mercoledì 29 gennaio 2020

Due considerazioni sul giorno della memoria

Il saluto dei miei alunni a Liliana Segre


Scrivevo domenica che a proposito dell'incontro con Liliana Segre non ero riuscita a trovare le parole. Sto diventando lenta. O forse ho semplicemente bisogno di pensare, riflettere sulle cose, sviluppare un ragionamento prima di condensarlo in parole. Che cosa desueta, nell'epoca dei social!

Ho avuto il privilegio, insieme ai miei alunni, di ascoltare la testimonianza di Liliana Segre, quasi due ore di lucidissima ricostruzione di quella che è stata la sua vita tra il 1938 e il 1945, pochi giorni prima della Giornata della Memoria. 
Come ogni anni, poi, il 27 gennaio ho letto articoli, guardato post sui social, sentito interventi, e molte di queste cose mi hanno profondamente infastidito. Per questo mi sento di condividere alcune riflessioni.

La specificità dello sterminio nazifascista
Ho letto post che sostanzialmente dicevano che il 27 gennaio dovrebbero essere ricordare le vittime di tutti i genocidi, perché non ci sono vittime più vittime di altre. Alcuni, senza tanti giri di parole, dicevano che si mette troppa enfasi sulle vittime ebree, che sì, sono pur state la maggior parte delle vittime nei campi di concentramento, ma poi anche gli ebrei... Il post più inquietante che ho trovato, più inquietante perché condiviso di certo in buona fede, diceva di ricordare tutti i genocidi della storia, compreso quello dei nativi americani e quello dei catari (1220 circa, giusto per dare i riferimenti temporali).
Ora, con tutto il rispetto per tutte le vittime, catari inclusi, fino a prova contraria il 27 gennaio è stato scelto in quanto è la data in cui l'Armata Rossa ha raggiunto il campo di stermino di Auschwitz. Quindi è la giornata dedicata alla memoria delle vittime del nazifascismo, non in generale alle vittime di stermino (ripeto, con tutto il rispetto). E le vittime del nazifascismo sono state appartenenti a categorie ben precise, sono state uccise perché appartenenti a categorie ben precise: disabili, ebrei, testimoni di Geova, rom, omosessuali, dissidenti politici. Forse non abbiamo numeri precisi per le uccisioni dei disabili (meno centralizzate e meno documentate), ma per quanto riguarda le altre categorie, gli ebrei sono le vittime più rappresentate. Quindi è normale e inevitabile che tra i testimoni di quegli orrori gli ebrei siano la maggioranza e che le persone di fede ebraica si sentano coinvolte. Questo non vuol dire fare un'equivalenza ebreo/vittima, in ogni tempo e in ogni luogo, ma rispettare il fatto che molte di quelle particolari vittime lo sono diventate in quanto ebree. Al ricordo di queste va senza se e senza ma affiancato quello della altre vittime del nazifascimo, testimoni di Geova, Rom/Sinti, omosessuali, disabili e dissidenti politici. Proprio come gli ebrei sono diventati vittime in quanto appartenenti a questi gruppi.
Mettere insieme tutte le vittime di ogni sterminio di fatto allontana la questione, la rende meno urgente e attuale. Rende in nazifascismo un orrore come un altro, che ci tocca si ma anche no, lontano e sfocato come sono per noi i crociati medievali. Invece non deve apparirci né lontano né sfocato.

Lo stermino nazifascista ha una specificità in fatto di vittime e carnefici. 
Abbiamo una parte della società che ha deciso che altre parte di quella stessa società (ricordiamolo, ebrei, disabili, testimoni di Geova, omosessuali non erano comunità a parte, erano membri della società tedesca, italiana e dei territori poi occupati dal nazismo che si sentivano in primis tedeschi, italiani etc.) andassero eliminate. Non isolate o segregate, ma eliminate. Nessuna abiura era possibile e l'eliminazione era parte del programma. 
Il padre di Liliana Segre l'aveva fatta battezzare, sperando così di scamparle le leggi razziali. È finita ad Auschwitz lo stesso.

