concreta.
Quei casi, che non auguro a nessuno, in cui qualcuno che è già uno scrittore o lo è in potenza si trova a vivere in prima persona esperienze drammatiche. Credo che esperienze al limite come la guerra o la prigionia siano davvero difficili da scrivere nel comodo di uno studio. Forse che sia persino un po' arrogante farlo. In effetti noi prof veniamo bersagliate da proposte letterarie a tema "Seconda Guerra Mondiale" e alcuni, che parlano di lager ma sono scritti dalla comodità di salotti riscaldati, devo dire mi urtano un po'.
Mattatoio n°5 è uno di quei libri in cui si tocca con mano lo strazio del vissuto.
Ed è un libro di fantascienza.

Il primo capitolo, una sorta di prologo, è, per certi versi, una delle cose più vere e strazianti che mi sia capitato di leggere.
Poche pagine raccontano in modo tanto vivido l'urgenza di scrivere e il disagio del doverlo fare, il pudore a raccontare qualcosa che si sente di dover narrare, che si è visto, sapendo che si andrà ad urtare delle sensibilità.
L'autore, americano di origine tedesca, durante la Seconda Guerra Mondiale è stato fatto prigioniero in Germania. Portato a Dresda, per un caso fortuito è stato alloggiato, insieme agli altri prigionieri americani, in un mattatoio sotterraneo, sopravvivendo così al bombardamento che ha raso al suolo la città uccidendo, inevitabilmente, per lo più civili.
In questo primo capitolo Vonnegut racconta la sua necessità di scrivere di quei fatti e i suoi scrupoli. Da un lato l'orrore per la guerra, qualsiasi guerra (il sottotitolo del libro è "la crociata dei bambini"), dall'altro il palpabile disagio che percepiva nel prospettare, negli anni '60, un romanzo sulla Seconda Guerra Mondiale in cui si empatizza con vittime tedesche. 
Il disagio dell'autore è palpabile, quasi si senta il suo grido trattenuto per qualcosa che lotta per uscire e il disgusto nel constatare che per molti ci sono morti (innocenti) che non hanno diritto neppure alla pietà per il solo fatto di appartenere "al nemico".

La soluzione è ricorrere a una fantascienza straniante.
Protagonista del racconto è Billy, uno spastico temporale.
La sua caratteristica è quella di avere una coscienza che continua a saltare da un momento all'altro della propria vita, che quindi viene esperita in modo non lineare. 
Un momento è il giovane soldato americano prigioniero a Dresda, che ogni tanto sfiora l'autore (con fortissimi cortocircuiti narrativi), un momento dopo è adulto, consapevole, magari, della morte di un moglie che non ha mai amato né odiato, un momento ancora ed è prigioniero di alieni che gli spiegano come il tempo coesista.
Questa percezione diacronica del tempo amplifica la sensazione generale di mancanza di senso. La percezione di Billy è di una vita affidata al caso, dove l'unica certezza è la capacità dell'uomo di far del male ad altri uomini. Dove ragazzi vanno in guerra senza capire bene il perché, finiscono per scontrarsi con altri ragazzi, in uno sconfinato paesaggio di vittime, senza neppure la certezza che i carnefici davvero esistano da qualche parte.

Ingenuamente, pur avendo già letto Ghiaccio nove, ho pensato che l'impianto fantascientifico avrebbe tolto forza a una narrazione che, di fatto, è memorialistica.
Errore.
L'impressione è un costante urlo di dolore nel vuoto. L'impossibilità ad accettare una mancanza di senso. Le infinite morti assurde che costellano il libro. Tutte di personaggi dimenticati e dimenticabili, gente su cui nessun libro di storia si soffermerebbe, come non si soffermano sui morti di Dresda.
Sono veramente molti i passaggi che risuonano come pugni nello stomaco, non ultimi i deliri fnatareligiosi che il protagonista legge in alcuni romanzi di fantascienza. E in effetti, c'è qualcosa che risuona in tutto il romanzo come un grido disperato a un dio assente, a un tempo che non può essere cambiato, all'illusione di un senso inesistente. 
Perché Billy, il protagonista, può anche trovare consolante, per certi versi, l'ineluttabile impossibilità di vere scelte (lui, che sposa la moglie perché già sa di averla sposata e ha già persino vissuto la vedovanza), ma è ovvio che per l'autore o il lettore non c'è alcuna consolazione. C'è la constatazione che sicuramente a qualcuno la guerra sarà sembrata giusta e necessaria, ma a farla sono stati ragazzini o quasi e che tutte le vittime, anche quelle odiose, hanno sofferto.
Come in Ghiaccio nove non c'è speranza di redenzione per l'umanità. Non c'è neppure l'arroganza della malvagità, se così possiamo chiamarla. Agghiacciante è il passo in cui Billy, a cospetto degli alieni, implora questi ultimi a fermare l'uomo, prima che distrugga l'universo. Ma gli alieni, che hanno un'altra concezione del tempo, dicono che non ce n'è bisogno, saranno loro a distruggere l'universo, per un banale incidente. L'umanità tutta non è che un piccolo accidente di cui non importa a nessuno.

Mattatoio n°5 è un libro da cui si esce spiazzati. Fa male. Ha angoli taglienti aguzzi di verità e disperazione.
Ed è un libro di fantascienza.

6 commenti:

  1. Ho approfittato della promozione Feltrinelli per acquistarlo, direi che dopo le tue parole avanza nella coda di lettura ^^

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    1. È un libro per cui, almeno per quanto mi riguarda, ci vuole la giusta predisposizione mentale, ma di certo è di quelli che rimangono dentro.

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  2. Prima o poi leggerò Vonnegut ma magari non questo che ho paura sia troppo forte per me.

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    1. Anche Ghiaccio Nove lascia un bel senso di desolazione. Però ne vale la pena.

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  3. Regalatomi da mia sorella lo scorso Natale, attende di essere letto.
    :)

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