Recensione in ritardo, sia sull'uscita del film sia sulla visione, ma tra consigli di classe e collegi docenti si fa quello che si può...
In un futuro non troppo distante le calotte glaciali si stanno sciogliendo e le città sono protette dalle acque da altissime dighe. Oltre le dighe, nelle terre selvagge che, forse, presto saranno sommerse, un gruppo di irriducibili vive come moderni palafitticoli in un ritrovato contatto con la natura.
Tra loro c'è una bambina senza madre, con un padre affetto da una misteriosa malattia, che guarda il mondo con lo sguardo fiabesco e epico dei bambini. Attraverso i suoi occhi la sopravvivenza della comunità diventa epica e fiabesca, in un contesto dove lo squallore può sconfinare in ogni momento nel meraviglioso.
Il problema di Re della Terra Selvaggia è che ci vuole far piangere e usa ogni possibile arma per raggiungere l'obiettivo (a cui, sul finale, è difficile sottrarsi). Per raggiungere lo scopo cade in qualche semplificazione eccessiva e lo sguardo della pellicola è troppo indulgente verso una comunità di estremisti che, davvero, non può essere tutta feste, pesca di gamberi e solidarietà.
Quello che funziona e non può non colpire al cuore è lo sguardo della protagonista, dignitoso e, a modo suo, consapevole, con un rapporto con la natura genuino e non troppo buonista. Altrettanto riuscita è la costruzione di un mondo altro, squallido e bellissimo insieme, con una natura che, oltre le grandi dighe, si riappropria dei suoi spazi con arrogante magnificenza.
Un film che vale la pena di recuperare, senza tuttavia aspettarsi il capolavoro assoluto di cui si è parlato alla sua uscita.
7 e mezzo.
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