giovedì 6 settembre 2018

Cose che mi spaventano


Quest'estate, sopratutto nei momenti di stasi che il mio organismo mi ha imposto, ho degnato i social di più sguardi di quanti sarebbe, forse, sano indirizzarvici.
Perché i social altro non sono che la versione amplificata del bar di paese. E chi vive in paese lo sa che al bar si va per lamentarsi. Per dare la colpa di tutti i propri guai a qualcuno. Non è che necessariamente siano dei rancorosi quelli che tra un caffè e un bicchiere di bianco elevano le loro lamentele, spesso colorite. È che quello è il luogo per esprimere il peggio, non il meglio. Andate al bar dopo una partita di calcio e scoprirete subito tutto quello che non ha funzionato, con epiteti molto coloriti rivolti ad allenatori e giocatori. Andate in un bar di un piccolo paese e subito sarete informati di tutto ciò che non va e di tutte le magagne personali degli amministratori. Magari quegli stessi interlocutori sono fierissimi del posto in cui vivono e stimano le persone che denigrano, ma al bar, tra un caffè e una birra, si fa a gara a raccontarsi il peggio.
I social sono tutto ciò, ma amplificato. Il rancore, a volte l'odio che vi si respira non sono lo specchio esatto di chi ha postato quei contenuti. Il mondo reale, ne sono sicura, è ancora molto migliore di quello virtuale.
E tuttavia tutto questo rancore mi spaventa. Mi spaventa in modo indicibile.

Farò un solo esempio di una cosa piccola, che spero non vada a urtare troppe sensibilità, per spiegare il mio disagio.
A poche ore dal crollo del ponte Morandi a Genova, quando ancora il conto delle vittime era in aggiornamento ha iniziato a circolare su Fb un'immagine correlata da una scritta.
L'immagine era quella di un cane che veniva calato tra le macerie e la scritta era, con diverse varianti, "con che coraggio ora non lo farete entrare al ristorante".
Io, amante degli animali e dei cani in particolare, ne sono stata profondamente urtata, per diversi motivi.
– Si stavano ancora contando i morti. Una delle famiglie in quel momento disperse (poi trovati morti) veniva da un paese vicino al mio, erano persone note per cui si stava in pensiero. Chissà quanti altri erano in quelle condizioni di ansia e attesa. In quel momento di dolore pubblicare in bacheca non un messaggio di cordoglio, ma di accusa e neppure diretta verso i veri o presunti responsabili del disastro mi è sembrato oltremodo fuori luogo.
– Si gettava un'accusa, in un momento di dolore, verso una categoria, quelli che non vogliono i cani al ristorante, che non aveva davvero nulla a che fare con l'accaduto. A me i cani non danno alcun fastidio, ad alcuni sì. Magari queste persone possono essere sgradevoli, ma non avevano nulla a che fare con i morti di Genova. Il mio amico terrorizzato dai cani e che, pertanto, non ha piacere ad averne uno sotto il tavolo al ristorante non ha sabotato in alcun modo il ponte Morandi. Correlare due cose che non hanno alcun nesso tra loro è quanto meno un errore logico. Qui, però, all'errore si è unito lo sfruttamento a caldo di una tragedia.
– La foto riportata non era stata scattata a Genova e neppure in Italia. I cani tra le macerie del ponte Morandi c'erano davvero a cercare le persone, ma non sono diventati delle star social. Chissà, magari non erano belli come quello ritratto nell'immagine che circolava.

L'idea che una tragedia possa essere sfruttata, non mi viene parola migliore, per una campagna anche giusta, mi ha disgustato. Mi ha disgustato il tono della frase che non era "ricordiamoci di quanto ci aiutano i cani quando siamo in difficoltà", ma era di accusa. Un'accusa, ribadisco, rivolta a una categoria di persone che magari si può legittimamente trovare sgradevole, ma che è del tutto esterna a quanto accaduto.

