martedì 22 febbraio 2022

Crescere nella pandemia


 Ci sono piccoli fatti di per se insignificanti che però fungono da campanelli d'allarme.

Nelle ultime settimane a scuola sto raccogliendo strani indizi che suscitano domande che sto condividendo con amici e colleghi alla ricerca di una chiave di letture. 

Le cose sono andate all'incirca così. Dopo il solito ciclo di lezioni mi appresto a correggere le verifiche di geografia. Ora geografia è di solito una materia "amica". Piace, permette di immaginare viaggi, esperienze, si presta a mille approfondimenti e collegamenti interdisciplinari. Non è una materia che in generale metta ansia, né io voglio che lo sia. Deve essere una di quelle materie in cui più o meno tutti, se ne hanno la volontà, possano cavarsela, dove sono più propensa ad aggiungere piuttosto che a togliere. Insomma, per andare male bisogna proprio impegnarsi. E poi le classi di questi anni sono le migliori che si potessero sognare di questi tempi. Neppure so più come si fa a mettere una nota disciplinare. Quindi nell'assoluta non volontà di infierire ho confezionato una verifica sulla Germania che prevedesse una lettura di cartina (con possibilità di consultare quella del libro) e delle domande sul passato della Germania, studiato attraverso video, film, giochi di immedesimazione. Una di quelle verifiche in cui ci sia aspetta di distribuire otto a pioggia. Ed ecco quindi la mia costernazione nello scoprire che Berlino si trova nella Pianura Padana, Vienna sta in Germania, il muro di Berlino era alto 550 m o anche 155 km. La cosa più strabiliante era che le risposte erano del tutto indipendenti dallo studio. La cartina era data e ben leggibile. Il discorso sul muro di Berlino poteva essere sostanzialmente corretto fino alle dimensioni dello stesso.

L'esperienza mi ha insegnato che alcune risposte deliranti hanno origine dal fraintendimento di qualcosa di effettivamente detto o fatto in classe, ma qui si andava troppo nel mondo parallelo perché l'origine fosse quella. Qualche giorno dopo mi trovo a parlare della dominazione austriaca su Milano. Tra dove insegno e Milano ci sono circa 40 minuti d'auto. Ho pertanto la malaugurata idea di chiedere a che punto della strada si scavalli dal Piemonte alla Lombardia, per far capire come da noi si fosse in un altro stato. Al piovere delle risposte inizio a segnare alla lavagna i paesi che secondo loro si incontrano tra il Lago d'Orta e Milano. C'è chi ci fa fare il gran tour del Piemonte e chi punta diretto verso la Svizzera. Salta fuori che la maggior parte di loro a Milano non c'è mai stata. Oppure ci sono stati da bambini, nel mitico e lontano mondo pre pandemia.

Ormai viviamo da due anni nella bolla pandemica. Due anni di viaggi mancati, di prossimità, affetti stretti, tamponi e mascherine. Due anni di DaD a singhiozzo. Per me sono due anni tra i 40 e i 42, ma per loro sono due anni tra i 10 e il 12, tra l'infanzia e l'adolescenza. Due anni in cui il virtuale ha sopravanzato il reale, cui Milano è lontanissima, può stare accanto a Berlino, tanto sono entrambe irraggiungibili. Due anni di esperienze mancate. Ieri un'alunna commentava un libro letto ambientato a Londra. Si stupiva di leggere di suoi coetanei (quasi 13 anni) che andavano da soli in metropolitana o salivano sulla ruota panoramica. Lei la città non ricorda di averla mai vista e la sola idea le fa paura, il luna park è un'esperienza lontanissima, dell'infanzia e di un mondo forse ormai finito. Fino a qualche anno fa gli alunni di seconda media spasimavano per visitare Londra o Parigi, ora è un sogno irraggiungibile. Non solo, queste città generano più paura che desiderio.

Li osserviamo giocare all'intervallo nel grande cortile che per fortuna abbiamo, ben diviso in modo che ogni bolla/classe abbia il suo spazio, e vediamo come giochino come farebbero bambini di 8/9 anni. Fanno tenerezza, giocano a sparviero o a prendersi. Si organizzano, raramente litigano, anche perché i loro rapporti sono strettissimi all'interno della bolla, se si vedono fuori da scuola spesso lo fanno solo tra compagni di classe o addirittura tra quelli seduti più vicini, per limitare i contatti. Poi c'è il contraltare d'ansia. La psicologa scolastica ha l'agenda piena. Abbiamo una percentuale non trascurabile di ragazzi che che faticano a uscire di casa per venire a scuola, incapaci di affrontare il mondo. Siamo una scuola piccola e quindi cerchiamo di non perderli, di andarceli a cercare, di recuperarli, ma stiamo parlando di un ragazzo ogni 20/25 studenti, una percentuale mai vista.

