martedì 22 marzo 2016

Come avannotti



Come si fa a parlare di scrittura oggi? Mentre le bombe esplodono, minando le nostre già scarse sicurezze, la scrittura sembra il più futile dei passatempi.
Eppure, tantissimo tempo fa, quand'ero al liceo, avevo un libro di poesie latine a cui era annesso un breve copione teatrale. Vi era un passaggio di battute che mi porto dietro da allora. Lo ricordo vagamente, a braccio e chissà dov'è finito quel libro, in quale soffitta di quale delle tre case che ho abitato da allora è finto...
Vi erano due personaggi, letterati di un tempo in cui il letterato poteva essere allo stesso tempo guerriero, politico o altro. Un giardino autunnale, uno dei due prossimo alla morte.
– Perché rimaniamo qui, a raccontarci storie?
– Perché possiamo fare solo questo: farci coraggio a vicenda.

A questo serve, tra le altre cose, la narrativa, a farci coraggio a vicenda. A creare un argine tra noi e le nostre paure, a farci sentire un po' meno soli. Disperati, forse, ma di una disperazione comune.

Quindi oggi, mentre le notizie sugli attentati si susseguono faccio l'unica cosa che posso fare. Racconto una storia. Il fatto che sia vera, ha, suppongo, un'importanza relativa.


C'era una volta un lago. Uno specchio d'acqua limpido e splendido come ce ne sono tanti. Aveva la limpidezza del vetro e la stessa fragilità.
In un tempo in cui "inquinamento" era una parola che quasi non era ancora stata inventata, gli uomini del lago accolsero le industrie quasi in festa. Perché non avrebbero più rischiato la vita nelle cave di granito, lavorando "da stella a stella", poetico modo per indicare da prima dell'alba a dopo il tramonto. E se qualche scarico finiva nel lago, ebbene, sembrava un giusto prezzo da pagare.
Così il lago in breve tempo non fu più limpido e splendido come ce ne sono tanti. Divenne limpido e splendido a modo suo, il lago acidificato più grande del mondo.
Il motivo per cui oggi vi racconto questa storia non è tanto, però, per il fatto che il lago fu inquinato e svuotato fino alla più piccola forma di vita.
Il motivo per cui oggi vi racconto questa storia è che la gente del lago decise a un certo punto di prendersene cura. 
Il paziente era clinicamente morto, niente più alghe, né pesci, né crostacei nel lago, le sue acque erano acide più o meno come l'aceto ed erano ormai decenni che la situazione era questa. Più che una bonifica si trattava di una resurrezione.
Fu sparsa nel lago una sostanza (carbonato di calcio) in grado di riportare l'acidità a un grado accettabile. Per mesi una barca dal nome d'angelo sparse speranza sulle acque.
Questo accadeva vent'anni fa. Quando il lago fu bonificato. Ma morto era e morto rimaneva.
Pian piano, una specie alla volta, l'uomo ha riportato la vita nel lago, una specie alla volta.
Sono tornate le alghe e i pesci di riva. 
Quest'estate i sub hanno trovato le vongole di lago.
E oggi, con l'aiuto dei ragazzi della scuola, sono stati liberati i pesci d'acqua libera, gli abitanti del centro e delle profondità del lago.


Minuscole creaturine, appena visibili dentro un bicchier d'acqua.

Oggi, ignari di quanto stava accadendo in Belgio, colleghi e alunni, con attenzione, adagiavano nell'acqua pesciolini appena nati, lunghi appena più di un'unghia.
Da lontano, un cane ci faceva la guardia, quasi a controllare che usassimo la giusta attenzione.


Molti di loro sono destinati a una vita assai breve. Saranno la gioia dei pesci più grandi e degli uccelli di lago. Su dieci che ne abbiamo liberati, forse nove moriranno. 
Ma il decimo diventerà un pesce grande e forte, in grado di esplorare gli oltre cento metri di profondità del lago.

E adesso che, tornata a casa, e ho sentito cosa stava accadendo mentre noi liberavamo gli avannotti, non posso che ripensare a quei piccoli pesci.

