In questi giorni, rubando il tempo un po' qui e un po' là, anche al blog, sto scrivendo parecchio.
Cose che sicuramente non verranno mai pubblicate, neppure in rete sotto pseudonimo.
Cose che, nella migliore delle ipotesi verranno lette da quattro persone.
È un'esperienza nuova per me. Non ho mai avuto un diario personale, ad esempio.
Il mio computer stralipa di racconti, anche romanzi, che non vedranno mai la luce. Alcuni nascono volutamente come esercizi, propedeutici a qualcos'altro. Altri sono malriusciti. Di alcuni francamente mi vergogno (per la resa, in realtà pochissimo per i contenuti). Altri non hanno trovato una casa editoriale e non si prestano a essere pubblicati qui, quindi, poveri, finiscono per restare nel mio archivio e basta. Altri erano destinati a progetti abortiti.
Un numero davvero esiguo nasce come "scrittura interna", relativa per lo più al gioco di ruolo e quindi funzionale a narrare e a condividere con gli altri giocatori la storia di un personaggio o il suo punto di vista su un determinato evento. Si tratta di storie brevi, di non più di cinque pagine. Solo in un caso ne è nato un racconto che aveva una sua ragione d'essere e che, infatti, è poi finito su questo blog.
Questo caso è del tutto diverso. Intanto il per la quantità di pagine che stanno uscendo. Sono già sopra le 100000 battute e manca almeno un terzo della storia. Non è un dato solo numerico. Chiunque scriva sa che non si può andare molto in là in una narrazione se non c'è un'esigenza profonda, qualcosa che preme per uscire.
La cosa più curiosa è che il tutto nasce da una serie di esperienze condivise con altre amiche (di fatto le 4 persone che, forse, leggeranno) e che ha portato tutte sulla strada della narrativa, con esiti molto diversi in fatto di racconti, perché in ciascuna di noi, evidentemente, si è smosso qualcosa di importante ma di differente.
Ne sta uscendo un'esperienza molto strana.
Io avevo appena terminato un racconto molto doloroso, per le tematiche trattate e i contraccolpi psicologici e ora invece scrivo davvero con la gioia di scrivere.
Da un punto di vista meramente tecnico ho la sensazione di inoltrami in generi che mi sono sempre negata, perché non sentivo di padroneggiare o perché avrei scritto cose che mi sarei vergognata a far leggere in giro. Sì, insomma, ho un'anima schifosamente romantica e me ne vergogno e, siccome ritengo di non saper fare una storia romantica, non ne ho mai scritte. Ma dato che questa volta è una faccenda privata chisseneimporta.
La cosa che sto producendo si articola in due narrazioni separate. La seconda, volendo poteva essere convertita a giallo (certo, avrei dovuto ammazzare un personaggio che mi sta simpatico...). La parte della mia mente che ragiona per schemi narrativi mi ha avvisato subito delle potenzialità del contesto. Anzi, non escludo in un futuro di usare ambientazione (non pensiate che non ci sia un lavoro di documentazione dietro, anzi...) e motivazioni dei potenziali assassini per un bel giallo. Però adesso, davvero, questi personaggi non li voglio ammazzare. Di più, li voglio portare al miglior lieto fine possibile, magari non quello che vorrebbero loro, ma quello che, forse, alla lunga, li farà stare meglio. Già il lieto fine è una cosa che mi concedo davvero di rado.
Questo mi porta in un universo di equilibri narrativi sconosciuti, perché, bene o male, un giallo so come si scrive e come ci si ragiona, una storia d'altro genere no e quindi è continuo andare avanti e indietro a sistemare, inserire e togliere elementi e premesse come non mi succedeva da anni (con gran divertimento del marito che mi sente sbuffare e non capisce come una cosa che faccio per puro sfizio mi dia più difficoltà di racconti pensati per concorsi).
