lunedì 11 maggio 2015

I mille nomi e Il trono d'ombra – letture

Non mi era mai capitato di leggermi in una sorsata due tomoni (rispettivamente quasi 400 e 600 pagine) e avere l'impressione di aver letto un intrigante preludio. Affascinante, scorrevole e ben scritto, ma pur sempre un preludio.

Io ho un'idea precisa su ciò che ricerco in un fantasy moderno: un altrove che tenga desto il mio senso del meraviglioso, dei personaggi a tutto tondo, non privi di zone d'ombre, una vicenda non zuccherosa che mi riservi due o tre colpi di scena. 
Queste caratteristiche erano proprio quelle che tutte le recensioni a i  Mille nomi mettevano in luce.
L'ambientazione, in effetti, è di quelle che abbaglia e conquista in poche righe. I Mille nomi ci porta in un mondo vagamente napoleonico/tardo settecentesco, dove gli eserciti sono armati di moschetti e cannoni. Uno stato di sapore europeo ha colonizzato una nuova terra orientaleggiante, dove, però, l'arrivo di un nuovo credo religioso con conseguente guerra santa ha messo a dura prova i conquistatori. In questo contesto si inserisce pian piano una magia strisciante, fatta di presenze demoniache che si insinuano all'interno di persone più o meno consenzienti.
Poche righe e Wexler ha già solleticato il mio senso del meraviglioso e alzato l'asticella delle mie aspettative proponendomi un mondo polveroso, privo di eroi, dove ci sono sì ideali in conflitto, ma la ragione e il torto sono spesso solo una questione di prospettiva.
Dal punto di vista dell'ambientazione, è vincente anche quella del secondo romanzo, che ci porta in una sorta di Parigi all'alba della rivoluzione (chi ha un po' approfondito il periodo sarà deliziato dal vedere utilizzati in chiave fantasy alcuni elementi non notissimi).
Però...
I protagonisti sono subito simpatici, uomini e donne imperfetti, ma per cui è facile provare empatia. Tuttavia in un totale di quasi 1000 pagine, solo uno risulta davvero ben definito, Winter, donna soldato dal carattere tutt'altro che lineare. Solo in lei avvertiamo un autentico spessore, dei forti conflitti e motivazioni ben costruite. Tutti gli altri sono simpatici, certo, ma rimangono delle conoscenze superficiali, come persone con cui si è andati a cena fuori un paio di volte, ma nulla di più. Terminati i due romanzi ancora non ho capito se si sia trattata di una mancanza o di una scelta. Un autore che riesce a costruire una Winter, uno dei personaggi femminili fantasy più interessanti che abbia trovato negli ultimi anni, di certo sa costruire i personaggi! Particolare perplessità genera  Janus, il perno su cui ruota tutta la vicenda. Già il nome evoca un personaggio ambiguo e bifronte. Si presenta come stregone ed esperto di occultismo, ma lo vediamo agire solo come mago o stratega. La sua posa di serafica ironia è una maschera palese. Che tuttavia in due romanzi non si incrina mai. Da lettrice esperta, fiuto intorno a lui un mistero di cui, però, l'autore sembra essersi dimenticato e, ancora una volta, non saprei dire se è errore o calcolo.
Stessa perplessità la genera l'intreccio, che semina molto e raccoglie poco. Introduce nel primo romanzo personaggi di cui nel secondo sembra che tutti si siano dimenticati, in primis l'autore, allude ad eventi e poteri che il lettore brama di vedere all'opera, ma che non si mostrano. Rimbalza letteralmente i personaggi da una parte all'altra del mondo senza lasciar intuire se fosse davvero necessario. E questo senza che mai, in mille pagine, mi sia sentita davvero in ansia per loro. Non c'è mai una situazione che, per quanto brutta, risulti insostenibile, nessun personaggio davvero portato al livello di rottura. In un romanzo scritto con evidente maestria e cognizione di causa, queste dissonanze tra aspettative e risultati hanno un che di inesplicabile.
Il terzo e conclusivo volume non è ancora uscito neppure in lingua originale e io ancora, in tutta onestà, non so se aspettarmi i fuochi d'artificio o una mezza delusione.

I mille nomi  e Il trono d'ombra sono letture affascinanti, sembrano sempre a un passo dal farmi innamorare, ma poi si tirano indietro. Il rischio è che questi libri vengano ricordati più con perplessità che affetto.

A voi è mai capitato qualcosa di simile, una lettura che vi ha profondamente affascinato per alcuni aspetti, risultando però deludente per altri? Quale libro, più di tutti gli altri, si è distinto in questo senso?

5 commenti:

  1. Mi sembra interessante, però... Rispetto alla tua domanda devo pensarci un po' su. ;)

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    1. Interessante, anche se non soddisfacente al 100%, di sicuro, però, quando uscirà, leggerò il volume conclusivo

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  2. Mi è capitato con Hunger Games, ne ho anche parlato sul blog mi pare. In quel caso il senso di delusione nasceva dal fatto che l'autrice, secondo me, ha volutamente gestito in maniera sbrigativa alcune parti, compiendo tra l'altro una serie impressionante di saliscendi tra alti livelli di scrittura fantascientifica e banali fanservice romance (ecco, ora mi fermo, altrimenti mi scateno per la seconda volta). Ciò non mi esimerà dal leggere i seguiti, anche se con calma.

    Sui romanzi che proponi tu, invece, devo dire che proprio l'ambientazione mi ha tenuta lontana fino a questo momento, ma si tratta di un limite mio, che fatico a sposare quel determinato periodo storico (anche se poi qui si tratta solo di riproposizione di costumi/tecnologie) al fantastico. Credo che, invece, l'idea sia ottima, soprattutto se ben gestita come sembrerebbe essere da quanto scrivi.

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    1. ben gestita con riferimento all'introduzione dell'elemento magico, intendo :)

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    2. Il fantastico si sposa molto bene con un periodo storico ricostruito non solo in costumi/tecnologie, ma anche in stile di vita, ideali e aspirazioni (nel secondo romanzo le rivendicazioni popolari nella capitale fanno davvero Parigi 1788). Meno forte intreccio e personaggi... A meno che non mi sia sfuggita qualcosa di essenziale... Niente fanservice romance, però, proprio per nulla (anzi, che non si sappia nulla della vita sentimentale di alcuni personaggi toglie, a mio avviso, realismo.)

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