sabato 17 settembre 2016

Bellezza e tristezza – Piovono Libri


Ieri sono riprese le sedute del gruppo di lettura Piovono Libri, dopo una pausa estiva in cui abbiamo letto due romanzi, Bellezza e Tristezza di Kawabata e I Misteri di Parigi di Sue. Trattandosi di libri estremamente diversi, ma entrambi molti dibattuti e non privi di spunti, ho deciso di dedicare a  entrambi il giusto spazio e dedicare a ciascuno un post.

BELLEZZA E TRISTEZZA

Si è trattato del primo impatto, per me, con la letteratura giapponese, apparentemente il migliore possibile, dato che si tratta di un premio nobel. Purtroppo tra me e questo romanzo non è scattato nulla di positivo (parecchio di negativo) e anche se il confronto con altri lettori mi ha aperto nuove prospettive, il mio giudizio finale non cambia.

L'inizio del romanzo è di indubbio fascino. La scrittura è elegante ed evocativa e la vicenda si apre senza inutili preamboli. 
Il viaggio a Kyoto per ascoltare il suono delle campane tradizionali è per l'affermato scrittore di mezza età Oki solo un pretesto. Il suo vero scopo è rivedere Otoko. Con lei, Oki, più dieci anni prima, aveva vissuto una  travolgente e tragica storia d'amore. Mentre l'uomo era già sposato, Otoko era solo un'adolescente. Rimasta incinta, la ragazza aveva avuto poi un crollo nervoso in seguito alla morte della figlia e Oki, all'epoca già sposato e padre, non la rivede da quei giorni.
A Kyoto, però, l'incontro tra Oki e Otoko non va come l'uomo aveva sperato. La donna ora è un'artista affermata e vive con una splendida allieva a cui è legata anche sentimentalmente e non ha alcun interesse a riallacciare un legame con il vecchio amante.

Fino a questo punto, pagina venti, il romanzo mi è piaciuto molto. Purtroppo a oagina venti era già tutto chiaro al punto da rendere inutile il proseguo della lettura.
Chiara la riflessione dell'autore sulla bellezza da ammirare da lontano o da sublimare nell'arte, poiché gli uomini sono capaci solo di distruggere la bellezza che vorrebbero possedere.
Chiare le dinamiche tra i cinque personaggi (Oki, sua mogli e loro figlio, Otoko e l'allieva), francamente troppo pochi per reggere un romanzo.
Chiaro, sopratutto, lo sviluppo che la vicenda avrebbe avuto. Ho sperato fino all'ultimo che l'autore prendesse una strada che non avevo previsto, una svolta inaspettata e invece nulla. Nel momento in cui tutti i personaggi sono in scena è evidente cosa accadrà. È possibile che la sensazione di andare verso un'ovvia e inevitabile tragedia sia voluta dall'autore, tuttavia ha me ha tolto gran parte del piacere della lettura.
Infine, ho avuto l'impressione di assistere a un patinato dramma altoborghese altamente improbabile, ambientato in luoghi splendidi (e ben descritti) ed esclusivi, che dava al tutto un retrogusto di irrealtà, come quei film italiani (l'ultimo che ho visto appartenente a questa categoria, per quanto godibile è Il nome del figlio) in cui tutti sono professori universitari o scrittori, abitano il ville in luoghi incantevoli o in attici lussuosi e sembrano non avere alcuna attinenza con la realtà tangibili del nostro tempo. In particolare irreale mi è sembrata Otoko, il personaggio con cui più avrei potuto empatizzare. La lasciamo in uno clinica psichiatrica dopo un tentato suicidio, con la reputazione rovinata da una gravidanza a 17 anni, sola con una madre povera, in un paese, il Giappone degli anni '60, ancora estremamente classista, dove la rispettabilità è tutto. E la troviamo, con la stessa ingenuità, artista affermata, che posa con le proprie opere su riviste patinate, senza alcuna spiegazione su come ce l'abbia fatta, senza agganci di sorta e con un carattere che definire passivo e arrendevole è un eufemismo.

E dire che i motivi d'interesse non sarebbero mancati. 

Il più ovvio, la descrizione di una relazione lesbica nella società Giapponese degli anni '60, ma la cosa non è per nulla approfondita. Una mattina Otoko si è trovata alla porta una bellissima ragazza che le ha dichiarato il proprio amore e Otoko se l'è presa in casa e nel proprio letto. Fine dell'approfondimento.

Le relazioni diflunzionali che ciascun personaggio ha con gli altri, ma accetta come un dato di fatto, senza provare non solo a modificarle, ma neppure ad analizzarle. 

Più attenzione va alla riflessione sulla scrittura e le sue ripercussioni sulla vita. Oki ottiene fama e denaro raccontando in un romanzo la propria relazione con Otoko, questo, ovviamente, fa si che la moglie ne venga a conoscenza, con tutte le reazioni del caso. E anche Otoko viene individuata come la ragazza del romanzo, vendendosi negare ogni possibilità di rifarsi una vita nell'anonimato. Tuttavia, anni dopo, l'arte vince. Lo scandalo è superato è il romanzo, con la sua bellezza che sembra giustificare tutte le sofferenze passate come se tutti loro avessero agito solo in funzione della nascita di un'opera immortale. Una visione dell'arte totalizzante, sicuramente molto lontana dalla nostra sensibilità, ma non priva di fascino. 