Ci sono considerazioni stilistiche che normalmente non farei. Mi è venuto in mente troppo tardi perché mi metta davvero a riscrivere una cosa come 50000 battute, ma è la prima volta che ho ipotizzato di fare un racconto tutto in prima persona presente, alternando tre punti di vista. Non escludo neppure di farlo in un'ipotetica seconda stesura, anche se mi vien male al solo pensiero.
Questo solo per la parte tecnica, che poi è la meno particolare del tutto.
Di certo questa esperienza mi sta facendo bene a molti livelli.
Scrivere sapendo che chi mi leggerà già mi conosce mi leva un gran numero di paranoie e mi permette per certi versi di essere più scoperta e per altri più giocosa. Di questi tre punti di vista, ad esempio, capiranno subito qual è quello più personale e quello che invece mi ha divertito molto scrivere perché con me ci azzecca poco. D'altro canto, essere più scoperta mi permette di entrare più in sintonia con me stessa, accettare le mie paure e le mie (molte) paranoie come mie. In un momento della mia vita in cui sono molto presa da quello che devo fare e dai miei molti ruoli esterni, diventa una coccola per l'anima. Si capiscono cose della propria vita sorprendenti. Ad esempio io ho praticato sport a livello agonistico nazionale per molti anni e, come tutti gli atleti, ho sognato di avere le capacità e le possibilità di andare oltre (tra l'altro una mia compagna di scuola faceva gli europei nella stessa disciplina, con mia somma invidia). Lo avrei davvero vissuto bene? Alla luce di questa narrazione, no, sarebbe stato un incubo. Prima non l'avevo mai realizzato. Ora, questa è una sciocchezza, ma mette una bella riga sopra a un rimpianto della vita. Ed è liberatorio.
A livello di scrittura mi permette di ragionare con molta più libertà, di sperimentare, di giocare anche e di recuperare un livello più autentico di scrittura che forse stavo perdendo.
A qualcun altro è capitato?
Solo una volta, ma per un pezzo piuttosto breve. Stavo scrivendo un post e mi sono resa conto che era troppo privato, anche per una come me, che non si fa grossi problemi a condividere sfere personali, quindi l'ho tolto dalle bozze e salvato per farlo leggere solo a mio marito, che ha molto apprezzato. Altrimenti la mia scrittura è sempre una narrazione collettiva diciamo, ma non nego gli intrinsechi benefici che immagino ci siano. Sandra
RispondiEliminaI benefici ci sono, ma credo che in questo caso abbia un senso anche perché dei lettori ci sono. A scrivere proprio solo con me stessa mi sento un po' come chi parla da solo. Va bene un pochino, ma oltre mi faccio seri problemi di sanità mentale.
EliminaSì, qualcosa di simile. Ho da parte alcuni scritti che ho letto io soltanto e che teoricamente dovrebbero essere editati e pubblicati. In pratica però sono bloccato dall'idea che qualcun altro li legga e faccia 2 + 2...
RispondiElimina2+2 con i miei scritti non si può fare, mai, neppure con questi. E pur tuttavia rimangono privati, senza neppure una teoretica pubblicazione.
EliminaInnanzitutto non devi vergognarti quando fai leggere, chiunque sia. Togli questa cosa. Può succedere, ma non è salutare per chi scrive. Limita molto e vengono duemila paturnie per pubblicare. Non vedo una cosa grave se non sempre un racconto è al massimo, magari si scrivesse sempre un modo egregio. L'altro giorno ho rivisto scritti, molti da gettare, alcuni testi di vari concorsi andati male, storie a metà. Ogni testo avrà la sua fine (a buon fine) o morte prematura, ma non mi vergogno a postare. Seppure potrei pensare che in alcuni casi c'è del vissuto e mi si veda dentro, ma finché non si ammazza nessuno, niente è orribile. E poi pazienza se qualcuno giudica lo scritto o pensa che sia autobiografico. Il ché solo chi scrive lo sa. Scrivi e pubblica. Io sto facendo dei salti mortali per non smettere di scrivere, so che me pentirò se finissi qui.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaAggiungo: esiste la scrittura privata come il diario e quello mi pare lecito lasciarlo tale, ma uno scritto se è pubblico devi farlo leggere.
