giovedì 12 gennaio 2017

Stranger Things – Giocare a D&D salva la vita

Gli ultimi giorno sono stati piuttosto disagevoli. È stata aperta la porta che collega l'appartamento con la parte in ristrutturazione della casa, con conseguente invasione delle ultrapolveri, mi sono presa l'influenza (i cui strascichi pare si siano particolarmente affezionati alla mia persona, gracchio come un corvo e, come comprensibile, la pupattola è insoddisfatta del servizio canzoncine offerto) e la batteria della mia auto ci ha lasciati.
In tutto questo, consolazione o disgrazia ancora non so, ho scoperto Netflix.
Dato che la nuova serie di Sherlock è disponibile in tempo reale sul sito e che per me vederla è imperativo, l'abbonamento è stato un passo obbligato. L'effetto collaterale è che io e il marito ci siamo imbattuti in tutta una valanga di altre serie, tra cui il piccolo cult Stranger Things. 

Vedere in ritardo una serie, permette di arrivare informati, non di spoiler, ma di spunti critici. 
Effetto nostalgia, dicono tutti gli articoli a riguardo. 
La serie è ambientata negli anni '80 e si rifà a livello di contenuti e di estetica a tutta una serie di film del periodo, arrivando a volte a ricalcare alcune sequenze di E. T. o personaggi che sembrano usciti dai Goonies 
L'effetto nostalgia c'è, è evidente, non sono estetico, ma per il tipo di storia. In un paesino a ridosso di un misterioso centro governativo un ragazzino scompare. I suoi amici, il fratello adolescente e due adulti, la madre e un poliziotto, continuano a cercarlo a dispetto di tutto. Le tre linee narrative procedono indipendenti, perché ovviamente le generazioni non si parlano, salvo convergere nel finale. Proprio come un film per ragazzi degli anni '80, il mistero/horror/sovrannaturale c'è, ma è intuito più che mostrato, lo sviluppo è in fin dei conti assai prevedibile e i buoni sentimenti vincono. Eppure, proprio come certi film di quel periodo, si rimane a guardare tutte le otto puntate con un piacere vivo, proprio a causa di queste caratteristiche. Un'operazione analoga, con idee di partenza praticamente identiche e sbavature in un finale troppo visivo era già stata provata con il film Super 8.
Non credo che sia stata solo l'atmosfera anni '80 a colpirmi, sono due gli elementi che mi hanno conquistata.

Il non aver paura di mettere in campo i buoni sentimenti.
I protagonisti sia nella loro scrittura che nelle interpretazioni, sono ineccepibili. Sono incasinati, più cresce la loro età e più hanno vite sballate, commettono errori, ma sono fondamentalmente buoni.
Sono buoni, ovviamente, i ragazzini, con la loro fede incrollabile nell'amicizia, con le regole da loro stabilite a cui si attengono con ineccepibile dedizione.
Sono buoni gli adolescenti, confusi nei confronti dei propri sentimenti e maldestri nel manifestarlo, ma perfino pronti a cambiare strada e a rimediare in un modo che, purtroppo, nella realtà ho visto raramente.
Sono buoni gli adulti. A volte distratti, per lo più segnati da tragedie personali e da vite sballate, ma non per questo non in grado di interrogarsi, mettersi in gioco, prendere decisioni. Sono adulti, figure di riferimento che tutti i ragazzini dovrebbero avere, al di là delle apparenze. La madre sballata che vive ai limiti della soglia di povertà è una leonessa quando si tratta di difendere i propri figli. L'insegnante di scienze all'apparenza svampito si offre volontario per cercare il ragazzo scomparso e interrompe un appuntamento galante per rispondere ai suoi ragazzi. Il capo poliziotto perso tra i suoi demoni personali si riscuote per difendere la propria comunità.
Ovviamente a questi buoni fanno da contraltare dei cattivi assai poco approfonditi, bulli senza speranza, agenti governativi e mostri assetati di sangue.
Eppure quello che traspare è che questi sentimenti saranno anche semplici, magari i cattivi hanno ragioni che non vengono spiegate, ma sono anche veri. Esiste l'amicizia, esistono adulti che credono ai ragazzini e professori che si fermano ad ascoltare i ragazzi. Forse, dopo anni all'insegna dell'ambiguità morale, avevo voglia di una serie semplice e impeccabile che mi ricordasse che esistono i mostri, ma esistono anche i buoni. E che non ha paura di farci vedere i suoi buoni dall'aspetto da "sfigati" per quello che sono. Eroi che affrontano tutti i giorni i mostri senza paura.

