venerdì 27 febbraio 2015

Gli inaspettati esiti della lettura e della scrittura – Scrittevolezze


Leggere è una delle attività più pericolose che si possano fare in situazioni di apparente sicurezza.
Ogni volta che apriamo un libro ci troviamo in un mondo altro, in balia di eventi incontrollabili e sopratutto soli. Quando leggiamo abbiamo l'illusione di essere circondati da personaggi, di essere nella testa di uno o più personaggi, ma in realtà siamo soli. E il mondo altro in cui avvengono eventi incontrollabili altro non è che il nostro mondo interiore.
Il rischio concreto che accettiamo, ogni qual volta apriamo un libro è quello di entrare in contatto con aspetti nascosti del nostro io e quindi di emergere dalle pagine irrimediabilmente cambiati. Un cambiamento non meditato, non previsto, dagli esiti incontrollabili.


Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e senza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il diasiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.

Paolo e Francesca leggevano "per diletto" e "senza alcun sospetto". Non erano consapevoli di essere innamorati. Lo erano già, naturalmente, ma non lo sapevano. Senza quella lettura avrebbero potuto continuare, magari per anni a ignorare una verità su loro stessi. Magari vi sarebbero arrivati lo stesso, ma più avanti, magari più preparati. Si mettono, però, a leggere. Una cosa interessante da notare è che non leggono alta letteratura, leggono "di Lancialotto e di come amor lo strinse", vale a dire l'equivalente  dell'epoca dell'Harmony. 
Non ci sono letture sicure, ogni libro, anche il più disimpegnato, non può che condurci all'interno di noi stessi, a fare i conti con il nostro io e, magari, con le verità che non vogliamo vedere. 
Paolo legge di Lancillotto, riconosce in se stesso gli stessi sentimenti che il cavaliere prova per Ginevra e trova il coraggio per baciare Francesca. 
Gli effetti, lo sappiamo, sono drammatici, il marito di Francesca li scopre e li uccide. Tutti e tre finiranno all'Inferno.
Per Dante il colpevole è uno e lo indica senza esitazione Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse. La colpa è del libro e della lettura, che ha costretto Paolo a fare i conti con sé stesso troppo presto. La lettura ha condannato tre anime alla dannazione eterna. Eppure Dante stesso, raccontando la storia di Paolo e Francesca ha certamente indotto altri lettori a riconoscersi in loro e, magari, a dichiarare il loro amore. Qualcuno ha sicuramente pensato, leggendo Dante, che è meglio la dannazione eterna che rinunciare a vivere un amore proibito.

Anche a me, nel mio piccolo, è capitato qualcosa del genere, sia pure al contrario. Anche a me con un libro del tutto disimpegnato, non scritto certo per cambiare vite. Era un romanzo di fantascienza e la protagonista era una donna che si era sposata molto giovane, arrivata ai trent'anni si accorgeva di non amare più il marito. Questi era un imbranato arrangione, ma, tutto sommato, sincero e sinceramente innamorato di lei. Un uomo scialbo, ma non cattivo. Era similissimo al mio fidanzato di allora. E io mi sono vista trentenne, infelice, sposata a un uomo sincero, ma che non era fatto per me.
Paolo e Francesco sono stati dannati dalla loro lettura, io probabilmente sono stata salvata. Di certo la mia vita è cambiata. Senza quella lettura forse non mi sarei accorta in tempo della mia nascente infelicità.