RispondiEliminaC'è poi un altro tipo di scrittura privata che viene usata in psicologia: la scrittura espressiva di James Pennebaker. Se riesco, e sono mesi che mi sta aspettando per scriverlo a coppia, devo farci un post. Speriamo mi aspetti, se no lo scriverò da me. Oggi dovevo farlo, ma l'imprevisto salute della bambina ha ribaltato tutto. Prima la famiglia, poi il resto. :-)
Allora, la questione è un po' più complicata.
EliminaNon c'è nulla di autobiografico in quello che ho scritto. Se mai delle fantasie agonistiche che, appunto, mi sono passate del tutto. Per entrare in contatto con me stessa ho sempre comunque bisogno di prenderla alla larga. Ci sono sguardi che sono miei, considerazioni, in un caso una certa atmosfera di fondo.
Non c'è alcun contenuto di cui debba vergognarmi, se mai della resa narrativa ecco, della banalità del mio desiderio di lieto fine, ma non è neppure quello il punto.
Il punto è la libertà che concede l'idea di scrivere solo per se stessi e per pochi, fregandosene di un sacco di considerazioni sul funziona/non funziona, piace/non piace, linea editoriale, che comunque quando si scrive pensando a una finalizzazione editoriale ci sono.
Sicuramente ci sono delle cose che sto imparando in questa esperienza che userò in futuro (l'universo parallelo con il morto e l'indagine credo che la scriverò, potrebbe uscirne un bel giallo e un personaggio mi divertirà molto usarlo in veste di detective), quindi nella va perduto per sempre.
Però scrivere per scrive, senza altro desiderio che sapere come va a finire la storia, al momento per me è liberatorio.
Scommetto che questo sarà il tuo racconto migliore in un certo senso, perché ti trovi nella zona "giusta" del tuo cervello. Le emozioni che hai provato quando sono successi i fatti che racconti e le emozioni che provi ora mentre li scrivi si trasmetteranno al lettore. Inoltre hai bene in mente chi è il tuo lettore ideale e riesci a prevederne le emozioni. Spero che prima o poi ci ripenserai e renderai il racconto pubblico, magari cambiando alcune cose in modo da renderlo meno privato. Lo leggerei volentieri!
RispondiEliminaNon può essere pubblicato per un sacco di motivi tecnici, non tanto per quelli personali, il primo dei quali è che i personaggi non sono miei... Su quattro, in tre stiamo usando personaggi non nostri (gli stessi) e la quarta personaggi originali, ma ambientazione protetta da diritto d'autore.
EliminaIn principio scrivevo solo per me stessa e quello che scrivevo mi sembrava che scoprisse molto di me, anche quando era romanzato, infatti facevo leggere quello che scrivevo solo a pochi amici. Poi ho cominciato a scrivere "pensando" a un pubblico ideale di lettori, come se dovesse essere letto da molti. È stato allora che ho capito che comunque anche quando si scrive mascherando se stessi nei vari personaggi si finisce per parlare di sè sempre e comunque.
RispondiEliminaNon possiamo esplorare altro universo che noi stessi, certo.
EliminaInteressante però questa sorta di storie da universo parallelo...dove ci sono gli stessi personaggi e la storia cambia a seconda del genere.
RispondiEliminaNon potranno essere proprio gli stessi, considerando che questi non sono miei e oltre tutto uno non esisterà proprio... Ci devo ancora pensare seriamente, però, la storia ha senso solo mantenendo la nazionalità del morto e di chi indaga, ma dovendo lavorarci "seriamente" non so se riuscirei a scrivere davvero di gente di quella nazione. Ecco una delle differenze sostanziali tra lo scrivere per me e pochi intimi e il pensare a una possibile pubblicazione, ad esempio.
Elimina