Da che è nato il blog, scelgo foto di fiori per introdurre i post che parlano di scrittura.
Volendo parlare di documentazione è venuto naturale spulciare il mio archivio di immagini alla ricerca di una rosa. Perché per me il lavoro di documentazione relativo alla scrittura è così: bellissimo, ma punge.
Nel post precedente presentavo un racconto molto particolare, di cui nel fine settimana proverò a mettere on-line il primo capitoletto. È un racconto a cui tengo, che sento molto mio, ma che mi pone parecchi interrogativi, alcuni dei quali, se vogliamo spendere una parola che magari sembra eccessiva, etici. Anche riguardo alla documentazione.
Daniele Imperi, in un commento fa giustamente notare che ci si può documentare praticamente su tutto, ormai, stando comodamente a casa e ha ragione da vendere.
Rimane il fatto che per me la documentazione per un lavoro di scrittura non è pignoleria, è una questione etica.
L'etica della documentazione
L'oggetto della narrativa non è mai il vero oggettivo. "Mai rovinare con della verità una bella storia" dicono gli americani. O, se non lo dicono, potrebbero farlo. Quanti film abbiamo visto, e amato, che contengono degli svarioni, delle inverosimiglianze palesi? Magari sono capolavori. E rimangono tali, nonostante gli svarioni e le inverosimiglianze.
Però.
Ci sono almeno due però, piuttosto forti nella mia mente.
Se è possibile documentarsi su una data cosa, secondo me è un preciso dovere morale di chi scrive farlo.
Non più tardi di una settimana fa mi è capitato di scagliare a terra un fumetto che iniziava con "Spagna, XVII secolo" e poi faceva entrare in scena l'Ordine Templare.
Ora, io sono ancora dell'idea che non importa quanto di intrattenimento sia una storia, se mi si dice che è ambientata in un tal posto e in una tal epoca (cosa non obbligatoria, esistono il fantasy, le distropie, le storie alternative...) mi aspetto che i particolari dell'ambientazione siano il più accurati possibili. Mi aspetto che si possa imparare qualcosa su quell'ambientazione o, quanto meno, non incappare in una follia anacronistica. È una questione etica. Quando nelle ore di storia un mio alunno esordisce con "ho letto in un libro ambientato in quel periodo..." mi aspetto che abbia un'informazione corretta. E se non è corretta mi vien voglia di prendere a pugni l'autore perché se poi quello svarione finisce in una verifica la colpa è anche di chi l'ha messo dove non voleva.
Quindi, se c'è un particolare su cui ci si può documentare senza diventare pazzi è un dovere morale farlo.
C'è poi un altro aspetto etico della documentazione, che è più attinente con i problemi che mi sono trovata a fronteggiare con la storia particolare.
Ci sono cose di cui magari ci troviamo a scrivere che non abbiamo vissuto. Ma qualcun altro sì. Dolorose o meno che siano, importanti o meno che siano, dobbiamo averne rispetto.
Da qui la mia difficoltà nell'ambientare storie nel mondo reale, ma in luoghi o situazioni che non conosco davvero a fondo. Perché di sicuro, invece, qualcun altro le conosce e ho sempre paura di non trattarle col dovuto rispetto.
Ho già parlato, credo, dell'antipatia che provo per la fiction ambientata durante guerre o catastrofi varie. Noi prof di lettere siamo bersagliate da proposte di letture educative che raccontano i grandi drammi del novecento. Alcuni di questi libri sono scritti con grande rispetto e documentazione. Altri sono stati palesemente studiati a tavolino, scritti nel comodo di salotti riscaldati e contengono svarioni che chiunque abbia sentito (o vissuto) storie di prima mano nota subito. Ecco, questi libri a mio parere sono offensivi.
Io non mi inoltrerei mai in tematiche così sensibili senza il giusto lavoro alle spalle, ma nel mio piccolo provo già un imbarazzo che non è solo paura di fare brutta figura quando scrivo di luoghi o situazioni che sento di non aver approfondito a dovere. Ho paura di mancare di rispetto a chi quelle cose le vive o le ha vissute.
Quindi, secondo me quando narriamo un fatto o un luogo reale, documentarci è un preciso dovere nei confronti di chi quel fatto o quel luogo lo vive o lo ha vissuto.
Detto questo, poi mi trovo a scrivere di città che non ho mai visitato, di periodi storici che non ho vissuto, di situazioni di cui ho solo letto. E non sempre mi sento all'altezza dei miei principi.
