Scrivendo per me posso concedermi di rallentare il ritmo e di buttarla sullo schifosamente romantico.
Di solito i miei personaggi hanno un assassino da prendere o qualcosa da salvare (non che ci riescano) e non hanno mai tempo per lanciare questi sguardi...
Lo trovò in giardino, seduto su una panchina, intento a tirare la palla a M.
Rimase un istante a guardarlo. Non sembrava sotto pressione, a poco più di una settimana da una finale internazionale, con tutte le aspettative di uno stato iper competitivo addosso e i problemi fisici con cui fare i conti. Giocava col cane in modo infantile, lasciandosi leccare in faccia e senza tuttavia perdere quell’eleganza che lo contraddistingueva. Se non si sapeva chi fosse, poteva essere scambiato per un modello o un attore. Uno di quegli individui frivoli e vanesi pronti a fare una scenata se tutto non era esattamente come lo pretendevano.
Fantasie atletiche per interposto personaggio (punto di vista differente rispetto a quello di prima).
Quindi era questo che significava essere un atleta olimpico.
Aveva ripetuto a tutti che era solo una gara come le altre. Anche l'allenatore lo aveva ripetuto un milione di volte. Quella mattina, mentre assisteva alla prima prova a squadre, gli era sembrato che fosse davvero così, una gara come le altre, solo in un posto più ventoso e scomodo del solito e quel senso generale da vacanza organizzata per bambini dei quartieri disagiati che aleggiava sul villaggio olimpico.
La cerimonia d’apertura era un’altra cosa.
Anche se non voleva, anche se cercava di rifugiarsi in quella pozza di rabbia e cinismo del suo animo a cui poteva quasi sempre attingere forza, gli faceva effetto. Gli faceva effetto essere uno di quella massa di atleti che sfilava, ognuno con i propri sogni, ognuno consapevole di essere solo polvere nell’universo, ma di avere, in quel momento che forse mai nella vita si sarebbe ripetuto, la possibilità di fare la storia. Dava, suo malgrado, l’idea di quanto fosse immane l’impresa di vincere una medaglia olimpica. Solo pochissimi di quelle centinaia e centinaia di atleti avrebbe terminato le competizioni con qualcosa al collo. Ancora meno con qualcosa d’oro al collo. Un numero ancora più piccolo avrebbe portato a termine davvero un’impresa degna di essere ricordata. Con i suoi diciotto anni non ancora compiuti e i suoi sessanta chili scarsi, per la prima volta si sentiva piccolo.
Molto bello, la tua scrittura privata produce scorci molto piacevoli.
RispondiEliminaAnche quando scrivi per te, è bello leggerti. :)
RispondiElimina:)
EliminaÈ inutile, nessuno può torgliemi dalla testa che la scrittura privata dia una soddisfazione maggiore, che in quella che si vorrebbe pubblica si perde.
RispondiEliminaUn pochino, in effetti...
EliminaQuando scrivo per me è terapeutico, quando scrivo per gli altri è terapeutico e soddisfacente.
RispondiEliminaAllora questa è decisamente una terapia di gruppo ristretto
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