Per molto tempo ho scritto ben ancorata a dei generi codificati. Il giallo, il fantasy. Al limite, la fantascienza. Il genere mi dà sicurezza, mi sento protetta dalle regole, i luoghi comuni sono, appunto, luoghi conosciuti in cui si torna volentieri. Il giallista torna sempre sul luogo del delitto. Amo sottogeneri ancora più codificati, il giallo sherlockiano, che ha regole sue proprie ancora più stringenti (sbagliate di un anno o, in alcuni casi, di un mese e rischiate il linciaggio da parte degli appassionati).
Non so esattamente quando ho iniziato a sentirmi stretta nei confini dei generi.
A volte sono io che ancora li ricerco, come quando progetto racconti sherlockiani, ma sempre di più i paletti hanno iniziato a stancarmi. I miei detective hanno preso a fuggire un po' ovunque senza alcuna voglia di correre dietro ai criminali, i miei eroi(?) fantasy hanno lasciato arrugginire le spade.
Forse era tempo di provare altro.
Forse semplicemente questa storia è venuta a bussare adesso perché sapeva che la porta sarebbe stata aperta.
Non è stato un percorso semplice, né lineare, né indolore.
A oggi sono piuttosto preoccupata per quello che sto scrivendo perché io non so dargli una collocazione. Il fatto che la protagonista abbia sedici anni dubito che possa renderlo automaticamente uno YA.
Non solo non ha più senso, quindi, fare un post sulle regole della scrittura, ma ha senso farlo sull'infrangere le regole della scrittura.
LE REGOLE SCRITTOREE CHE STO INFRANGENDO.
1 – La struttura in tre atti
Di tutto questa è sicuramente la cosa più grave e, per me, più preoccupante. Perché la struttura in tre atti non è solo una regole di scrittura, ma è proprio il format narrativo più comprensibile dal nostro cervello. Puoi girarlo, rovesciarlo e manovrarlo come vuoi, ma rimane il fatto che è più facile collocare gli eventi dell'Odissea, sia secondo la fabula che secondo l'intreccio, di quelli Iliade, perché l'Odissea ha una struttura in tre atti più definita dell'altro (che comunque ce l'ha). Quindi maneggiare una storia che non stia dentro uno stampo narrativo millenario mi preoccupa.
La storia fa, la storia decide, però.
La protagonista ha sedici anni e va a scuola, quindi ci si aspetta una narrazione che segua il calendario scolastico, come fanno i libri di Harry Potter, da settembre a giugno. Però gli altri personaggi importanti girano tutti intorno a una squadra di sport invernale, il cui calendario agonistico fa da agosto a marzo. E se magari potrei anche spostare i mondiali della disciplina, ma di un mese, non di due, le olimpiadi, juniores o senior che siano, invernali a maggio/giugno non sarebbero credibili. Non lo sarebbero.
Da questa cosa non ne esco. Poiché alcuni eventi della trama dipendono dal calendario agonistico e altri da quello scolastico e il Natale, le Olimpiadi e la Pasqua, ahimè, hanno una fluttuazione scarsa o nulla, non riesco a intortare la storia nella forma più congeniale.
Quindi il "momento di massima difficoltà", che dovrebbe stare a ridosso della fine, resta a febbraio, dando a tutto il romanzo un'andatura strana e anticonvenzionale che, in realtà, era voluta solo fino a un certo punto.
2 – Narratore e narratario
Nel caso in cui una narrazione sia in prima persona, la mia lo è, bisogna pensare a perché qualcuno racconta la storia e a chi la sta raccontando. Ho pensato a varie cose, qui, dal diario al blog, ma non erano credibili. Anche se alcuni miei alunni davvero tengono un diario, non penso che la mia protagonista potrebbe farlo. Quindi siamo nel campo del flusso di coscienza ingiustificato. Alcuni eventi avvengono in una sorta di presa diretta, altri invece sono pensato a posteriori. I capitoli sono sostituiti da una scansione temporale. Ogni parte è un mese, ogni capitoletto è una sequenza temporale. Così alcune giornate durano venti pagine e altre mezza.