Perché le cose basta un attimo a guastarle. La distruzione, di qualsiasi tipo e di qualsiasi genere, è sempre repentina. Dopo, spesso, sembra che nulla si possa fare, se non accettare le regole di chi l'ha imposta.
E ci vuole tempo e impegno e perseveranza per ripartire.
Quando la barca dal nome d'angelo solcava le acqua del lago, molti scuotevano la testa, perplessi. Pochi avrebbero scommesso di poter avere, vent'anni dopo, un lago balneabile e quasi guarito.
E la ricostruzione, di un ambiente o di un animo, è fatta di tanti piccoli tentativi. Fragili, quasi effimeri. Per nove decimi destinati a fallire. Eppure tutti necessari.

Oggi dovete prendermi così, un po' retorica. Eppure sì, un po' ci credo. Non c'è altro modo per ripartire, per ricostruire, per non arrendersi, che tentare, tentare ancora. Anche solo con un pensiero o una storia, a non lasciarsi abbattere dalla paura di chi vuole solo distruggere. Ogni tentativo è come uno dei nostri avannotti. Destinato, nel 90% dei casi a fallire.
Di loro, adesso, a metà pomeriggio, la metà sarà già morta.
Ma quelli che sopravviveranno saranno sufficiente.

Questa storia, da sola, non serve a niente. Se non a farci coraggio a vicenda.
Ma io che credo nell'Europa, nell'occidente dell'illuminismo e della tolleranza non ho intenzione di arrendermi alla paura. E non importa se il 90% dei tentativi per non lasciarsi sopraffare da tutto questo andrà a vuoto.
Quello che resta sarà sufficiente.


13 commenti:

  1. Un pensiero che non posso che condividere al cento percento :) . Purtroppo, non credo che molti siano dello stesso avviso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Chissà, magari siamo di più di quanto si creda...

      Elimina
  2. "– Perché rimaniamo qui, a raccontarci storie?
    – Perché possiamo fare solo questo: farci coraggio a vicenda".

    Ecco, questa storia che hai raccontato un po' di coraggio me lo ha fatto.

    RispondiElimina
  3. Io ho molto apprezzato questo tuo post, oggi è una giornata tremenda per l'Europa, ed è in effetti difficile scrivere un post che vada oltre il cordoglio e l'orrore, tu ci sei riuscita molto bene. Grazie Sandra

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È difficile davvero e fingere che nulla sia successo mi piace ancor meno, ma bisogna andare avanti-

      Elimina
  4. Non posso far altro che condividere il tuo post e sperare in quell'unico 10% di probabilità di riuscita.
    Ti ringrazio per la speranza che hai riacceso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Per la natura di solito basta. Non possiamo che sperare che anche per noi sia lo stesso.

      Elimina
  5. Bello questo post, Antonella.
    Leggendo ciò che gira su Facebook, penso che molte persone reagiscano al male portando altro male, e questo le fa cadere nella trappola da chi guadagna potere fomentando l'odio. Noi invece dobbiamo essere più forti di tutto questo e far sì che l'amore, il rispetto e la solidarietà umana - non verso i terroristi ma verso le persone che incontriamo ogni giorno - portino una luce là dove la nebbia divora tutto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lo so che sembra una sciocchezza buonista, ma io penso davvero che se riuscissimo a prenderci cura di chi e di ciò che ci circonda si vivrebbe tutti meglio. Penso che chi impara a prendersi cura del mondo non sceglierà mai consapevolmente la via della distruzione. Magari è un'illusione, la mia, ma preferisco perseguire la mia illusione che l'odio.

      Elimina
    2. Non è una sciocchezza buonista: è la verità.

      Elimina
  6. Cara Antonella
    il tuo racconto della rinascita del lago mi ha commosso. Ho pensato al quel pesciolino che si salva e che diventa grande e forte, e alla caparbietà degli abitanti del lago che ha permesso questa rinascita lenta ma possibile. Pensare alla tua storia mi fa ritrovare un po' di fiducia nell'Europa e nell'umanità, nonostante gli attacchi alla sua integrazione.

    RispondiElimina