Ora, io sono ancora dell'idea che non importa quanto di intrattenimento sia una storia, se mi si dice che è ambientata in un tal posto e in una tal epoca (cosa non obbligatoria, esistono il fantasy, le distropie, le storie alternative...) mi aspetto che i particolari dell'ambientazione siano il più accurati possibili. Mi aspetto che si possa imparare qualcosa su quell'ambientazione o, quanto meno, non incappare in una follia anacronistica. È una questione etica. Quando nelle ore di storia un mio alunno esordisce con "ho letto in un libro ambientato in quel periodo..." mi aspetto che abbia un'informazione corretta. E se non è corretta mi vien voglia di prendere a pugni l'autore perché se poi quello svarione finisce in una verifica la colpa è anche di chi l'ha messo dove non voleva.
Quindi, se c'è un particolare su cui ci si può documentare senza diventare pazzi è un dovere morale farlo.
C'è poi un altro aspetto etico della documentazione, che è più attinente con i problemi che mi sono trovata a fronteggiare con la storia particolare.
Ci sono cose di cui magari ci troviamo a scrivere che non abbiamo vissuto. Ma qualcun altro sì. Dolorose o meno che siano, importanti o meno che siano, dobbiamo averne rispetto.
Da qui la mia difficoltà nell'ambientare storie nel mondo reale, ma in luoghi o situazioni che non conosco davvero a fondo. Perché di sicuro, invece, qualcun altro le conosce e ho sempre paura di non trattarle col dovuto rispetto.
Ho già parlato, credo, dell'antipatia che provo per la fiction ambientata durante guerre o catastrofi varie. Noi prof di lettere siamo bersagliate da proposte di letture educative che raccontano i grandi drammi del novecento. Alcuni di questi libri sono scritti con grande rispetto e documentazione. Altri sono stati palesemente studiati a tavolino, scritti nel comodo di salotti riscaldati e contengono svarioni che chiunque abbia sentito (o vissuto) storie di prima mano nota subito. Ecco, questi libri a mio parere sono offensivi.
Io non mi inoltrerei mai in tematiche così sensibili senza il giusto lavoro alle spalle, ma nel mio piccolo provo già un imbarazzo che non è solo paura di fare brutta figura quando scrivo di luoghi o situazioni che sento di non aver approfondito a dovere. Ho paura di mancare di rispetto a chi quelle cose le vive o le ha vissute.
Quindi, secondo me quando narriamo un fatto o un luogo reale, documentarci è un preciso dovere nei confronti di chi quel fatto o quel luogo lo vive o lo ha vissuto.
Detto questo, poi mi trovo a scrivere di città che non ho mai visitato, di periodi storici che non ho vissuto, di situazioni di cui ho solo letto. E non sempre mi sento all'altezza dei miei principi.
Credo che tu abbia ragione, ma che il compromesso sia inevitabile. E' un problema che mi sono dovuta porre anche per il romanzo che ho autopubblicato: quanto devo attenermi ai fatti e quanto posso inventare? Nel mio caso, siccome non volevo creare un fantasy, credo che fosse giusto rispettare i fatti fino all'ultimo momento possibile, per poi scostarmene nell'aspetto soprannaturale. L'impressione che mi è rimasta è quella di non poter mescolare arbitrariamente realtà e fantasia, come invece avevo fatto in prima stesura. E' un problema su cui occorre fare scelte precise.
RispondiEliminarealtà e fantasia mescolate arbitrariamente non funzionano. Ci devono essere delle regole precise, che il lettore possa intuire, poiché sottendono a tutto il testo. Stabilire quali, ovviamente, non è mai facile.
EliminaSui luoghi evito, le mie storie si svolgono spesso a Milano, o dove sono stata e ho studiato il territorio, es. Lago Trasimeno, Danimarca. Per le situazioni emotive mi capita di parlare per esempio di un vedovo, il lutto stretto lo conosco, avendo perso mio padre, ma con un coniuge è diverso, cerco di essere sensibile, evitare i luoghi comuni e il fumo fritto, mediamente comunque mi attengo a territori conosciuti, anche se inciampare è comunque possibile. Ad esempio ne Le affinità affettive evitai di sviluppare troppo il personaggio di Virginia immigrata senegalese che pure è un mio vero cavallo di battaglia e di sicuro un personaggio che ha conquistato i lettori, proprio per non mettere il piede in fallo o scrivere solo banalità.
RispondiEliminaMi ricordo bene di Virginia!
EliminaPer le questioni più propriamente psicologiche mi sono sentita rassicurata da una psicologa che collabora con la nostra scuola e che una volta mi ha detto che ogni persona che ha esperienza di dolore può almeno provare a capire gli altri dolori. Mi preoccupano di più le situazioni molto legate a un determinato contesto. Mi farebbe strano un libro scritto da un sudafricano che non ha mai messo piede in italia se parlasse di guerra partigiana. Il mio istinto sarebbe quello di dire che non ne ha il diritto. Poi però nei panni del sudafricano mi trovo io...
