lunedì 10 marzo 2014

Scrittevolezze - Questioni di etica


Ieri si è svolte il secondo dei tre incontri sulla scrittura che sto tenendo presso Ecomuseo Cusius.
Per me si tratta di un'occasione profondamente formativa. Ho studiato tecniche di narrazione, scrivo e scribacchio da un po' e qua e là ho già fatto degli incontri, ma per lo più rivolti a studenti o a gruppi davvero ristretti. Avere a che fare con dei professionisti della scrittura più professionisti di me (giornalisti) e in generale con un gruppo di persone molto portate al ragionamento mi ha obbligato a dare maggiore profondità al mio sguardo. 
A un certo punto, ieri si è parlato di etica della scrittura.
Ci sono, in effetti, a volte, dei problemi che non sono per niente tecnici/narrativi, ma, non mi viene in mente proprio nessun'altra parola, etici.
A voi non è mai capitato?
La questione si è posta da sola. Si è detto che non c'è mai sovrapposizione perfetta tra autore e personaggio, neppure nella memorialistica e che quindi che la narrativa può essere una fonte storica, ma mai l'unica. La narrativa lavora sull'emotività, non sui fatti. E da qui è sorta spontanea una domanda:

Quando scriviamo facendo riferimento alla realtà (eventi storici, ambientazioni, personaggi reali) fino a che punto è lecito modificare la realtà a favore della storia?
In effetti questo è un problema su cui inciampo spesso. O scrivo fantasy o scrivo storie ambientate in luoghi riconoscibili. Spesso e volentieri ambiento la storia nel passato.
Quando scrivo con ambientazione storica cerco il più possibile di non alterare i fatti noti, ma a volte non è possibile o ci sono diverse interpretazioni (anche molto diverse) ed è necessario scegliere l'una o l'altra. Fino a che punto lo scrittore deve essere uno storico? Deve scegliere sempre l'opzione che sembra più probabile o quella che meglio si adatta alla storia che sta scrivendo?
Io mi sono impegolata in un thriller ambientato nell'antica Roma (che davo per spacciato da un punto di vista editoriale, ma forse non lo è) e avevo problemi ad ogni pagina. A un certo punto ho scelto per ogni macro argomento dei testi di riferimento e ho deciso di fidarmi dei loro autori. Uno di questi è stato preferito a un altro per facilità di consultazione, non proprio il massimo dell'onestà intellettuale.

Non sono solo questi, i problemi etici.

Quanto dobbiamo lasciarci influenzare dal "politicamente corretto"?
Forse La roccia nel cuore è in effetti la cosa migliore che abbia scritto. Tra i miei romanzi è di certo anche il più politicamente corretto. È stato un caso che abbia trovato più facilmente casa? Anche l'apocrifo sherlockiano non pone problemi da questo punto di vista e infatti ha trovato casa. Il famoso thriller storico politicamente corretto non lo è per niente, non è questo il suo unico problema, ma certo non gli facilita la vita... 

C'è essere anche il problema opposto.

Quanto è lecito guardare l'abisso?
Quante volte opere letterarie o film/telefilm/canzoni sono state accusate di aver influenzato negativamente il pubblico. Il male che vi veniva descritto diventava affascinante al punto tale da suscitare un desiderio di emulazione. L'autore ne aveva davvero colpa?
Personalmente penso di no, ma come autrice, di fronte a scene di particolare crudezza a volte ho la tentazione di distogliere lo sguardo e di fronte alla prospettiva di inserire elementi particolarmente disturbanti mi chiedo mille volte se essi siano davvero necessari alla storia.

Mettere o no scene di sesso o violenza solo per tenere desta l'attenzione del lettore?
Ecco, questo problema mi tocca meno. È davvero, davvero raro che io inserisca scene "splatter" o scene di sesso (praticamente è successo solo nel famoso thriller storico) e se lo faccio è solo perché è narrativamente indispensabile. Tuttavia, lo sappiamo tutti, adesso vanno di moda le 50 sfumature di gente variamente svestita e in tanti libri/film/telefilm c'è quello che mio marito definisce finemente "il momento tette" che non ha altro scopo che risvegliare il lettore/spettatore ormai distratto.

Voi vi siete mai trovati di fronte a questi problemi? Ve ne vengono in mente altri?

14 commenti:

  1. Direi che sulla prima questione ci ha sbattuto il naso (e si è fatto male) il buon Manzoni...

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  2. Il politicamente corretto io non lo considererei un problema etico, secondo me anzi volersi adeguare a ciò che viene considerato politicamente corretto pone troppi vincoli per uno scrittore e ci sono ottime storie che sono proprio il contrario di questo (se ho ben capito cosa intendi). Lo stesso vale per il guardare l'abisso.
    La correttezza storica invece la giudico fondamentale.
    In merito all'ultimo dubbio, certi espedienti sono proprio non-etici e pessimi secondo me!