Lo sterminio nazifascista ha una specificità temporale
Non stiamo parlando di barbari tempi remoti, in cui vigevano categorie di pensiero differenti. Stiamo parlando dei nostri nonni. Ripetiamocelo. I nostri nonni sono stati vittime o carnefici. O silenziosi complici. Dimentichiamoci il fatto che non sapevano.
Un piccolo anedotto personale.
Prima dell'istituzione della giornata della memoria, nel 1998, ho partecipato con alcuni compagni di scuola (facevo il liceo) a un concorso sulla seconda guerra mondiale. Abbiamo deciso di approfondire una delle tematiche proposte "cinema e resistenza". Guardando il film Il generale Della Rovere ci siamo accorti che in una scena il protagonista viene imprigionato in una cella in cui altri partigiani hanno lasciato delle scritte sui muri. Ingrandendo l'immagine abbiamo letto che una delle scritte riportava "dite ai miei genitori a Borgomanero che sono morto per la libertà". Io abitavo a Borgomanero, i miei compagni poco distanti. A quel punto siamo partiti a tappeto a intervistare gli anziani che avevamo sotto mano per capire come mai proprio Borgomanero fosse citata. Non lo abbiamo scoperto. Ma abbiamo raccolto moltissime testimonianze, nel 1998 era molto più facile trovare dei testimoni, e abbiamo appurato che a Borgomanero, provincia di Novara, c'era una piccola comunità ebraica che è sparita da un giorno all'altro. E tutti lo sapevano. Mia nonna e le sue amiche ricordavano una bambina ebree che a un centro punto non è più venuta a scuola. Ricordavano di essere state invitate a non fare domande. Ricordavano che era opinione comune che le famiglie ebree fossero state uccise. 
I nostri nonni, quei meravigliosi nonni che ci facevano le torte, che tanta parte hanno avuto nella nostra infanzia sono stati testimoni di uno sterminio. La maggior parte di loro non ha fatto nulla. Con tutto il rispetto per tutti gli altri genocidi, questo ci riguarda un bel po' da vicino. Non riguarda solo le vittime. Per dirla con un verso di De André anche se vi credete assolti, siete tutti coinvolti.

L'Italia non è stata neutra nei confronti delle leggi razziali.
La narrazione secondo cui l'Italia sì, era fascista, ma insomma, i razzisti erano i tedeschi, è autoassolutoria e, ahimé, fasulla. Le leggi razziali ci sono anche in Italia. Dal 1938 abbiamo una segregazione di una parte della società.
Come ha ricordato Liliana Segre, ad Auschwitz i suoi carnefici erano tedeschi. Ma chi l'ha imprigionata e caricata sul treno per la Polonia era italiano. 
Ci piace ricordare le vittime italiane. Ci piace ricordare gli italiani che, anche a costo della vita, hanno tentato di salvare persone dallo sterminio.  E questo è sacrosanto. Sarebbe il caso di ricordare che tanti italiani hanno applaudito Hitler, hanno sostenuto con convinzione le leggi razziali, hanno appeso sulle vetrine dei loro negozi le scritte "questo è un negozio ariano" "vietato l'ingresso agli ebrei", hanno intimato ad altri di non fare domande quando i propri vicini di casa sono stati fatti sparire.

Il pericoloso alibi della follia
Erano tutti pazzi? Tutti? Da Hitler all'ultimo funzionario che instradava i detenuti verso i treni piombati? La follia ci assolve. Se erano pazzi erano malati, se erano malati e noi siamo sani questa cosa non ci riguarda. Povere vittime, povere tutte e passiamo oltre.
Ma erano i nostri nonni. Se non loro i loro vicini di casa, i loro conoscenti. Gente che abbiamo conosciuto, erano normali. Persone come noi. Non hanno vissuto tempi così barbari e distanti. Era brava gente italiana e tedesca che ha pensato che andasse bene ammazzare della gente "diversa". Una diversità talmente calata dall'alto, talmente assurda che adesso per capire diamo la colpa alla follia. Ma a condannare milioni di persone non è stata la follia del singolo, ma l'indifferenza della moltitudine che ha semplicemente "obbedito agli ordini" "evitato di cercarsi guai" "non ha fatto domande".

