mercoledì 13 dicembre 2017

Ritorno a Baker Street


Quando ho scritto Sherlock Holmes contro il Fantasma dell'Opera ho seriamente pensato che sarebbe stato il mio ultimo lavoro sherlockiano. Questo per una serie di motivi che non avevano nulla a che fare con la mia voglia di scrivere di Sherlock Holmes.
Quelli sherlockiani sono racconti molto rigorosi. Richiedono una documentazione puntuale (ci sono appassionati che penso sappiano a memoria la pianta della Londra vittoriana con tutti i nomi delle strade al loro posto e guai a sbagliarne uno!) e una progettazione a prova di bomba per quanto riguarda la parte gialla. Non si possono in alcun modo improvvisare. Bisogna pensarli con calma, cercare la documentazione, molte informazioni specifiche in rete non si trovano (almeno non in una lingua per me comprensibile) e bisogna setacciare i meandri delle biblioteche.

Eppure c'è qualcosa di estremamente rilassante in tutto questo.
Probabilmente è una questione di percezione personale. Quelle di Sherlock Holmes, dal mio punto di vista, sono, sul lungo periodo, storie a lieto fine (chiedete ad altri miei personaggi se secondo loro sul lungo periodo hanno una storia a lieto fine e rischiate il pugno in faccia). Non importa cosa accada, quanto dolore ci sia da attraversare (tra fratelli e mogli morti il povero Watson ne attraversa un bel po'), alla fine c'è un camino acceso, una pipa e il suono di un violino.
Lo stesso rigore che il lavoro necessita, con la necessità di studiare alcuni aspetti della società di fine XIX secolo in un certo modo, è rilassante.

Quindi succede più o meno sempre così. Se sono stanca (e lo sono parecchio) e un po' stressata dalle questioni lavorative (magari accessorie, come stare dietro alla documentazione per l'anno di prova), io mi rifugio a Baker Street.
Poi c'è questa cosa che abito se non tra i monti, almeno sulle colline e questi maledetti corsi abilitanti/per il ruolo/di aggiornamento, li fanno sempre in una parvenza di cittadina, il che vuol dire almeno un'ora d'auto da dove sto. Questo, più le ore di corso (che, ammetto, non è che segua al 100% con tutta me stessa) dà un po' di tempo per pensare.
Infine ha un suo ruolo anche l'inverno. Non credo di aver mai scritto di Sherlock Holmes d'estate. Cosa c'è di meglio in giornate come questa di un camino e una comoda poltrona in un'atmosfera inglese?

Così ho l'impressione di tornare a casa di amici e di essere sempre ben accolta a Baker Street, potermi sedere anch'io in poltrona, prendere non da fumare, ma magari qualcosa da bere (ho il sospetto che al 221b ci sia sempre qualche buon distillato da stappare al momento opportuno, cosa che ammetto di non disdegnare). A quel punto iniziano i racconti. C'è sempre qualcosa di interessante da scoprire, seduta in quella comoda poltrona.
Questa volta, ad esempio, ho scoperto l'esistenza di una gran donna italiana, Giuseppina Cattani e della volta che ha aiutato Sherlock Holmes a risolvere un delitto.
C'è persino il tempo per togliersi qualche curiosità che non ha poi posto nei racconti.

– Ma allora, come si è trovato davvero a vivere in un monastero tibetano?
– Sinceramente? Superata la curiosità iniziale, una noia abissale.

4 commenti:

  1. Deve essere fantastico avere un luogo rassicurante dove tornare, a me manca proprio.

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    1. Lo è. E più il mondo reale e quello narrativo sono oscuri e pericolosi e più si apprezzano le fiamme del camino.

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  2. Ho capito che intendi. Anche per me ci sono delle storie in cui mi sento a mio agio, sia per la lettura sia per la scrittura.
    Ho letto due volte l'opera di Doyle su Holmes e ogni volta è stata un piacere.

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  3. Scrivi ciò che ti fa stare bene. :)
    Finché c'è questo, il resto non conta.

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