Dopo 15 settimane, eccoci alla fine di questo racconto.
Come prevedevo, la frammentazione non gli ha giovato, ma un manipolo di lettori coraggiosi ha seguito tutti gli sviluppi e a voi va il mio più sentito ringraziamento.
Questo è un racconto strano, come dicevo all'inizio. Parte come una storia disneyana di riscatto attraverso lo sport, ma è qualcosa di diverso e di più amaro. Per un V che diventa un grande atleta, un G, che avrà la sua onesta carriera sempre un passo indietro, ci sono tanti K e tante E che non ce l'hanno fatta. Spero che abbiano trovato comunque la loro strada nella vita.
E poi ci sono gli adulti, che spesso fanno del loro meglio, eppure non è detto che questo sia sufficiente.
EPILOGO
Sofia – Gennaio 2004
Non voleva dire niente. Potevano andare storte una marea di cose. Nessuno meglio di lui lo sapeva. Era la terza volta in cinque anni che si trovava in quella situazione e due volte le promesse non si erano realizzate. Beh, si concesse, non era proprio la stessa cosa. Questa volta sul podio del mondiale juniores due gradini su tre erano occupati dai suoi atleti, V. primo e G. terzo. Tra tutti e due gli avevano fatto perdere dieci anni di vita. G., con una mezza crisi di panico prima della gara e V. con quella sua maledetta mania di fare di testa propria, anche a costo di sbagliare e di finire quinto dopo il programma breve. Lo avrebbero fatto morire giovane quei due. Guardò il maledetto cagnolino di peluche che V. gli aveva affidato. Beh, almeno quella era l’ultima volta, il ragazzo aveva promesso che una volta approdato alla massima categoria avrebbe smesso di portarselo dietro.
Sospirò, più stanco che se avesse gareggiato lui. Due volte. Almeno adesso, mentre i suoi atleti andavano a cambiarsi e a fare il giro delle foto e delle interviste, avrebbe avuto il tempo per un panino.
– Y! – lo chiamò D. – Guarda chi è venuto a salutarci.
Dietro il suo collega c’era una giovane coppia. Lui era sui vent’anni, alto, bruno e con un accenno di pizzetto. Y. lo fissò interdetto, poi ne riconobbe gli occhi grigi.
– I! – esclamò.
L’adolescente spigoloso che ricordava era diventato un giovane uomo proporzionato, in grado, sopratutto, di mostrare quel piglio sicuro che una volta mostrava solo in gara.
– Cosa ci fai in Bulgaria? – chiese, stingendogli la mano con calore.
– Sono qui per lavoro, la mia ditta sta aprendo qui un nuovo stabilimento e io devo controllare che i macchinari siano montati a dovere. La mia ragazza è venuta a trovarmi per il fine settimana e non potevo perdere l’occasione di presentartela.
Così dicendo invitò la biondina a fare un passo avanti.
– A. – disse I. – Questo è Y., che una volta è riuscito a farmi diventare campione del mondo e poi ha raccolto i cocci quando sono andato in pezzi.
L’allenatore le diede un buon voto, anche se era un po’ troppo bassa e rotondetta per i suoi gusti, ma aveva uno sguardo buono, e I. si meritava tutta la bontà del mondo.
– Venite, andiamo a prenderci qualcosa da bere, prima che debba recuperare i due scapestrati – li invitò.
In pochi sorsi di caffè I. aggiornò i suoi vecchi allenatori sulla propria vita, il ginocchio che faceva male solo se lo forzava, i viaggi di lavoro e i propositi a lungo termine di A., che studiava lingue all’università. Non era la vita che Y. aveva immaginato per lui, ma era, ammise, comunque una vita.
– Hai fatto carriera – constatò.
I. si strinse nelle spalle.
– So cosa vuol dire la fatica, parlo bene inglese, sono abituato a viaggiare e non mi spaventa alzarmi presto – disse. – Sono tutte cose che davo per scontate, perché le fa anche quello che oggi è arrivato ultimo, ma a quanto pare nel vasto mondo esterno non è poi così comune per i ragazzi della mia età.
A., intanto, stava guardando il peluche appoggiato al tavolino del bar, ma non osava chiedere.