Questo è un esempio piccolo. Potrei farne molti altri. 
Potrebbero essere reazioni legate all'arrivo dei migranti o al ferimento di svariate persone, tra cui una bambina, in un'estate in cui sparare o lanciare cose contro chi appare diverso sembra sia diventato un sport. Non mi addentro su questo perché sono temi assai più sensibili, magari ho anche meno il quadro della situazione, sicuramente rischierei di essere più aggressiva.

Mi spaventa che il dolore e i morti passino in secondo piano.
Mi spaventa che in un momento in cui dovrebbe vincere la solidarietà o il legittimo sdegno per chi può aver causato un dramma ci si rivolga invece con odio verso un "nemico" che magari nulla a che fare con quanto accaduto.
Mi spaventa che non importi neppure se la "prova" presentata sia attinente oppure no.
Nell'epoca dell'immagine non posso che ricordare le vecchie lezioni di greco antico, che ricordavano che "oida" può voler dire "è vero perché l'ho visto", ma anche "è falso, perché l'ho visto, ma gli occhi ingannano".
Lunedì i miei alunni rientrano in classe. Loro vivono immersi nella virtualità della rete. Come farò a comunicare loro il mio disagio, addirittura la mia paura, per questo bar di paese amplificato in cui ormai siamo immersi?
Come farò a spiegare loro che "l'ho visto", spesso può significare anche "è falso"?

9 commenti:

  1. Molto molto sdegno.
    Il cordoglio non stato espresso (non come prima cosa almeno) anche da molti politici e qui mi arrabbio proprio.
    Sui social si esercita l'effetto parabrezza per cui molti in auto si trasformano urlando le peggio cose, il parabrezza, il video dividono e crollano tante barriere. Per questo trovo interessante il messaggio proposto da Raul Montanari per cui virtuale e reale sono la stessa cosa. Io credo che se in rete ci si permettono toni di questo livello è si calzante il paragone del bar di paese (realtà che conosco da villeggiante ma conosco assai bene perché vado lì da anni ho amici e parenti) tuttavia chi se ne esce con la cretinata del cane ad esempio anche di persona be' non è il massimo.

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    1. Sono oltre lo sdegno, sono proprio un po' spaventata.
      Perché da un lato credo fermamente che la maggior parte delle persone siano squisite. Al bar chissà quante volte mio padre ha minacciato di morte questo o quell'allenatore dell'Inter, ma questo non fa di lui un pericoloso psicopatico.
      Mi spaventa però che questo diventi il modo normale di comunicare, non più circoscritto a un ambiente e a un momento preciso. Mi spaventa la totale mancanza di empatia a cui questo ci abitua. Mi spaventa l'idea di ragazzi che crescano con questo livello di comunicazione percepito come "normalità"

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  2. Condivido questo tuo sdegno, spesso i social fanno venire il voltastomaco in queste circostanze. Peggio di chiacchiere da bar di paese, molto peggio. Ognuno poi si sente in dovere di dire la sua su tutto, quando sarebbe meglio tacere.

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    1. Il "meglio tacere" si sta proprio perdendo, purtroppo.

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  3. Purtroppo ormai siamo arrivati a estremismi del genere. Si strumentalizzano eventi anche gravi per pubblicizzare le piccole ossessioni di ognuno, con l'illusione grottesca di poter trasformare questioni secondarie in grandi battaglie di evoluzione sociale...

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    1. È come se ogni cosa che interessa noi debba diventare per forza qualcosa da imporre agli altri, anche passando sopra ad ogni buon gusto e a ogni senso del limite. Rischiamo di diventare una società costituita tutta da bambini di due anni che si sentono il centro dell'universo.

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  4. Ho visto la foto del cane girare almeno una ventina di volte e ho pensato ai poveri cristi che lavorano tra le macerie, mettendosi al servizio degli altri nonostante i pericoli e la fatica, ma che nessuno ha in nota.

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    1. Non sono fotogenici come il cane statunitense, temo.

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