L'importanza di accettare la specificità dello sterminio nazifascista
È importante accettare la specificità dello sterminio nazifascista perché ci fa sbattere la faccia con il fatto che ci riguarda.
Spostiamo per un attimo lo sguardo dalle vittime ai carnefici. Erano i nostri nonni. Che forse non hanno ucciso nessuno, ma hanno evitato di cercarsi guai e di farsi domante. E se è successo ai nostri nonni, allora può succedere a noi, che di certo non siamo migliori. Magari però possiamo farci delle domande.
È importante accettare la specificità dello sterminio nazifascista perché è accaduto qui. Abito tutt'ora a meno di un chilometro da Borgomanero dove, ho scoperto per caso, c'era una piccola comunità ebrea oggi scomparsa. A pochi chilometri da Meina, dove vi è stata una strage di ebrei in fuga. Mia nonna a dodici anni sapeva che la sua compagna era stata fatta sparire ed era meglio non chiedere. Mia nonna non era un genio, se lo sapeva lei a dodici anni vuol dire che lo sapevano tutti. E quella famiglia è stata uccisa lo stesso.
È importante perché le vittime erano persone comuni. Ebrei, testimoni di Geova, rom, omosessuali, dissidenti politici. Loro si definivano semplicemente "italiani" (o "tedeschi" o "polacchi" o...). In molti ricordi di sopravvissuti ebrei ritorna una presa di coscienza improvvisa che sì, erano ebrei, neppure ne erano consapevoli, magari il fatto di non andare a messa la domenica non era per loro un fatto identitario. 

Dalla specificità al presente
E quindi no, non si ricordano il 27 gennaio tutte le vittime. Ma le vittime di una strage precisa, avvenuta all'epoca dei nostri nonni, messa in atto da persone comuni contro altre persone comuni. 
Il male peggiore che ricordano quasi tutte le vittime sopravvissute è l'indifferenza. 
Al loro ritorno hanno trovato di colpo tutti antifascisti e antinazisti.
Tutti quelli che hanno lasciato che fossero portati via.
Guardiamoci negli occhi, non solo il 27 gennaio, e ammettiamo che avremmo potuto essere vittime per un semplice giro del destino, dei genitori di una fede minoritaria, inclinazioni sessuali. Ammettiamo però che avremmo anche potuto essere carnefici. Non farci domande su quei vicini di casa, su quei compagni di scuola.

È da questa ammissione, io credo, che si debba guardare al presente.
Le vittime di allora non sono le vittime di oggi.
Ma i meccanismi umani dell'odio, quelli non sono diversi. Il modo di pensare dei nostri nonni non era così diverso dal nostro. Quindi oggi noi come guardiamo a chi, ancora nel 2020, solo per appartenere a determinate categorie, che per altro non sono poi così diverse, viene considerato di serie b. Per noi un essere umano è prima di tutto tale, o è per prima cosa altro, straniero, di fede diversa, di diversa inclinazione sessuale, diversa ideologia? Perché se per prima cosa è altro, il rischio di non considerarlo essere umano, allora esiste. E se non è umano può essere discriminato, segregato, imprigionato senza processo... Ucciso?

Quante domande ci facciamo ora? Quanto siamo disposti a essere scudo all'odio?
Perché, ammettiamolo, l'indifferenza è tanto più facile. E genera campi di sterminio.

17 commenti:

  1. Sono davvero d'accordo col concetto che hai espresso molto bene circa ricordare tutte le vittime che allontanerebbe il focus sull'olocausto.
    Grande previlegio ascoltare la Segre, hai scritto un post davvero condivisibile e sentito. Grazie

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  2. Concordo con tutto quello che scrivi, con un piccolissimo appunto riguardo alle vittime di altri genocidi. Il 27 gennaio è la legittima commemorazione della Shoah, pertanto del genocidio degli ebrei in particolare e delle vittime del nazifascismo tutte in generale, ma mi sono ritrovata, per avvicinarmi ancora di più e ancora meglio ai ragazzi per i quali è stata fatta la commemorazione, a citare anche altri genocidi, senza ovviamente confondere il 27 gennaio con altro. Gli alunni hanno bisogno di focalizzare un problema oggi disgraziatamente più generale, non più tanto lontano e tanto incomprensibile. La stessa Segue ha citato il mare che si chiude sui poveri africani in fuga, paragonando questa alla sua personale tragedia. Insomma, il discorso si focalizza sulla Shoah, ma non è del tutto fuori luogo ampliare, anche solo accennando, ad altre mattanze.

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    1. Hai ragione. Ho avuto molte remore a scrivere questo post, per paura di sbagliare i termini e le parole. In effetti forse l'ho fatto. Il confronto che mi ha irritato non è con l'oggi, ma con genocidi talmente lontani e diversi da rendere alla fine tutti i morti uguali e ugualmente distanti. Il ragionare sul nazifascismo serve proprio all'oggi, a toglierci la certezza che no, noi sicuramente saremmo stati "giusti tra le nazioni". Davvero? Lo siamo, dei giusti, oggi? Oppure cediamo alla più comoda indifferenza? Mi spiace che questo non sia emerso, magari cerco di modificarlo.
      Grazie per le tue osservazioni

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    2. Ho aggiunto alcune righe di conclusione, spero che chiariscano il mio pensiero. Grazie davvero per le tue parole.

