La Morte e lo stilista
Giunse in silenzio, sontuosa nel broccato nero che la rivestiva, enigmatica dietro la pallida maschera veneziana.
Lo stilista era chino alla scrivania, gli occhi stretti nel tentativo di mettere a fuoco l’ultimo bozzetto, davanti a lui sul tavolo. Prima di girarsi, aggiunse un’ultima sfumatura dorata al disegno.
– Sai chi sono? – chiese la figura in nero, con voce dolce, né maschile né femminile.
Lo stilista si limitò a sorridere.
– Sono la Morte.
– E io sono un vecchio, non vedo come la cosa debba stupirmi. Andiamo?
– È dato alle creature mortali di guardarsi un istante indietro a considerare per cosa abbiano vissuto – disse la Morte, un poco contrariata.
L’uomo gettò uno sguardo oltre la finestra, dove l’eleganza degli alberi spogli si stagliava contro l’arancio del crepuscolo.
– Fatto.
– No, mortale, non così presto. Tu che hai avuto in dono il privilegio di creare, ma hai scelto l’effimero, l’immanente. Che sarà del tuo nome, quando i tuoi vestiti saranno solo ricordi vetusti di una stagione passata?
Il vecchio si strinse nelle spalle.
– Ha senso il tempo, là dove mi conduci?
– No.
– E allora che importa, Morte, quanto durerà il ricordo del mio nome? Non c’è opera creata dall’uomo destinata a vincerti, giusto? E allora, di fronte all’eternità, che importa aver creato un abito o una cattedrale?
Non aveva espressione, la Morte, ma sembrava perplessa.
– Non ti spaventa il giudizio dei posteri? Tu hai dedicato la vita all’inutile?
– Ma non è quello che ci distingue dagli animali, l’inutile? Guarda questo tramonto. Non ha altro significato che l’arrivo della sera. Per i passeri, là fuori, il cane da guardia, il gatto che dorme sulla poltrona è solo un altro giorno che finisce. Per me è bello e questo lo rende diverso dal tramonto che vedono loro. Eppure, rimanere a soppesarne la bellezza non ha alcuna utilità. Potrebbe distrarmi da un pericolo in arrivo, ma mi fermo e guardo e ammiro.
– Non senti il peso, dunque, delle scoperte che non hai fatto, del denaro che è stato sprecato per un lusso inutile che hai imposto, delle vite rovinate di donne che hanno cercato di rendersi simili ai tuoi ideali?
Lo sguardo dell’uomo si fece triste, mentre la foschia lontana scuriva la tonalità perfetta del cielo.
– Non ho, nella mia vita, fatto violenza a uomini o animali. Non ho rubato, ho limitato i miei vizi a quelli che potevano danneggiare solo me. È facile mettere agli uomini d’ingegno la colpa delle brutture del mondo. Ho disegnato abiti, non ho costretto alcuna alla fame per entrarvi, né costretto alcuno ad uccidere animali per realizzarli né imposto la schiavitù nelle fabbriche che li producevano. Sono scelte della cui colpa non intendo sentirmi macchiato. Non ho occhi per vigilare su tutto il mondo, non faccio le leggi, né posso farle rispettare. Se una casa brucia la colpa è di dipinge il fuoco o di chi lo appicca? Ho disegnato abiti, di questo sono responsabile, non di altro.
Sai a cosa serve un abito, Morte? Serve all’essere umano per rendersi più certo di quello che già è.
Fin dalla più remota antichità comandanti di tribù di cacciatori hanno dovuto ricoprirsi ogni giorno il capo di penne d’aquila per dire a loro stessi che si, davvero, stava a loro il fardello della decisione.
Una ragazza già bella compra un paio di scarpe o una borsetta nuova ed ecco, la sua bellezza le salta agli occhi, le si illumina il viso e con più sicurezza affronta il mondo.
Un ragazzo timido con una cravatta o un maglione nuovo, riconosce il coraggio che già aveva per dichiarare il suo amore.
In doppio petto uomini con troppo potere diventano consapevoli di stringere nelle mali i destini altrui.
Questo faccio io, che sono uno stilista, dono l’opportunità alle persone di diventare consapevoli di ciò che già esse sono. Se questa consapevolezza porterà baci o guerre, io non ne tengo la colpa.
E tu, Morte, non ti sei fatta rivestire nei secoli dai pittori di informi camicione nere, dettagli in osso, cavalli scheletrici al posto di borsette, solo per farti riconoscere per ciò che sei?
L’uomo girò verso la figura scura il suo ultimo bozzetto. Rappresentava una figura alta, avvolta di un nero, sontuoso broccato. Portava un turbante, sempre nero, sulla testa e sul volto una pallida maschera veneziana con appena una sfumatura d’oro a sottolineare il contorno degli occhi vuoti, senza iridi né pupille.
La Morte si portò una mano inguantata al viso, là dove una leggera spruzzata di vernice dorata evidenziava l’incavo degli occhi mancanti.
– Perché ti sei vestita così, Morte? Qualcuno ti ha forse obbligato?
– Non capivo perché dovessi sempre e solo far paura e non potessi avere un aspetto più elegante e gentile.
– E allora sii gentile, Morte, poiché questo vuoi riconoscere oggi in te, e porgi la mano a un vecchio per aiutarlo ad andare là dove si conviene.
La Morte allungò il braccio e aiutò lo stilita a mettersi in piedi. Poi insieme, sorreggendolo, si avviarono verso l’orizzonte ormai scuro.
Ben scritto. Complimenti!
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