Nel caso dei templari documentarsi sarebbe stato ultrafacile. Si tratta di pigrizia, non ci sono giustificazioni.
RispondiEliminaPer me la documentazione serve anche se devi scrivere un romanzo sulla tua vita.
Concordo su storie di drammi e guerre: in quel caso la documentazione deve essere maniacale.
E comunque anche io preferisco in genere ambientare le mie storie in posti e tempi inventati.
Il caso dei templari davvero non me lo spiego. Non sono proprio più riuscita ad andare avanti serena nella lettura e dire che l'idea di partenza non era per nulla male.
EliminaConcordo con te che la documentazione serve sempre. Ricordo una volta di essere impazzita per una scena ambientata in un aeroporto, al ritiro bagagli. Mi sono resa conto di non sapere affatto come funzionasse un aeroporto e per quali meccanismi una valigia potesse poi trovarsi su un volo sbagliato, anche se del fatto in sé avevo esperienza diretta.
Io, in generale, al di fuori del puro fantasy, preferisco scrivere storie che siano ambientate in luoghi che sento di conoscere o che posso conoscere come chiunque altro (vedasi la Londra di Sherlock Holmes). Ma se la storia mi porta altrove? Che faccio, la abbandono? Durante l'estate questo è stato un bel dilemma.
Capisco cosa intendi, io mi sento a disagio a volte a scrivere di situazioni delicate che non conosco, soprattutto se si parla di questioni etico/morali che non ho vissuto in prima persona, perché mi sembra irrispettoso. Però cerco di sforzarmi a farlo, perché quello che sto scrivendo, se spogliato della storia, è un'opinione personale o un'interpretazione, magari una critica, e la penso davvero, e l'importante credo che sia scriverla senza offendere. Penso che sia un po' come dire la propria idea in una conversazione, lo si fa ma senza offendere gli altri, e magari si impara anche qualcosa dalle opinioni altrui.
RispondiEliminaTornando al discorso principale, penso che sia un dovere dell'autore informarsi bene su ciò che tratta, conoscere bene l'argomento potrebbe persino essere spunto per nuove idee.
In ultimo, non vedo l'ora di leggere la storia perché mi hai incuriosita moltissimo. Volevo scrivertelo nel precedente post, ma non ho fatto in tempo ^^
Ecco, non vorrei risultare offensiva per chi in quel contesto storico ci si è trovato, suppongo.
EliminaComunque mi fa davvero piacere averti come lettrice :)
D'accordissimo, ma aggiungo che non è solo un dovere, può essere anche un piacere.
RispondiEliminaQuando affronto un lavoro di una certa lunghezza, nella scrittura come nella preparazione di giochi di ruolo, il tempo speso a documentarmi è più di quello speso a scrivere. Mi ritrovo a leggere libri interi, a volte più di uno, su argomenti che diversamente non mi avrebbero mai interessato, e ogni volta (diciamo quasi ogni volta) ne esco arricchito e soddisfatto.
Assolutamente un piacere!
EliminaIo soffro quando mi rendo conto che in Guerre Stellari l'assenza di gravità non è nemmeno contemplata.... mancanza di documentazione o di realismo, ma si tratta di una cosa che mal tollero dal raggiungimento della maturità in poi... su questo 2001 Odissea nello spazio gli dà punti!! ... reata comunque il miglior film della mia adolescenza (quello di Lucas, non quello di Kubrik eh... nonostante tutto)
RispondiEliminaGuerre Stellari è "tanto tempo fa in una galassia lontana lontana", le leggi fisiche saranno diverse. Kubrik lavora sul nostro universo e ha fatto i compiti a casa. Il problema sorge quando ci presentano un futuro prossimo e presentato come realistico e le esplosioni fanno "buuum" nello spazio.
EliminaBella l'immagine della rosa con le spine connessa alla documentazione per la scrittura. Sono d'accordo sull'importanza di documentarsi prima di scrivere, soprattutto se si vuole raccontare una storia verosimile. Io passo tantissimo tempo a documentarmi su quello che voglio scrivere (soprattutto da quando mi dedico al giallo) sia cercando materiale in rete sia comprando libri su taluni argomenti. Alla fine però è anche molto interessante perchè si imparano tante cose nuove...
RispondiEliminaAnche per me è un piacere documentarmi, ma ogni tanto mi pungo con le spine...
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