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    3. Mi piace il tuo ampliamento. Grazie a te.
      Ora vado a leggermi anche il post sull'altro tuo blog che ho visto ultimamente di sfuggita.

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  3. Un post davvero molto bello e... decisamente duro che parla alla nostra coscienza, la coscienza di un popolo che ha fatto dell'autoassoluzione una pratica consolidata, e non solo per il fatto che la signora Segre quando tornò in Italia dai campi di sterminio la ritrovo traboccante di antifascisti, ma anche per il fatto che dopo la fine della guerra molti italiani pensavano di dover sedere al tavolo delle potenze vincitrici in quanto avevamo combattuto nell'ultima parte del conflitto come loro co-belligeranti (non alleati).
    Personalmente io credo che quando si deve sopravvivere in una situazione tragica e drammatica come quella in cui i nostri nonni si sono trovati a vivere, l'indifferenza e tutto quel che ne consegue siano ahinoi molto comuni, la paura e l'incertezza portano a non fare domande sugli altri a non preoccuarsi di chi non si conosce o si conosce appena. Capire questo non significa giustificare questo atteggiamento significa prendere coscienza del fatto che siamo fragili e fallibili e no non sempre delle belle persone, la scelta di cedere o meno all'odio ed all'indifferenza determina ciò che siamo e per cui un giorno potremo essere chiamanti a rispondere se non altro di fronte alla nostra coscienza.

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    1. Ti ringrazio per il tuo bel commento e anche per aver contestualizzato il contesto storico in cui i nostri nonni si muovevano. Io personalmente penso, anche in base alle testimonianze raccolte, che l'arrivo della guerra abbia tirato fuori in tutto le risorse nascoste, in meglio o in peggio. Quasi tutti hanno però raccontato che "prima" non si erano resi conto, non si aspettavano davvero la guerra, davvero così brutta, davvero le deportazioni. Ecco, forse, è "prima" che dobbiamo stare attenti.

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    2. Sono io che ti ringrazio per questo post Tenar, ci fossero nei vari talk show delle analisi storiche come la tua, forse quelli che cercano di "confondere le acque" mettendo nel calderone della discussione: Shoah, i sanniti ecc., non avrebbero vita facile!

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  4. Concordo con tutto quello che hai scritto. Mischiare genocidi e accadimenti così diversi rischia di togliere forza, di annacquare l'argomento, purtroppo. L'indifferenza è la causa principale, specialmente dell'Olocausto, ma aggiungerei anche il comodo pregiudizio che fa etichettare intere categorie come indesiderate. A livello temporale, comunque, è tutto accaduto "ieri" e la cosa mette i brividi.

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    1. È davvero accaduto ieri. E Qui. E questa è una vicinanza che non possiamo ignorare.

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  5. Post molto bello, e molto bello anche il commento di Mr. Mist. Purtroppo l'argomento è attuale, come si vede dai lamentosi commenti che si alzano per spiegare che la Giornata della Memoria è discriminante - che è poi soltanto una scusa, perché non mi risulta una legge che stabilisce che se commemori le vittime del nazismo hai esaurito il bonus del'indinniazione per tutto il mese, e niente ti vieta di criticare l'Olocausto e andartene subito dopo a qualche marcia per riabilitare i Catari, o anche i Sanniti.

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    1. Nessuna vittima è più vittima delle altre. Ma è diverso il grado di coinvolgimento, di attualità e di ombre sul presente.
      (Poi certo, poveri Sanniti...)

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  7. Hai scritto un post molto bello e non posso che pensarla come te, il 27 gennaio serve per non dimenticare un eccidio specifico, quello nazifascista. Gli italiani sono stati complici. È stata proprio l'indifferenza, il voltarsi dall'altra parte fingendo di non vedere quello che accadeva: bambini allontanati dalla scuola, adulti che non potevano più lavorare, emarginati e poi imprigionati e portati ai treni verso un destino di morte.

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    1. Esatto, ci riguarda un po' più da vicino di altre tragedie del passato, senza nulla togliere a quelle sofferenze. Però è con questa storia che noi dobbiamo fare i conti.

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