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    1. Di base sono d'accordo con te, Anima, poi però la pratica è più complicata, sopratutto quando si trattano temi sensibili. Chi metterebbe in scena a cuore leggero, faccio un esempio, un ebreo sadico nell'Italia del 1939? Potrebbe essere il personaggio più plausibile del mondo, ma andrebbe di certo ad urtare delle sensibilità. Non so che scelta potrei fare, ma di certo mi porrei il problema prima di iniziare a scrivere.
      Poi io non sono certo così brava da affascinare con le mie descrizioni di situazioni morbose, per cui il rischio non si pone, ma se, poniamo, una ragazzina (o un ragazzino) dovesse suicidarsi proprio come il personaggio di un mio romanzo, come mi sentirei?
      L'ultimo quesito non lo sento un problema mio, però mi immagino con facilità un editor suggerire a un autore di aggiungere più sesso qua e là per attirare il lettore.

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    2. Sì, capisco cosa vuoi dire. Il problema è parecchio complesso e non si può generalizzare...

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  3. Diciamo che me lo sono posto all'inizio, anche del blog, e ho risolto sempre e solo con "sticazzi" :p
    Nel senso che non sono assolutamente politicamente corretto (è una cosa che odio, ma non significa che sono per forza scorretto, anzi! Ho scritto cose molto normali e forse delicate, per dirti...); sesso e violenza se servono li metto, anche come fanservice (senza esagerare, ma nell'economia della storia può starci)... per quanto riguarda l'abisso, sul mio blog un mesetto fa è successo il finimondo per questa faccenda... che riprenderò altrove, a breve XD

    Moz-

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    1. Guarda, in questo momento sto guardo con un occhio "La promessa dell'assassino", con un occhio perché lo conosco a memoria, e questo la dice lunga su quanto mi disturbi di per sé la violenza (ben) mostrata. Non penso ci siano risposte univoche, ma porsi delle domande credo non sia mai un male

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    2. Non è un male, ma io la risposta la ho: per me, chi è inventore di storie e personaggi e situazioni non deve assolutamente sentirsi responsabile delle possibili letture sbagliate di tali sue cose.

      Moz-

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    3. Anche questa, in fondo, è una posizione etica.

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  4. Scrivo nel presente e credo di essere fin troppo corretta. Di solito inizio una storia nel tempo in cui sono, es se iniziassi a scriverla oggi sarebbe ambientata a marzo 2014, poi è capitato che il romanzo andasse più veloce del tempo reale, è estate scrivo una scena in cui è molto caldo, poi quando agosto arriva sul serio fa un freddo assurdo, e mi crolla un pezzo. Decido di inserire una spiegazione che la editor elimina perchè va bene essere realisti ma un margine c'è. Questa per me è stata una grande lezione. Sulla morale invece, in un altro romanzo ho portato avanti una teoria un po' scorretta (le donne sudamericane che accalappiano gli italiani per farsi sposare) e ho fatto fatica ma era la voce della protagonista, non la mia! Grazie, questo post mi ha fatto riflettere molto. Sandra

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    1. Un altro problema consiste nel dover dar voce a personaggi che non la pensando come noi, specie se sono personaggi importanti e percepiti in modo positivo dal lettore.

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  5. Questo è proprio un bel post perché affronta il tema della poetica dello scrittore. Già il fatto che uno si ponga tutti questi interrogativi vuol dire che l'autore scrive in base a dei "canoni" interiori, e ad essi è fedele. Mi sento di dire che io credo esistano il bene e il male, e che quindi lo scrittore non sia completamente padrone di quello che scrive: nel senso che i concetti di bene e di male non iniziano e finiscono nella sua testa. Esistono in sé. Ovviamente è un mio pensiero. Quindi l'autore ha una responsabilità intrinseca verso le pagine che scrive. Si possono anche mostrare sentimenti, atteggiamenti, azioni negative/ossessive/diaboliche/violente/ ecc. perché la storia lo richiede, ma io non le concepisco fini a se stesse, tipo l'arte per l'arte.

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    1. L'arte per l'arte convince poco anche me, la scrittura è comunicazione e qualcosa, penso, dovrà pur comunicare.
      Credo che tutto, nella scrittura, sia un equilibrio difficile. Lo scrittore non deve dare la morale della propria storia, ma al massimo scrivere una storia morale. Deve descrivere personaggi e situazioni disturbanti, se servono, ma forse (forse?) è un problema se diventano esse stesse la cosa che più attrae il lettore. Non ho risposte, il mio post non aveva altro scopo che condividere degli interrogativi...

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