Ma che belli che sono i fantasy di casa nostra!
In un genere che soffre moltissimo di esterofilia ho trovato negli ultimi tempi delle bellissime sorprese proprio nei fantasy scritti a pochi km da me.
Né a Dio né al Diavolo
Non sono una fan dei vampiri, lo ammetto, ma come ci stanno bene i vampiri a Biella. Ok, no, non è Biella è Biveno, ma essendo io piemontese non è facile fregarmi.
Che sia o no Biella, la cosa che mi ha incantata di questo romanzo è la naturalezza con cui i vampiri di Aislinn abitano la provincia italiana, come se non vi fosse mai stata Transilvania alcuna e da sempre si muovessero in Piemonte. Sono perfetti, meravigliosamente adattati a interagire con il sottobosco culturale dei metallari/giocatori di ruolo di cui anch'io, anche se non molto metallara, faccio parte.
Leggendo da una parte mi sembrava di rivivere la mia vecchia campagna di gioco di ruolo di Vampiri (Vampiri a Novara nel nostro caso). Dall'altra parte era così facile tornare alla me stessa di qualche anno fa, a certe amicizie, a certi pub, e sentire quasi che forse in quegli anni un vampiro vero avrei potuto averlo sfiorato, tanto Aislinn riesce ad ancorarli a quella realtà.
Sicuramente, leggendo questo romanzo, su di me ha giocato un po' l'effetto nostalgia, la sensazione di leggere una vicenda fantastica ma, per assurdo, così vicina al mio vissuto che quasi avrebbe potuto essere vera.
Poi però c'è la prosa. Diciamocelo chiaramente, la prosa del fantasy, sopratutto quello tradotto, è spesso sciatta. Bruttarella. Ci sono libri che ho amato, perché comunque a me il fantastico piace, ma che ho chiuso con un sospiro che diceva "se solo fosse stato scritto meglio". C'è anche quest'idea che solo perché un romanzo è leggero, è dichiaratamente d'intrattenimento, deve essere scritto in modo semplice. Aislinn sa scrivere in modo elegante. È un piacere da leggere. Perché "scorrevole" e "leggero" non vuol dire "piatto".
Né a Dio né al Diavolo è stato il mio "libro da vacanza", quello che mi ha portato con la testa altrove, facendomi uscire dai ritmi mentali dell'anno scolastico.
È esattamente quello che la copertina promette, una storia con i vampiri e i metallari nella provincia piemontese. Forse non è quella che con spocchia viene definita "alta letteratura". Però funziona alla grande. E ha una prosa che si legge con piacere.
Uno di quei libri che non cambia la vita, ma che si chiude con dispiacere e di cui si aspetta un seguito quanto prima.
L'angelo dell'autunno
Era da un po' di tempo, invece, che aspettavo il momento giusto per recensire L'angelo dell'autunno.
Davide Camparsi l'ho conosciuto grazie al Trofeo Rill è mi è subito sembrato un Autore. Uno di quelli da tenere per d'occhio e di cui poter dire, al momento giusto "io l'ho conosciuto quando ha iniziato". Perché non è bravo, di più.
Ho preso il libro a scatola chiusa e non mi aspettato, in tutta sincerità, un fantasy-fantasy. Di quelli in un universo altro, con regole loro proprie. Chissà poi perché mi aspettavo fantascienza o un urban fantasy.
Beh, se Aislinn mi ha dimostrato che i vampiri a Biella Biveno ci stanno benissimo, Davide mi dimostra che anche gli italiani il fantasy-fantasy lo sanno scrivere.
Qui siamo in un inizio di saga. Un mondo (una parte di mondo) fatta a cerchi concentrici, in ciascuno dei quali è sempre, perennemente, una stagione. Ovviamente l'Inverno è il posto dei reietti, dove c'è solo freddo e sofferenza, mentre via via che si va verso il calduccio aumenta la qualità della vita e, suppongo, lo status sociale. Solo che non sempre le cose sono state così e, guarda, caso, la scrittura e la lettura sono proibite proibitissime. Siamo solo al capitolo uno, ma è evidente che le cose non sono semplici come appaiono.
L'impianto narrativo, devo dire, è molto classico. C'è un ragazzo che si trova nei guai, ma a ben vendere è forse il prescelto. C'è un gruppo di avventurieri, disillusi agenti dello status quo, in cui il ragazzo capita e c'è una missione, che probabilmente non è la cosa più giusta del mondo da portare a termine.
C'è, però, un gran lavoro di caratterizzazione dei personaggi e la capacità di creare il "sapore" dell'atmosfera. L'angelo dell'Autunno è uno di quei libri in cui ci si immerge e che tengono desto il nostro senso del meraviglioso e dell'avventura.
Anche in questo caso, uno di quei libri di cui si aspetta con ansia il seguito.
Questi due romanzi, poi, sono scritti non sono da autori italiani, ma da autori che conosco di persona, ed è sempre strano leggere le pagine di chi così facilmente immagini alla tastiera, intento a scriverli.
Da un lato sono libri che si leggono con uno strano senso di competizione, persino con un occhio più critico. Perché diventiamo terribili, noi autori italiani, quando leggiamo altri autori italiani e ci inoltriamo nello stesso genere che bazzichiamo anche noi.
Dall'altro c'è la paura della delusione. Quel "E poi lo incontro e se il libro non mi è piaciuto? Lo dico, non lo dico, ignoro?"
Ecco, questi sono due libri che mi hanno fatto dimenticare i loro autori. Mi hanno fatto entrare nella storia, mi hanno portato con i loro personaggi e che siano "fantasy a km0" lo ricordo adesso, non mentre li leggevo. Se la giocano con molti best seller internazionali, alla faccia di chi dice che il fantasy non è roba nostra.
Anche se non leggo fantasy o meglio non spesso, questo post mi è piaciuto tanto e ho trovato curioso che entrambi i libri dello stesso genere abbiano nel titolo una presenza celeste: Dio e gli angeli.
RispondiEliminaIl fantasy ha per sua natura del sovrannaturale, nulla di strano che si giochi anche con elementi celesti, gli angeli e i diavoli, variamente intesi, sono abbastanza comuni
EliminaTi piace anche l'horror/fantasy nostrano?
RispondiEliminaConosci Alessandro Girola?
Ne ho letti alcuni ambientati fra il lombardo piemontese e devo dire che non hanno niente di meno di quelli ambientati a Salem
Come dice Guccini, "da Omaha a Tucson, gli americani ci fregano..."
ciao
Betty
Non lo conosco, me lo segno.
EliminaGrazie mille.