Fine settimana di clima autunnale, dedicato al recupero die film persi durante l'anno scolastico. Dopo A proposito di Davis, ieri sera è stata la volta di Dallas Buyers Club, pellicola per certi versi antitetica. Il primo era registicamente raffinato, concentrato nel ricreare un'atmosfera, ma con un protagonista di rara antipatia, questo punta invece tutto sul carisma del personaggio principale e sulla forza della storia in sé, senza curarsi troppo di qualche sbavatura qua e là.
Io ammetto la mia colpa, tra forma e storia scelgo la storia e quindi Dallas Buyers Club.
Ron, vero macho americano tutto rodeo, omofobia e belle donne, scopre di avere l'AIDS. Dopo l'incredulità iniziale e la difficile accettazione di una diagnosi che gli lascia 30 giorni di vita, si mette a studiare per cercare una cura. Prima ruba in qualche modo un farmaco in sperimentazione, che quasi lo ammazza, ma poi, in Messico trova qualcosa che sembra funzionare. Un po' per senso degli affari, un po' per empatia verso i disperati come lui, inizia a importare negli USA in modi più o meno legali tutto ciò che sembra avere un effetto, mentre le case farmaceutiche americane gli fanno guerra.
Vi sono, ovviamente, nella storia di Ron due aspetti che colpiscono. Su quello prettamente medico/farmaceutico i miei sentimenti sono contrastanti. Il sistema medico americano è descritto come un mostro, e con ogni probabilità lo è, ma il buon senso suggerisce che il "metodo Ron" funziona solo con un solido studio e serie consulenze mediche. Per ogni malato/famigliare di malato che ha trovato da solo una cura efficace ce ne sono altri mille che hanno solo finito per arricchire loschi giri, animando false speranze.
Quello che funziona senza se e senza ma, invece, è la parabola umana di Ron, omofobo che bolla l'AIDS come "malattia per checche" che finisce per trovare solidarietà proprio dalla comunità gay. Mentre gli amici di sempre lo abbandonano, è un transessuale a diventare suo socio e amico.
Se cercate la perfezione formale, dicevo, guardate piuttosto i Coen, qui le ingenuità non mancano sia a livello di regia (la scena delle farfalle sulla morte di Rayon, dal retrogusto stucchevole) sia di sceneggiatura (se un medico trova dopo anni un paziente a cui aveva dato 30 giorni di vita come può non esserne quanto meno incuriosito?), la sua forza e la sua intensità poggia interamente su personaggi e interpretazioni.
Sia McConaughey che Leto hanno vinto, strameritatamente, l'oscar. Per McConaughey (con l'augurio che non ci abbia lasciato anche la salute, oltre i 20 kg) credo che si parlerà sempre di un prima e dopo Dallas Buyers Club. Se il dopo è rappresentato dalla sua interpretazione in True Dedective allora, forse, ne è valsa davvero la pena.
Voto: 7 (8 alle interpretazioni)
Hanno parlato benissimo di questo film che, se non ricordo male, ha portato diverse nomination all'Oscar fra cui quella per Jared Leto ..Non l'ho ancora visto. Stasera magari me lo acchiappo in streaming. :)
RispondiEliminaOscar vinto sia per attore protagonista che non protagonista.
EliminaPS: solo io continua a noleggiare nell'ultima videoteca rimasta?
Io non noleggio più nulla dal 2006! :)
EliminaAlla fine ieri non sono riuscita a vederlo, perché ho fatto tardi scrivendo il post sulla gestione del tempo. Oggi riprovo: sarò più fortunata.
Vicino a casa mia c'è una delle poche videoteche sopravvissute. I gestori sono veri cinefili e fanno simpatia nella loro "guerra di resistenza"
EliminaQuesto l'ho mancato di un soffio al cinema, questo inverno.
RispondiEliminaMa recupero volentierissimo anche specie dopo il tuo post^^
Moz-
Penso che non te ne pentirai
EliminaQuello che mi è piaciuto di più di questo film è il non-stereotipo. Era molto facile farne una storia solo strappalacrime, visto l’argomento. Invece lui rimane se stesso fino alla fine, sia pure cambiando il suo modo di guardare il prossimo e andando oltre le apparenze. Bello anche per il valore dell'amicizia tra due opposti che più opposti non potrebbero essere. La recitazione dei due attori principali è di altissimo livello.
RispondiEliminaSì, qui funziona proprio il personaggio. Ho apprezzato anche la scelta di non raccontarne l'agonia, ma di sfumare sul ricordo.
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