Se è tanto pericoloso inoltrarsi in un libro da lettori, per l'autore è tutto ancora più complicato.
Da autori, dobbiamo renderci conto che chiediamo una cosa non banale. Chiediamo al lettore di darci la sua completa attenzione per partire per un viaggio pericoloso che potrebbe cambiargli la vita. La possibilità di tale cambiamento è insita nella natura stessa dell'esperienza della lettura. Come abbiamo visto non ci sono "libri sicuri" tutti i libri sono pericolosi.
Come autori dobbiamo rispetto al lettore che si fida di noi a tal punto da intraprendere questo viaggio interiore cullato dalle nostre parole.
Dobbiamo essere consapevoli di altre cose ancora.
Il viaggio di ogni lettore è unico. In un libro può trovare solo se stesso. Lettori diversi interpreteranno uno stesso brano in modo anche opposto a seconda del loro vissuto e della propria sensibilità. Per questo non ha senso che l'autore se la prenda se il lettore "non ha capito" il suo testo. Un testo esiste perché un lettore ci si possa perdere e possa trovare una parte di sé. Secondo me (ma questa è un'opinione puramente mia) la parte interpretativa non spetta all'autore.
Per certi verso l'autore è come un'agenzia di viaggio. Prepara le tappe, i pernottamenti, prepara anche alcune esperienze come "visite guidate". Può mettere delle avvertenze "rischio emozioni forti" invece che "rischio piogge nella stagione dei monsoni", ma non può prevedere fino in fondo quello che un lettore troverà in un testo.

E se è così imprevista e pericolosa l'esperienza del lettore è ancora più imprevedibile l'esperienza emotiva dell'autore.
Se il lettore potrà scegliere in quale personaggio riconoscersi di più, l'autore dovrà trovare tutti i personaggi e tutte le situazioni dentro se stesso. Ci sono gialli che, da lettrice, non trovo spaventosi, perché l'autore ci tiene lontano dalla testa dell'assassino. Ma lo scrittore, inevitabilmente, nella testa dell'assassino ci è entrato. Ha progettato il perché e il come. Ha visto il mondo dai suoi occhi. In altre parole, ha trovato l'assassino dentro di sé. 
Inevitabilmente l'autore si muoverà attraverso angoli nascosti e pericolosi del proprio animo, esplorando una gamma di emozioni e sensazioni che magari neppure sapeva di avere dentro di sé. Non sono mai stata in analisi, ma non posso non pensare che la scrittura sia una sorta di auto analisi, che ci fa venire a patti con il nostro inconscio senza quella rete di protezione data dalla presenza di un psicologo o di uno psichiatra specializzato. Scrivendo andiamo ad aprire le botole dell'inconscio senza sapere cosa vi potremmo trovare.

C'è una sola attività più pericolosa della lettura che si può praticare in apparente totale sicurezza, la scrittura.

L'aspetto tecnico della scrittura, l'operazione che ci permette di filtrare il personale per renderlo universale e quindi comprensibile al lettore è, per certi versi ciò che ci salva. L'unico scudo che abbiamo per proteggerci, per addomesticare le nostre emozioni e riversarle su carta in modo che non feriscano troppo noi e che siano fruibili al lettore.

Domenica, alla prima lezione del corso di scrittura, cercherò di iniziare da qui, da Paolo e Francesca e dagli inaspettati esiti della lettura e della scrittura.
Ovviamente, voglio sapere cosa ne pensate e se vi è mai capitato che un libro vi abbia cambiato davvero la vita.



23 commenti:

  1. Adoro questo canto su Paolo e Francesca. Confermo e sottoscrivo ciò che hai scritto, ci sono diversi piani di lettura per cui ogni lettore trova il suo e per l'autore è bello confrontarsi con le varie voci. No, direi che cambiarmi la vita no, ma diversi grossi scossoni sì tanti, da La fattoria degli animali di Orwell a Le correzioni di Franzen. Un bacio e buon corso, Sandra

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    1. Come si fa a non amare il Canto V?
      Devo dire che non me ne capacito, quando mi dicono "a me la Divina Commedia fa tutta schifo", però, evidentemente, ogni lettore fa il suo viaggio e per qualcuno quello nell'inferno dantesco non è così illuminante...

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  2. Bello questo post, mi è piaciuto moltissimo.

    La parte che vorrei sottolineare è proprio il fatto che ogni lettore individua in una stessa scena significati diversi, o coglie qualcosa che l'autore non aveva neppure in mente nel momento della stesura. Per questo leggere è nutrimento in quanto generatore di altri significati, e per me è qualcosa che si avvicina molto alla magia.