– È di quel pazzo che ha vinto – si giustificò Y. – È in grado di rimontare cinque posizioni con tre salti, ma se gli perdo il pupazzo è capace di fare una crisi isterica.
La ragazza sorrise.
– Lei è davvero come I. l’ha descritto.
Y. fece una smorfia.
– È il capitano di una nave in continua tempesta – citò A., mentre I. arrossiva per l’imbarazzo. – Non è il padrone del destino, ma se tutto dovesse andare storto, ci ha comunque insegnato anche a nuotare.
Sofia – Gennaio 2004
Non voleva dire niente. Potevano andare storte una marea di cose. Nessuno meglio di lui lo sapeva. Era la terza volta in cinque anni che si trovava in quella situazione e due volte le promesse non si erano realizzate. Beh, si concesse, non era proprio la stessa cosa. Questa volta sul podio del mondiale juniores due gradini su tre erano occupati dai suoi atleti, V. primo e G. terzo. Tra tutti e due gli avevano fatto perdere dieci anni di vita. G., con una mezza crisi di panico prima della gara e V. con quella sua maledetta mania di fare di testa propria, anche a costo di sbagliare e di finire quinto dopo il programma breve. Lo avrebbero fatto morire giovane quei due. Guardò il maledetto cagnolino di peluche che V. gli aveva affidato. Beh, almeno quella era l’ultima volta, il ragazzo aveva promesso che una volta approdato alla massima categoria avrebbe smesso di portarselo dietro.
Sospirò, più stanco che se avesse gareggiato lui. Due volte. Almeno adesso, mentre i suoi atleti andavano a cambiarsi e a fare il giro delle foto e delle interviste, avrebbe avuto il tempo per un panino.
– Y! – lo chiamò D. – Guarda chi è venuto a salutarci.
Dietro il suo collega c’era una giovane coppia. Lui era sui vent’anni, alto, bruno e con un accenno di pizzetto. Y. lo fissò interdetto, poi ne riconobbe gli occhi grigi.
– I! – esclamò.
L’adolescente spigoloso che ricordava era diventato un giovane uomo proporzionato, in grado, sopratutto, di mostrare quel piglio sicuro che una volta mostrava solo in gara.
– Cosa ci fai in Bulgaria? – chiese, stingendogli la mano con calore.
– Sono qui per lavoro, la mia ditta sta aprendo qui un nuovo stabilimento e io devo controllare che i macchinari siano montati a dovere. La mia ragazza è venuta a trovarmi per il fine settimana e non potevo perdere l’occasione di presentartela.
Così dicendo invitò la biondina a fare un passo avanti.
– A. – disse I. – Questo è Y., che una volta è riuscito a farmi diventare campione del mondo e poi ha raccolto i cocci quando sono andato in pezzi.
L’allenatore le diede un buon voto, anche se era un po’ troppo bassa e rotondetta per i suoi gusti, ma aveva uno sguardo buono, e I. si meritava tutta la bontà del mondo.
– Venite, andiamo a prenderci qualcosa da bere, prima che debba recuperare i due scapestrati – li invitò.
In pochi sorsi di caffè I. aggiornò i suoi vecchi allenatori sulla propria vita, il ginocchio che faceva male solo se lo forzava, i viaggi di lavoro e i propositi a lungo termine di A., che studiava lingue all’università. Non era la vita che Y. aveva immaginato per lui, ma era, ammise, comunque una vita.
– Hai fatto carriera – constatò.
I. si strinse nelle spalle.
– So cosa vuol dire la fatica, parlo bene inglese, sono abituato a viaggiare e non mi spaventa alzarmi presto – disse. – Sono tutte cose che davo per scontate, perché le fa anche quello che oggi è arrivato ultimo, ma a quanto pare nel vasto mondo esterno non è poi così comune per i ragazzi della mia età.
A., intanto, stava guardando il peluche appoggiato al tavolino del bar, ma non osava chiedere.
– È di quel pazzo che ha vinto – si giustificò Y. – È in grado di rimontare cinque posizioni con tre salti, ma se gli perdo il pupazzo è capace di fare una crisi isterica.
La ragazza sorrise.
– Lei è davvero come I. l’ha descritto.
Y. fece una smorfia.
– È il capitano di una nave in continua tempesta – citò A., mentre I. arrossiva per l’imbarazzo. – Non è il padrone del destino, ma se tutto dovesse andare storto, ci ha comunque insegnato anche a nuotare.
