giovedì 26 settembre 2013

Come sopravvivere a un concorso letterario


In quest'anno ho partecipato a tutta una serie di concorsi letterari, per lo più da concorrente, ma non solo. Sperando di sopravvivere anche a GialloLuna, di cui domani sera, a Ravenna, saprò i risultati, ho pensato di buttar giù qualche non esaustivo pensiero.

Perché un concorso letterario?
Le opere artistiche sono per definizione uniche e quindi non confrontabili e la narrativa non fa eccezione. Per contro i concorsi in ambito letterario esistevano già nell'antichità. A volte si ha un racconto o un romanzo che sembra fatto apposta per un dato editore e non si deve far altro che farli incontrare (cosa comunque non facile), a volte si fa davvero fatica a farsi notare. Un concorso garantisce se non altro tempi stabiliti e, si spera, una giuria di qualità.

Prima di partecipare
Leggere bene bene bene il regolamento. Sembra banale. 600 opere non ammesse (su 2000) in un concorso per romanzi perché non aderenti ai parametri richiesti (generi non ammessi, opere non inedite, opere che non erano romanzi...) mi fanno pensare che sia bene ribadire il concetto.
Chiederci se davvero ci piacerebbe vincere. È un gioco, e se dobbiamo giocare, facciamolo in grande. Se abbiamo un racconto valido, che abbia la possibilità di essere pubblicato con Mondadori e non con Edizioni La Salsiccia. Se non vinciamo, prendercela con Mondadori o La Salsiccia è uguale. L'importante che sia gratis o quasi (il mio budget personale è di 10€, non a concorso, all'anno)

Da ripetersi durante l'attesa
Un concorso è una gara. Vince la performance, non l'autore. Un racconto svela solo una porzione della propria anima e delle proprie capacità autoriali. Vincere un concorso per racconti da 1000 battute non significa essere grandi scrittori. Allo stesso modo non vincere non significa essere inetti. Da atleta ho visto spesso il concorrente oggettivamente meglio preparato e più forte perdere o ritirarsi, per un infortunio, un malessere, una gestione sbagliata, una scarpa slacciata, una curva fangosa, il sudore negli occhi... Allo stesso modo al vostro racconto può essere accaduto di tutto, può non entrare in finale per un punto, aver trovato un giurato a cui proprio non piace...
Ai concorsi, specie a quelli che hanno una solida fama, partecipa un sacco di gente, la media è circa 200. Di questi solo 10 o 5 arrivano in finale.
Non legate la vostra autostima a un singolo racconto in un singolo concorso. Questo, è ovvio, è un consiglio che io non ho seguito. Ho iniziato a scrivere all'università e ho partecipato al concorso dell'Ateneo. Mi ero ripromessa che se non avessi vinto non avrei più scritto. Mio padre ha detto che una vittoria era talmente improbabile che se si fosse verificata mi avrebbe pagato la cena nel ristorante più costoso della città. Ecco, sono ancora qui. E da Pinocchio, a Borgomanero, si mangia proprio bene...

E se si arriva in finale?
Ecco, qui metto in campo la mia esperienza personale. È innegabile, fa più male arrivare nei 10 o nei 5 e non vincere che sapersi persi insieme agli altri 195. Ma se si arriva in finale vuol dire che qualcuno ha amato la vostra opera. Si è fatta notare, qualche giurato ha creduto in lei, magari ha anche litigato perché entrasse nella rosa dei finalisti. Insomma, ha già fatto quello che è il suo lavoro di narrazione: si è impressa nell'immaginario di qualcuno.
Il concorso è crudele e ingiusto. C'è un solo vincitore a prescindere dalla qualità dei finalisti.
Quindi la finale si festeggia, sempre, a prescindere.
Non vincere quando si è in finale è come perdere una volata. Ne ho un'idea abbastanza precisa, avendo praticato atletica per anni. Fa male, lo so che fa male. Ma, sinceramente, non è meglio essere secondo dietro a un campione che persi nel gruppo?
E comunque ripetetevi che vince la performance e non l'autore.
E a volte i premi sono meravigliosi ugualmente come nel caso di Giallo Stresa (a cui per altro il discorso non si applica, prevedendo comunque un'antologia, io penso piuttosto ai tanti concorsi in cui viene pubblicato solo il vincitore o quasi)

E se si vince?
Si paga da bere!