    Nello stesso tempo, come ben dici, è un'attività "pericolosa". Forse anche per questo che i totalitarismi odiano l'educazione, la lettura e tutte le attività connesse con l'uso intelligente della mente?

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    1. Sì, leggere è pericolosissimo perché obbliga a fare i conti con se stessi e con il mondo che ci circonda, ci mette in contatto con altri modi di vivere e di concepire la realtà. Per questo chi vuole controllare la popolazione cerca sempre di bruciare i libri, in modo più o meno letterale.

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    2. Di recente ho letto una serie di manuali sull'arte del racconto, ognuno dedicato a un genere. Ce n'era uno su Edgar Allan Poe, dove l'autore di questi manuali, Guido Conti, sosteneva che Poe aveva scritto come nessuno aveva osato fare prima di lui. Pensa che Stevenson aveva detto che i racconti di Poe erano abominevoli. E che per tirar fuori e scrivere dei propri demoni bisogna avere coraggio.

      Mi sono dimenticata di indicare un libro che mi ha cambiato la vita: "Il rosso e il nero" di Stendhal. Ma Virginia Woolf con il suo "Gita al faro" gli sta a ruota!

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  3. Questo articolo è veramente molto bello, bravissima! :)

    Un libro che mi ha cambiato la vita? A dire la verità, ce ne sono tanti.
    Se posso parlare di saggi spirituali, mi vengono in mente "Le cinque ferite e come guarirle" (forse ricorderai i due guest-post sul blog di Maria Teresa) e "Il perdono assoluto".
    Il primo mi ha aiutato a capire la natura di certe paure autodistruttive e il secondo, che sto rileggendo in questo periodo perché ha a che fare con "l'anima" del mio romanzo, mi ha aiutata a sciogliere il nodo legato all'assenza di mio padre, che ha condizionato negativamente il mio modo di relazionarmi con gli altri. Inoltre, mi ha aperto gli occhi sulle cose veramente importanti della vita.

    Se devo pensare ai romanzi, invece, mi viene in mente "Di noi tre" di Andrea De Carlo, perché dopo averlo letto ho deciso che era mio desiderio diventare scrittrice!

    Anche per me la scrittura è una forma di autoanalisi, almeno per quel che riguarda la prima stesura di ogni scena. Leggendola così com'è, comprendo molte cose. Anche i lapsus, a volte, sono degli indicatori importanti.
    Nella seconda stesura, invece, subentra la tecnica. :)

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    1. Sì, penso che la tecnica sia una sorta di scudo che serve anche all'autore per non essere travolto da ciò che emerge dai tombini del suo inconscio...
      Curiosamente non saprei identificare un libro che mi ha fatto dire "voglio scrivere anch'io", è un'idea che è nata piano dentro di me a cui per molto tempo non ho creduto... Almeno fino a che non mi sono trovata a fare i conti con le mie storie belle che scritte!

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    2. C'è un detto buddhista che recita "quando l'allievo è pronto, il maestro arriva". Evidentemente l'amore per la scrittura sonnecchiava già dentro di me, e quel libro l'ha solo risvegliato. :)

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  4. un post meraviglioso.
    scritto bene, e con un argomento meraviglioso, che mi prende e mi coinvolge moltissimo...

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  5. Bellissimo post! Condivido tutto ciò che hai detto, e in particolare il fatto che quella del lettore sia un'esperienza del tutto personale, in cui possiamo accompagnarlo solo fino a un certo punto. La "pericolosità" della lettura mi ha rimandata alla citazione che ho postato oggi, di Maria Popova. Alcuni libri mi hanno davvero cambiato la vita. E' il caso de "Il Signore degli Anelli" e della Saga della Folgoluce, ma anche di molti altri, in misura minore. Questo per quanto riguarda la narrativa, perché nel campo della saggistica esistono testi ancora più pericolosi.