L'unica osservazione che riesco a fare ora è che non si cresce chiusi nella propria camera. Si può apprendere, ci si può istruire, ma non si cresce. Quello che manca a questi ragazzi è il contatto con l'esterno, il confronto tra il personale e il generale. Quel minimo si esperienza empirica che ti ha scattare un campanello d'allarme se stai scrivendo che un muro è alto mezzo chilometro o che Berlino sta verso Pavia. I miei alunni hanno 12/13 anni. Sono abbastanza ottimista sul fatto che ne usciranno. Sono resilienti. Hanno attraversato dolori, quasi tutti la pandemia l'hanno vista da vicino, a molti ha portato lutti. Non sono bimbi viziati. Sono educati e volenterosi. Quello che manca è solo il contatto col mondo esterno. Due anni, però, credo sia il limite massimo che si possa sopportare, specie a quest'età. Perché questa condizione è pericolosa a più livelli. L'adolescenza è l'età della scoperta, del sé, degli altri, del mondo oltre e a volte in opposizione alla famiglia. Non la si può affrontare con il timore per tutto ciò che è esterno. Metà dei ragazzi ha sintomi da ansia da controllo, li abbiamo anche noi adulti, ma dovremmo avere gli strumenti per affrontare la cosa, cosa che non si può pretendere a 12 o 13 anni. Ma mi spaventa ancor di più la difficoltà nel riconoscere il plausibile generata dalla mancanza di esperienze concrete. I miei alunni, poi, sono ragazzi di campagna. Vanno per boschi, si muovono in bicicletta, hanno discrete abilità pratiche. Ma nella loro inesperienza è facilissimo convincerli di qualsiasi cosa. Oggi di un posizionamento improbabile di una città, domani di chissà cosa. Google è l'unico detentore delle verità su un mondo esterno che forse non esiste e che comunque non li riguarda. Perché, ed è la cosa più triste, faticano non solo a immaginare una vita diversa, ma anche a sognarla o a desiderarla. Che l'idea di visitare Londra metta paura forse è peggio di pensare che Berlino stia verso Pavia.

Per chi volesse una storia (solo un po') meno angosciante, ecco un nuovo capitolo de L'assedio degli angeli.

16 commenti:

  1. Ciao Tenar una riflessione estemporanea e frettolosa quindi mi scuso se potrà sembrare superficiale. Purtroppo il fenomeno degli Hikikomori, ossia ragazzi che si isolano dal mondo e dagli altri non uscendo più dalla loro stanza, era un problema presente già prima della pandemia in Giappone, da cui il termine che difinisce il fenomeno e iniziava a fare capolino anche negli altri paesi. Oggi tutto è più spinto e accellerato verso quella direzione, siamo stati chiusi in casa per forza, ci hanno inculcato la paura del contatto col prossimo, la televisione narra storie di violenza urbana anche minorile per cui se esci di casa la sera rischi di venire rapinato, picchiato o molestato; tutto questo alla fine in chi è in un'età fragile come quella adolescenziale lascia il segno. Nella mia esperienza personale un grande aiuto per la mia crescita personale e la costruzione della fiducia nella mia capacità di essere autonomo anche in "trasferta" lo ha fatto la scuola, attraverso le gite scolastiche verso le grandi città, vivendo esperienze nuove in comune coi miei coetanei e con il maestro / professore come supporto esterno. Credo che attraverso queste esperienze i ragazzi ne potranno venire fuori, altrimenti l'idea di vedere il mondo da Google al sicuro nella propria camera diverrà, temo, sempre più accattivante.
    Un saluto e grazie.

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    1. Infatti, abbiamo pensato che tutte quelle esperienze "collaterali" alla scuola come le gite, le uscite, lo sport fossero superflue, da eliminare senza neanche pensarci troppo su. Invece sono essenziali per la crescita tanto quanto le lezioni, ma, al contrario di queste ultime, non funzionano via web

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  2. Grazie per aver raccontato questo episodio. È un tema delicato, su cui penso che dovremmo riflettere con una certa urgenza.
    Il mese scorso sono stata all'università di Macerata per tenere un corso di narrazione. Io arrivavo da Trento, la mia collega da Roma, quindi il viaggio e l'incastro degli orari (e degli impegni familiari) ha richiesto una notevole organizzazione. Figurati lo sconcerto quando ci siamo trovate davanti una platea di sedie vuote e un pc...
    Le prof che dirigevano il master, mortificate, ci hanno confessato che non sanno più come fare per convincere gli studenti a presentarsi a lezione. Partecipano tutti via computer, anche quelli che abitano in città. Attenti, interessati, studiosi, volonterosi. Ma fisicamente assenti. Alcuni di loro, dopo due anni di pandemia, non hanno proprio mai visto la facoltà.
    Nel mio piccolo, sono felice che le maestre di mio figlio quattrenne siamo riuscite a portare la classe a teatro per una lettura di fiabe: meno di cinque minuti a piedi dalla scuola, ma è stata una grandiosa avventura. Per un bambino sospettoso e chiuso al nuovo come lui, è stata un'esperienza insostituibile.
    Come dici tu, è faccenda complessa che riguarda la crescita, in varie fasce d'età.
    Grazie ancora per questi spunti di riflessione, sempre acuti e interessanti

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    1. Questo è molto, molto preoccupante. Quasi una rinuncia a vivere. Speriamo in bene (oggi, per ovvi motivi di politica internazionale, è particolarmente difficile farlo).