SULLE LAME DELLA STORIA.
Siamo arrivati alla fine. Qualcuno è partito, qualcuno è tornato a casa, qualcuno è diventato campione del mondo. Tutti loro hanno lasciato l'infanzia e gran parte della loro innocenza.
Grazie di cuore a chi è arrivato fin qua.
Temo che a una parcellizzazione come quella che gli hai imposto nessun racconto, per quanto ben fatto, sopravviva. È vero che nelle fanfiction succede anche di peggio, ma lì ti reimmergi con più facilità, credo, perché conosci lo sfondo (e comunque preferisco leggere fanfiction brevi, di poche puntate e già complete quando le leggo). Qui lo sfondo è tutto nuovo, e ogni volta uno lo deve recuperare e magari ha le idee confuse con tutti quegli I, Z, V, C, K e non so che altro. Quella delle lettere non sono sicura che sia stata una grande idea, tanto più che i personaggi in origine avevano un nome e ogni tanto qualcuno di quei nomi ti è sfuggito.
RispondiEliminaComunque, dopo aver smoccolato i primi episodi sperdendomi a ogni nuova puntata ho piantato tutto lì in attesa della conclusione, e ieri sera mi sono rifatta dall'inizio e ho letto tutto DI FILA.
E ho visto che, letto di fila, funziona benissimo. Passate le prime due-tre puntate ero completamente immersa nella storia e ignara di quel che mi succedeva intorno, e anche il gran problema delle iniziali non mi creava più alcun fastidio.
Al termine della lettura il mio giudizio è totalmente positivo... con l'unica eccezione dei tuoi commenti: a me in effetti non sembra che quei ragazzi facciano niente di particolare, considerate le circostanze davvero particolari in cui si trovano: E prova disperatamente a scappare dalla sua gabbia dorata e a prendere in mano la sua vita, e per una ragazza nella sua situazione giocare la carta della gravidanza precoce è un classico; alla fine è costretta a prendere il tiro per le corna, ma insomma ce la fa e l'importante è quello. Si pentirà? A occhio mi sembra improbabile, è troppo stufa di tutto l'insieme.
Quello che davvero fa delle scelte "sbagliate" è K, ma è avvolto e perseguitato da tali e tanti demoni che non so come potrebbe uscirne bene. Sotto questo aspetto è il punto (leggermente) debole dell'insieme, perché rimane per buina parte del tempo sullo sfondo, nel suo Ruolo Standard di Eterno Rompino che non gli sta mai bene niente, e il lettore, come i protagonisti, non prova la minima empatia per lui - e la sua scelta finale finisce dunque per risultare un po' forzata, mentre il corso delle intenzioni di E e di V è molto più chiaro da seguire.
Tutto questo, naturalmente, IMHO, insomma un parere e niente più. Però l'ho letto molto volentieri ^_^
Scusa gli errori di battitura, col tablet combino un po' di pasticci 😓
Grazie davvero per questo commento così dettagliato! Sono davvero felice che tu sia riuscita a leggere e ad apprezzare questo racconto, nonostante i nomi tagliati e la divisione in parti!
EliminaPer quanto riguarda K, lui è un personaggio visto solo "da fuori" e nasce da una mia riflessione da prof: non è che a volte l'oggettiva antipatia di un ragazzo non mi permette di coglierne una reale sofferenza? Y si spende moltissimo per V (e anche per K), lo va a prendere in Siberia, se lo porta a casa. Pur volendo lavorare con coscienza, nei confronti di K si spende molto meno, considerandolo più forte. È una colpa, non lo è? La questione è aperta.
Questo è un tema molto interessante: siccome sei antipatico nessuno ti fila, ma puoi soffrire quanto e più di qualsiasi altro, magari molto più simpatico - anche perché quando sei simpatico tutti ti aiutano più volentieri, e questo ho potuto vederlo anche durante la mia malattia. Era un bel tema, e forse meritava più spazio, in effetti. Magari puoi trattarlo più a fondo in qualche testo successivo, se non ti viene l'orticaria solo a pensarci - credo sia un bel banco di prova per esercitarsi, se uno cerca un tema rognoso da affrontare.
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