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    1. Io penso che la narrativa sia per certi versi ancora più pericolosa della saggistica. La penso come la Le Guin. Con la saggistica conosci e capisci cose a livello intellettuale, con la narrativa attivi quella fantasia che porta alla comprensione empatica. Del resto posso spiegare il nazismo per ore ai miei alunni, ma basta un film o la lettura di "Se questo è un uomo" a far venire gli occhi lucidi a tutti e a far capire davvero cosa sia stato quel periodo.

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    2. E' vero anche questo. Forse l'azione della narrativa è meno appariscente, ma proprio per questo più pervasiva.

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  6. Bello questo articolo, perché è verissimo: una buona lettura può farti l'effetto che descrivi molto bene partendo dall'esempio di Paolo e Francesca. Devo dire che nessun libro mi ha mai cambiato veramente la vita, però mi ha fatto vedere e capire cose che magari sarebbero rimaste porte chiuse: "La foresta in fiore" di Yukio Mishima, ricordo, anni fa, mi ha influenzato e tutta la narrativa giapponese (che ancora adesso amo).
    In più, di questo tuo articolo mi piace la visione dello scrittore come "colui che trova tutti i personaggi in se stesso", aprendo "botole dell'inconscio" da cui riusciamo a trarre impensabili spunti, talvolta.
    Sarà per questo che amo tanto scrivere?

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    1. Magari ci dedico un post alle "botole dell'inconscio" che si aprono con la scrittura, magari con qualche nota di prudenza per farlo per quanto possibile in sicurezza.

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  7. "Ciò che emerge dai tombini dell'inconscio" rende meglio l'idea (le botole le devi aprire tu, i tombini possono "saltare" da soli...)
    Davvero un bel post, prendo in prestito ;-)

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    1. Scrivendo i tombini dell'inconscio li aprì tu, il fatto è che non sai cosa salta fuori...

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    2. mah, i tombini possono giocare dei brutti scherzi... Io avrei il sacro terrore di ciò che potrebbe uscire da sotto i miei tombini! Bisogna essere ben armati e corazzati.

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  8. Ciao Antonella, sono una collega che insegna al liceo linguistico di Novara. Ho fatto con la mia seconda un percorso di "gastroletteratura" dei laghi d'Orta e Maggiore e ho proposto la lettura di "Briscola" e "La roccia nel cuore". I tuoi testi sono stati molto apprezzati dalle allieve che li hanno letti, soprattutto è piaciuto molto l'insolito investigatore Padre Marco. Volevo farti i miei complimenti, sei un'autrice da lettura nei licei!!!
    Donatella

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    1. Innanzi tutto benvenuta, Donatella.
      Ti ringrazio davvero, sono felicissima di essere stata letta (e apprezzata).
      Un caro saluto a te e alle tue allieve.

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  9. Bellissimo post, molto sentito. Ricordo di aver provato una sensazione di apertura mentale e cambiamento interiore dopo aver letto "La profezia di Celestino", sono passati tanti anni e chissà se rileggerlo mi farebbe lo stesso effetto. A vent'anni ero molto attaccata ad alcuni autori sudamericani, forse perché i loro romanzi parlavano di problemi famigliari e drammi amorosi che mi facevano sentire capita. Ora vado matta per i giapponesi, che sono matti da legare :)

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    1. Ricordo di aver comprato "La profezia di Celestino" carica di aspettative. Troppe, evidentemente, perché ne rimasi un po' delusa.
      A riprova del fatto che ognuno mette dentro la lettura parte di sé e libri uguali generano in lettori diversi sentimenti diversi.

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    2. "La profezia di Celestino" aveva colpito molto anche me, quando lo lessi, ma ho ritentato qualche mese fa e l'ho abbandonato dopo una trentina di pagine. E' difficile ri-apprezzare testi che ti hanno fatto quell'effetto, perché nel frattempo sei cambiato.

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