3 – Le regole del YA
A livello editoriale so già che sarà questa la cosa che mi fregherà. Nel senso che se hai protagonisti adolescenti devi scrivere per adolescenti. Io non sono del tutto sicura che questa sia una storia pensata per adolescenti. Di sicuro parte seguendo le regole del YA, ma poi devia. L'inizio è quanto di più standard ci sia. Una ragazza si trasferisce in una nuova città e conosce nuova gente. Ma non c'è il bello e dannato e il bello/amichevole/rassicurante tra cui scegliere (nei romanzi vince sempre il bello e dannato). Anzi, in realtà la storia d'amore, che pure c'è, è la cosa che in assoluto fila più liscia. Non è quello proprio il cuor della storia. In compenso, visto che hanno sedici anni pensano molto a quello che possono fare da soli in una camera da letto, a quello che è già successo e a quello che magari succederà o non succederà. Questa è la prima storia che io abbia mai scritto, beve o lunga, in cui compaia la parola "preservativo".
4 – Le regole della storia sportiva
Volendo questa poteva almeno essere una storia sportiva. C'è qualcuno che ha del talento, ma bassa autostima, parte da una posizione svantaggiata, trova un allenatore su cui all'inizio nessuno scommetterebbe e... beh, Karate Kid lo abbiamo visto tutti.
Allora, c'è una ragazza con una bassa autostima, che però non fa sport e continua a non fare sport. Ci sono altri ragazzi che invece lo sport lo praticano. C'è un allenatore che ci prova davvero, ma è alle prime armi, ha anche problemi suoi, fa un sacco di errori... E non sono sicura che alla fine ci sia la catarsi vittoriosa. La mia visione dello sport è sempre ambigua e ambivalente. A me praticare sport agonistico ha fatto un sacco di bene, ad altri ha rovinato la vita. E quindi niente, ci siamo giocati anche le regole della storia sportiva.
5 – Usare e dosare con consapevolezza il proprio vissuto
Con consapevolezza, certo.
Quindi l'altro giorno mi sono ritrovata a dire a una persona che "forse" riconoscerà qualcosa dei tempi in cui io praticavo sport e lui era l'allenatore in seconda. Forse, eh. E in quel momento esatto mi sono resa conto che ho cambiato lo sport, il contesto, l'ambientazione, ma un personaggio si chiama esattamente come la ragazza che entrambi abbiamo conosciuto. E in realtà non era quella la cosa di cui volevo parlargli e che forse avrebbe riconosciuto. Consapevolezza, questa sconosciuta.
Intanto, però, la storia prosegue e prosegue anche la vita.
Ho scritto questa storia immaginandola ambientata in questo anno scolastico e sportivo, quindi con qualche mese di anticipo sulla realtà.
È iniziato ottobre, uno dei mesi che trovo più belli dell'anno, anche se lo trascorro quasi interamente a scuola. Quindi vi regalo uno spezzone di ottobre montano visto dalla mia protagonista.
Non ero mai stata in montagna a ottobre. Chi ci andrebbe mai, finita la calura che ti spinge in quota e prima della neve? Quindi non li avevo mai visti i colori delle foglie contro il cielo terso. Le betulle hanno un giallo quasi paglierino, gli aceri sono rossi, ma di un rosso abbagliante, diverso da quello tra l’arancio e il ruggine dei faggi. Questi ultimi, decido, sono le mie piante preferite. Con i loro tronchi grigi e dritti hanno l’eleganza degli alberi di Lorien del Signore degli Anelli, piante per creature privilegiate. Quando ci si passa sotto, le foglie formano un fruscio di cui puoi, quasi, distinguere le note. Sopra, il cielo è terso, percorso dal vento che ha già portato, nei giorni scorsi, le nubi a scaricare la neve sulle vette. Che cosa strana, penso. La montagna non può essere un ambiente ospitale per l’uomo. Un minimo di istinto di sopravvivenza dovrebbe portare la nostra specie a trovare bello ciò che meglio le si adatta (quindi, considerata la nostra storia evolutiva, la savana, forse), non un luogo ostile come la montagna poco prima che arrivi l’inverno. Eppure adesso mi sembra che chiunque non abbia visto le Alpi in certi giorni di ottobre si sia perso qualcosa di vitale.