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  3. Sono classi "diverse" dalle altre che abbiamo avuto, "strane", di una stranezza difficile da definire. Nella mia zona la pandemia è stata più che altro qualcosa da seguire alla televisione, ma il problema del contatto col mondo esterno senza dubbio c'è. Gli hikikomori citati da Mr. Mist sono SINGOLI INDIVIDUI che non riescono ad affrontare la vita collettiva, parlare di una comunità di hikikomori è come parlare di tigri vegetariane, una contraddizione in termini, qualcosa che non esiste. Ecco, da questo qualcosa che non esiste siamo circondati. e noi stessi ne facciamo parte.
    E grazie, mi hai dato parecchio per pensarci su.

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    1. Ecco, sì, strane di una stranezza difficile da definire. Le mie sono umanamente deliziose, al punto tale che subito agli occhi che ciò che manca non è (solo) la classica voglia di studiare.

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    2. Scusa Murasaki, una precisazione: nel mio commento io non ho parlato di "comunità" di hikikomori ma di "fenomeno", né ho sottinteso che gli adolescenti oggi giorno sono tutti potenziali hikikomori, ho solo parlato di un insieme di fattori che, a mio modesto avviso, possono portare in quella direzione più facilmente ed in modo più rapido rispetto alla situazione sociale pre pandemica. Grazie!

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    3. Ma certo, il tuo commento andava benissimo e anzi mi ha spinto in una direzione che non avevo mai osservato. Di comunità di hikikomori ho parlato io, dicendo che era un assurdo per definizione. Purtroppo però, per quanto assurdo, è un fenomeno che in qualche modo aleggia intorno a noi, dietro un apparenza di normalità. A scuola, intendo.

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  4. Questo tuo post mi ha fatto riflettere sulle tante modalità di percepire la pandemia, ieri pomeriggio sono passata dal centro di Bologna dopo il lavoro e sono rimasta stupita dalla quantità di gente che era in giro, erano soprattutto studenti universitari, incuranti di assembramenti o altro...Per i più giovani probabilmente l’impatto é diverso, in periodi normali l’adolescente di 10-11 anni comincia a scoprire il mondo e i primi rapporti con le persone e i coetanei, con la pandemia hanno vissuto in una bolla e questo non li ha agevolati. Tuttavia piazzare Berlino nella pianura padana mi sembra eccessivo, quando andavo alle medie non ero mai uscita dalla mia provincia, ma sapevo bene sulla cartina d’Italia dove si trovassero Roma e Milano, più o meno tutte i capoluoghi delle regioni italiane , penso che le risposte deliranti derivino dalla “situazione di distacco dal mondo reale” che ha creato la pandemia, sicuramente è necessario concentrare l’attenzione su questi ragazzi per aiutarli a ricollegarsi alla realtà. Sarebbe utilissima una bella gita scolastica, anche nella stessa Lombardia, il modo migliore per imparare la geografia, chissà se sarà possibile questo anno?

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    1. Guarda, farli uscire da scuola è un delirio burocratico. Io insegno in un paese minuscolo. A duecento metri dalla scuola c'è un museo che tradizionalmente visitano sempre in seconda media. Oggi devono andare. Solo quelli che hanno il green pass rafforzato. Gli altri restano in classe a leggere il sito del museo. E se uno arriva al museo e si scopre che il green pass l'ha dimenticato/è scaduto ieri? Morale, per mobilitare 15 alunni servono 3 insegnanti. Uno in classe, uno che entra al museo e uno pronto a rientrare con chi avesse dimenticato il documento. Prendere un qualsiasi mezzo che non sia lo scuolabus è al momento fuori discussione.

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  5. Questo sfasamento relativo alle coordinate geografiche è davvero il sintomo di qualcosa di preoccupante per questi ragazzi. La pandemia ha accresciuto le paure, ha spinto sempre di più a rimanere in casa.
    Mi viene in mente che questa confusione possa dipendere da un continuo attingere le informazioni dal web, in questo caso "andando a memoria", ma evidentemente sbagliando...

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    1. Manca il contatto più semplice con la realtà. Per loro Milano è terra incognita, non ci sono mai stati. E siamo a 40 minuti d'auto. Berlino può stare su Marte per quel che ne sanno.

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  6. Quello che hai scritto mi ha rattristato e la preoccupazione è grande. Purtroppo stiamo vivendo tempi difficili e spesso penso a quanto io sia stato fortunato nel poter vivere, tra l'infanzia e l'adolescenza, un periodo d'oro.
    Spero che il tempo dia ai giovanissimi la possibilità di rifarsi e di ricordare questo periodo della loro vita come si ricorda un sogno al mattino.
    Un saluto.

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  7. Di solito mi tranquillizzo pensando che siamo tutti figli del nostro tempo e del luogo in cui viviamo, che anche le nuove generazioni riusciranno comunque a ritagliarsi un loro percorso, e certo ci riusciranno. Però. Però.

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