Arrivata in fondo al romanzo, devo ammettere che il mio io di scrittrice era abbastanza in crisi. Se io fossi stata un'editor, ricevuto questo manoscritto avrei detto all'autore:
"Ci sono ottime potenzialità, ma puoi ridurlo a un racconto oppure ampliare la narrazione e approfondire le tematiche accennate per renderlo un romanzo compiuto. Così non va".
Peccato che Kawabata abbia vinto un nobel, quindi sicuramente è a me che qualcosa sfugge e non credo che sia dovuto alla sola distanza culturale (che comunque c'è).
Forse, la cosa che mi è davvero spiaciuta è che io questo romanzo lo volevo amare. Non c'era niente, in teoria, che avrebbe dovuto impedirmelo. Avrei davvero voluto amare la dolce e sfortunata Otoko, invece l'avrei voluta riempire di ceffoni dalla prima all'ultima pagina. Mentre ad Oki avrei dato direttamente fuoco in pubblica piazza. Quanto all'allieva di Otoko, camicia di forza subito. Forse, dopo una buona cura psichiatrica, si potevano salvare la moglie e il figlio di Oki.
Ecco, ci ho provato, ma non ce l'ho fatta, non l'ho amato.

20 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Perché lo hai eliminato? Era molto interessante, anche se non ho fatto in tempo a rispondere!

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    2. Perché alla sera mi era parso divertente farci due risate, ma alla mattina era solo un commento stupido. :)

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    3. Soprattutto mi aveva fatto ridere la sovrapposizione tra il tuo giudizio e quelli che avevo ricevuto io...

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  2. Tanti anni fa di Kawabata lessi "Arcobaleni", un libro che mi colpì molto per l'inquietudine rappresentata della protagonista. Anche lì era presente la tematica dell'omosessualità, ma c'era molto altro. Adesso ne ricordo solo la sensazione a fine lettura, non saprei più approfondire le mie impressioni. Questo di cui parli, invece, lo sconosco, ma da quello che hai osservato ho riconosciuto il tocco giapponese dell'autore e, azzardo, potrebbe piacermi.

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    1. A dire il vero qui ho trovato molto poco di tutto ed è la cosa che mi è spiaciuta. Ma altri lettori lo hanno molto amato, quindi potresti essere tra loro

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  3. Mi piace questo sfondo, alleggerisce molto la grafica!
    Di Kawabata ho letto un romanzo per ragazzi proprio tenero, il Meraviglioso paese oltre la Nebbia.

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    1. Che gaffe! Ho letto Kashiwaba invece che Kawabata :D di lui ho letto invece qualcosa di veramente assurdo e frenetico che mi ha divertito: la Banda di Asakusa.

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    2. Assurdo e frenetico? No, questo è lento, involuto e irrisolto. A mio gusto, naturalmente. In rete i commenti sono per lo più entusiasti.

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    3. Sì, è uno scritto giovanile piuttosto diverso dalla sua produzione successiva, una specie di racconto dell'età del jazz ambientato in un quartiere popolare di Tokyo, che termina con il grande terremoto.

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  4. Mi rendo conto adesso che non ho mai letto un autore giapponese, dalla tua descrizione del romanzo penso che sarei pienamente d'accordo con te, una trama che si rivela subito già mi indispone.

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    1. Guarda, alcuni lettori lo hanno amato alla follia, quindi il giudizio è molto personale. Per fartene uno tuo non ti resta che leggerlo.

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  5. C'è da dire che i giapponesi sono alieni per noi. Murakami, che è l'autore giapponese più venduto in occidente, scrive in modo molto molto diverso rispetto ai suoi colleghi connazionali. È praticamente un autore occidentale. Se non fosse per questo, probabilmente non lo leggerebbe nessuno.

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    1. Non so sia stata la distanza culturale, la non abitudine a leggere giapponesi o la vicenda in sé, non ce l'ho fatta ad amarlo. Questo è l'unico elemento di cui io sia certa.

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  6. Non ho letto il libro di cui parli ma so per certo che Kawabata è uno dei più grandi nomi della letteratura giapponese di tutti i tempi. Prova i racconti della raccolta "Prima neve sul Fuji" oppure il fondamentale "La casa delle belle addormentate"...

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    1. Ammetto di non averne molta voglia. Però, ecco, a distanza di un paio di mesi dalla lettura posso dire che è un libro che resta e che mi ha fatto venire tanta voglia di visitare il giappone.

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  7. Da quanto leggo, sembrerebbe essere la classica occasione mancata. Sui premi Nobel stendo il classico velo pietoso perché mi sono presa delle "sole"... A me è accaduto di non provare alcun afflato con gli scrittori nordici. Quelli della casa è di Iperborea,per capirsi.

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    1. Volevo scrivere "casa editrice", ma il cellulare mi ha tradito.

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    2. Chissà, magari un altro giapponese potrei amarlo. Credo però che farò passare del tempo...

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