Il lago è una spettacolo di riflessi. Un mondo amplificato in cui si duplicano i colori dell’autunno e che appartiene a noi soltanto. Arrivati sulla riva, Aleksej non si ferma neppure. Getta lo zainetto sull’erba, toglie le scarpe e le calze, slaccia le cerniere sui polpacci dei suoi pantaloni tecnici da corsa, li rimbocca fino al ginocchio e prosegue nell’acqua bassa.
– Venite, è bellissimo! – grida, alzando una mano per farci segno di entrare.
In tre lo guardiamo come fosse un alieno.
– Sapete, viene da un posto in cui i mammut sono morti congelati – commento, un po’ incredula.
Quanto è vero quel tuo prosegue la storia e prosegue anche la vita è pure l'amore x ottobre. Sento tutto molto condivisibile e pure io adoro ottobre. Il tuo brano mi piace molto sul serio e come te col mio YA ho infranto mille regole ma caspita quanto mi sono divertita nel mentre. Tra l'altro con una mossa un po' azzardata ad agosto ho chiesto via mail a un editore se lo ritenesse adatto x le sue collane, raccontando in 2 righe in cuore della storia. Poi presa da altro davvero mi ero dimenticata della faccenda e ieri mi ha risposto che è interessato di mandare il testo. Mi sono lanciata con una prima stesura molto riletta e modificata ma forse ancora grezza.
RispondiEliminaPerché ora come ora non ne posso più di regole scrittoree che non portano da nessuna parte. Vedremo. Tu continua cosi se posso permettermi di dirtelo.
Vedremo...
EliminaAl momento non ho davvero idea di cosa fare di questa storia, so che non voglio lasciarla nel cassetto perché ci sono parecchie cose importanti per me, dentro. Vedremo...
Le regole sono fatte (anche) per essere ignorate; le esigenze dell'editoria, d'altra parte, sono imponderabili. Tanto vale scrivere come si sente giusto e incrociare le dita.
RispondiEliminaInfatti, il ragionamento è stato più o meno quello. Intanto si scrive.
EliminaA volte la regola è che "non ci sono regole", a volte nello scrivere bisogna ascoltare solo il proprio cuore o il proprio istinto.
RispondiEliminaSuppongo di sì, vediamo cosa ne esce fuori...
EliminaAh, le regole, le regole... ci sono delle regole perfino sui modi di rompere le regole, si sa. Ma a volte non di "regole" si tratta, quanto di "convenzioni" - per esempio quella per cui negli YA non si fa sesso, per non scandalizzare il borghese. Adesso, perché negli anni 70 e primi 80 invece si poteva.
RispondiEliminaInvece mi interessa la questione della narrazione. Non credo sia un problema di "perché" ma di "quando". Chi racconta sa com'è andata a finire la storia o la vive in diretta? La vive in diretta, mi par di capire. Ma c'è tutta una tradizione letteraria in merito, che comprende sia il Werther che Hunger Games che l'Ulisse di Joyce. Piuttosto, a che punto sei? Un quarto, un terzo, sette ottavi?
Sì, c'è tutta una tradizione, però è una trasizione che mi appartiene poco e quindi mi ci muovo più a tentoni. La storia si sviluppa in 9 parti/mesi (una gestazione, proprio...) e sono all'ottavo. Si tratta però di un mese denso di avvenimento non tutti ancora chiarissimi nella mia testa, quindi la scrittura è un po' rallentata, mentre i primi 4/5 sono arrivati proprio di getto.
EliminaGià mi piace. Mi piace questa consapevole destrutturazione.
RispondiEliminaIl brano è molto godibile, bello.