È difficile che si incontri un autore perché parla proprio di una cosa che non ci piace.
Eppure il mio incontro con Vittorio Zucconi è stato proprio così.
Sono da sempre di quegli italiani che seguono il calcio solo per i mondiali e più che altro per fare conversazione. Così, in occasione di un qualche mondiale della mia adolescenza, quale non ricordo, ho iniziato a leggere qualcosa sul giornale che circolava per casa, La Repubblica. E mi sono imbattuta negli articoli di Vittorio Zucconi che rimarrà per me colui che mi obbligato a guardare almeno i risultati delle partite per capire di cosa parlasse. Perché le parole di Zucconi, la sua ironia piena di buon senso, mi hanno stregato e ho iniziato a leggere quasi qualsiasi cosa scrivesse, compresi gli articoli sul calcio. Ricordo che in Erasmus usavo la mia ora quotidiana di connessione per leggere una serie di blog, tra cui il suo, dedicato in gran parte al calcio.
Naturalmente dal calcio sono passata a leggere Zucconi anche su argomenti un po' più seri e, in tempi più recenti, ad ascoltarlo alla radio. Proprio su radio Capital, a modo suo, aveva informato gli ascoltatori sulle sue condizioni di salute, parlando di un "lungo, speriamo lunghissimo, ultimo viaggio verso l'Ovest". La sua apparente leggerezza non mi aveva ingannato neppure per un istante (le dirette che da giornaliere si erano fatte saltuarie mi avevano già detto tutto), ma ne ho ammirato tantissimo il coraggio.
Di lui, però, mi rimane un ricordo particolare, legato a un libro, preso in biblioteca quando avevo diciassette o diciotto anni, Gli spiriti non dimenticano
Non lo prendo in mano da allora, eppure è uno di quei libri apparentemente non così memorabile e che, pure, rimane impresso a così tanti anni di distanza.
Vado a memoria in questa mia quasi recensione, quindi abbiate pietà.
Gli spiriti non dimenticano racconta in uno stile che è a metà tra l'inchiesta giornalistica e il romanzo, la vita del capo Sioux Cavallo Pazzo.
Ricordo che ciò che mi era rimasto impresso era proprio l'approccio. Zucconi non finge di essere altro che un giornalista italiano. Il suo lavoro di documentazione è stato minuzioso, ma il suo sguardo è non può essere diversamente, quello di un europeo, lontanissimo dalla realtà degli indiani delle grandi praterie. Si sforza di immaginarsi come doveva essere la vita, come dovesse essere il sentire di quelle genti (ricordo in particolare un passaggio su quanto dovesse essere bello essere bambini tra i sioux) ma quando questo sforzo di immaginazione diventa eccessivo non lo forza. Cavallo Pazzo era un capo ma anche uno sciamano. L'aspetto religioso agli occhi della sua gente era più importante di quello militare. Cosa significasse davvero essere uno sciamano, anzi un "uomo strano", Zucconi non lo sa. Non tira a caso. Non inventa. Lì si ferma la parte romanzata. Riporta affermazioni di chi ne sa più di lui, ma ammette il limite oltre al quale non può spingersi.
Questo libro, letto da ragazza, mi ha aperto un mondo. Di lì a poco mi sarei appassionata, sia pure senza mai approfondire oltre un tot, alla storia dei nativi americani. Ma mi ha anche insegnato un metodo.
Non si può fingere di essere ciò che non si è. L'immedesimazione porta a rendere vividi sulla pagina personaggi diversissimi da noi e tuttavia esiste un limite oltre cui non ci si può spingere.
Ne Gli spiriti non dimenticano c'è un tentativo di ricostruzione non solo della storia, ma anche della psicologia e dei pensieri di Cavallo Pazzo. Fin dove è possibile a un giornalista italiano. Non di meno, non di più.
Vittorio Zucconi era ironico fino ad essere provocatorio. Sapeva fare il suo mestiere, che era il giornalista. Raccontava ciò che sapeva e su questo esprimeva delle opinioni, a volte trancianti. Ma si fermava sempre prima di fare un passo in terra incognita e sentenziare su ciò che non conosceva.
Per questo, più di qualsiasi altra cosa, mi mancherà moltissimo.
Mio marito ha un'altra edizione, ha solo copertina diversa ma ovviamente stesso valore e infatti l'ha apprezzato tanto. Manca, manca un sacco Zucconi in questi giorni bui ancora di più. Avrei tanto voluto sentire le sue analisi post elezioni.
RispondiEliminaAvrei voluto avesse avuto più tempo, ecco. Ha fatto parte della mia formazione e la sua mancanza mi rattrista. Se devo essere sincera lo preferivo quando non parlava di politica, i toni più distesi rendevano un miglior servizio alla sua intelligenza.
EliminaManca, sì.
RispondiEliminaHo ascoltato Zucconi su Radio Capital per anni durante i lunghi viaggi per lavoro, avendo io idee politiche diverse dalle sue ed avendo lui uno stile decisamente provocatorio, capitava spesso che mi trovassi in profondo disaccordo con le sue analisi. Quando ho saputo della sua scomparsa sono rimasto basito e senza rendermene conto ho sentito gli occhi lucidi. Ho capito che alla fine questo signore dalla voce profonda era diventato come quell'amico del bar con cui, quando si affrontano certi argomenti, ci si manda cordialmente ed affettuosamente a stendere, ma che alla fine rispetti e che quando non c'è più lascia un vuoto importante!
RispondiEliminaLo Zucconi analista politico è stato per certi versi l'ultimo che ho conosciuto. Siccome sono vecchia dentro la musica di radio Capital mi piace assai e quando ho scoperto che era lui che la dirigeva mi è piaciuta ancor di più. Per me Zucconi era quello che scriveva di calcio e del suo cane Max, di come si vivesse in Russia e negli Stati Uniti, quello della rubrica settimanale sui fatti assurdi degli USA. Il narratore arguto del suo presente e a volte del passato. Questi aspetti mi mancheranno più di tutti. Come giornalista politico gli rimproveravo i toni troppo accessi, i giudizi troppo trancianti, la scarsissima pazienza con chi non la pensava come lui. Ma mi mancherà anche quello.
EliminaHo letto pochi anni fa Gli spiriti non dimenticano, senza conoscere lo Zucconi giornalista. Mi è piaciuto molto.
RispondiEliminaSì, è molto bello
EliminaHo stimato molto Zucconi, era un grande professionista e lascerà una traccia indelebile di tutto ciò che ha scritto.
RispondiEliminaHo quel libro "Gli spiriti non dimenticano" nel repertorio di testi che mi servirono per la tesi di laurea. Molto bello, indice di grande conoscenza e sensibilità verso il popolo dei nativi americani.
Ho anche "Stranieri come noi", che mi capita di prestare agli alunni.
Mentre scrivevo il mio pezzo, pensavo: "chissà, Luz è una vera esperta dell'argomento, magari lo smonta". Sono felice di leggere che è piaciuto anche a te.
EliminaE poi "Stranieri come noi" è un classico per noi insegnanti di lettere delle medie.