Qualche altro consiglio a casaccio
Va bene che è un gioco. Va bene che si partecipa così, per provare. Controllate comunque dove e quando si svolge la premiazione. Dopo tanta fatica sarebbe un peccato non riuscire ad esserci. Eh, sì, questo è un consiglio dato dall'esperienza.
Si sceglie il concorso in base alla visibilità che garantisce alla pubblicazione. Lo scopo è farsi leggere, mica collezionare coppe e targhe (che comunque saranno più eleganti di quelle che danno alle corse campestri). Meglio una pubblicazione con diffusione nazionale (vera, non millantata) che un premio di 1000 €, tanto neanche 1000€ bastano per campare (certo se c'è pubblicazione e premio in denaro e è anche gratuito, correte a iscrivervi, ne esistono anche così e sono pure seri).
Un concorso è una gara. Alcune tra le mie amicizie vere sono nate all'epoca in cui facevo atletica. C'erano le gare, ma anche gli spogliatoi in cui chiacchierare, il farsi coraggio prima della partenza, il consolarsi dopo l'arrivo. Adesso le scarpe chiodate sono in qualche scatolone non so neppure dove. Le coppe sono oggettivamente brutte, alcune fungono da fermalibri e sono un incubo da spolverare. Però i due amici veri ci sono ancora. Se uno è bravo e fortunato in un concorso letterario vince. Ma se è fortunato davvero, conoscerà qualcuno con cui valga la pena parlare.

E in ogni caso, il gatto ci farà le fusa e chi ci ama ci abbraccerà.
Per sopravvivere a un concorso letterario, in fondo, basta ricordarsi che è un gioco e va vissuto con un sorriso.


E un in bocca al lupo a tutti quelli che adesso sono coinvolti in un concorso letterario

4 commenti:

  1. Confesso che i concorsi mi danno una certa ansia. Forse è la competizione che mi dà fastidio, però il tuo punto di vista è giustissimo: va presa come un gioco.
    Personalmente ho partecipato solo a un paio di concorsi, il primo ero poco più che adolescente e sono incappata in una pagliacciata con richiesta di soldi finale x pubblicare. La seconda ho scelto un concorso serio (uno di quelli a cui hai partecipato anche tu) ma sapevo che era un vero azzardo perché il romanzo non rientrava totalmente nel genere richiesto.
    Forse non sono tipo da concorsi, in definitiva. Ma mai dire mai... può darsi che trovando quello giusto...
    PS Cmq il fiore è meraviglioso!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, i concorsi sono un gioco e anche un modo per darsi scadenze e vincere la pigrizia, dato che bisogna consegnare entro una certa data. Ho scoperto che mi piace molto scrivere racconti medio lunghi (30000 -40000) battute, una "dimensione" che ho provato proprio grazie a un concorso.

      E mi piace molto anche fotografare i fiori, anche se non ho né tecnica né mezzi adatti...

      Elimina
  2. Ho partecipato a tantissimi concorsi in passato, a volte è andata bene, altre meno. Ho smesso da quando ho cominciato (smesso/cominciato che schifo di frase mi sta uscendo!!) a dedicarmi quasi esclusivamente ai romanzi, ma ci riproverò. Occorre sondare davvero molto il campo perchè è un vero ginepraio e di bufale ce ne sono parecchie in giro. Il tuo decalogo è molto simpatico e ben scritto, goditi questo periodo di grandi abbuffate concorsifere.

    RispondiElimina
  3. Sappi che con tuo commento mi hai ispirato un post sulla differenza tra scrivere racconti e romanzi. Quindi doppiamente grazie!

    RispondiElimina