Infine una nota di apprezzamento puramente personale. Questa serie è un inno di lode a D&D, il più famoso gioco di ruolo, con cui anch'io sono cresciuta.
Nelle critiche si parla in generale di cultura anni '80, ma è vero solo in parte. È D&D a fare la parte del leone. 
Nella primissima sequenza vediamo i ragazzi giocare, intenti ad affrontare un mostro. Inevitabilmente, quello che sbaglia il tiro di dado è quello che scomparirà, ma nella sua intelligenza pacata, nel suo essere "Will il Saggio", c'è già la speranza della sua salvezza.
I ragazzini affrontano lo smarrimento per la scomparsa dell'amico e le successive indagine applicando gli schemi mentali appresi nel gioco di ruolo. E funziona.
Sanno quando chiedere aiuto ai saggi (il professore) e quando consultare i libri. Il mondo fantasy in cui si muovono le loro fantasie non li distacca dalla realtà, anzi, permette loro di affrontarla con entusiasmo. La scienza sarà anche vista come una specie di magia, ma la praticano con dedizione e rigore, così come un pizzico di fantasy rende loro più accessibili teorie di fisica avanzata che sfuggono al senso comune. Conoscono il valore della cooperazione e della complementarietà, hanno caratteri e attitudini diverse e tutte necessarie. Emblematico, in questo senso, il ragazzino più cicciottello, che all'inizio sembra a rimorchio degli altri, interessato sempre e solo al cibo, e invece si scopre essere il vero collante del gruppo, un leader nei momenti di difficoltà. Infine, nelle situazioni di emergenza conoscono la regola aurea (mai separarsi!) e hanno un modo estremamente pragmatico di affrontare i problemi.
Io ho iniziato a giocare a D&D all'età di quei ragazzini, poco dopo quegli anni, quando farsi vedere con dei manuali voleva dire preoccupare i genitori, perché "vive in un mondo tutto suo", "non distingue la fantasia dalla realtà", "si mette su una cattiva strada". Quanto avrei voluto che miei genitori avessero visto allora questa serie!
Perché anche se non ho mai cercato amici spariti in altre dimensioni, tutti questa attitudine mentale alla risoluzione di problemi l'ho vissuta. Non conosco giocatore di ruolo che non sia mentalmente aperto e curioso di scienze. Molti hanno affinato le loro conoscenze linguistiche sui manuali. Per non parlare di legami d'amicizia e di auto aiuto nati intorno a un tavolo da gioco. Se affronti insieme a un amico un demogorgone poi non lo abbandoni quando ha l'auto in panne. Può sembrare una sciocchezza, ma è una verità che io vivo ogni giorno.

10 commenti:

  1. Dopo aver concluso tutte le sei serie di Dowton Abbey (non ci posso far nulla: mi piacciono le saghe), cercavo qualcosa di nuovo da guardare. Il marito, sulla scia del principio "si sceglie una volta per uno", preme per Mr Robot. Io vorrei The Queen. Questa potrebbe essere un buon compromesso. ;)

    A D&D giocavano alcuni miei amici del liceo, ma io non sono mai stata ammessa al loro tavolo: si trovavano ogni venerdì a casa dell'uno o dell'altro, e le donne erano bandite. Si trattava di una specie di massoneria maschilista.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. The Queen dicono che sia molto bello, mentre Mr Robot non lo conosco, comunque questa, pur prevedibile, l'ho trovata molto godibile.

      Per D&D strano! Io ho iniziato con un'amica che poi però ha scelto una scuola diversa e ho perso di vista. Quando ho trovato dei ragazzi che giocavano a loro non sembrava vero che una ragazza si volesse unire al gruppo, siamo cresciuti insieme e gioco tutt'ora (non più a D&D classico) con alcuni di loro, tra l'altro è tramite quel gruppo che ho conosciuto mio marito, quindi devo davvero molto ai giochi di ruolo.

      Elimina
    2. Dicono che la partecipazione femminile al gioco di ruolo sia una chimera... io ho quasi sempre giocato in gruppi a prevalenza femminile e penso che sia stato un grosso valore aggiunto.
      Sono convinto che il sessismo nel gioco dei tuoi compagni fosse legato ad esigenze dell'età dei giocatori e non al gioco in sé.
      Dire che il GdR mi abbia salvato la vita sarebbe eccessivo, ma posso testimoniare anche io che me l'ha notevolmente arricchita.

      PS: la quarta stagione di Sherlock è all'altezza delle precedenti?

      Elimina
    3. Aspettiamo di vedere il finale... Sono tre episodi legati e ho il terrore di come possano risolvere l'ultimo colpo di scena. Ovviamente regia e recitazione sono al top, ma altrettanto evidentemente la perfezione delle prime due stagioni è irraggiungibile. In ogni caso da vedere.

      Elimina
    4. @Antonella, Mr Robot, a quanto ne so, ha a che fare con degli hacker che vogliono distruggere la terra, o qualcosa di simile.
      ....
      ........
      ...........
      Insomma, non proprio la mia serie ideale! :)


      @Dario, sì, è probabile. Avevamo 17, 18 anni. Inoltre i ragazzi giocavano già da tempo, era una sorta di rituale, come per molti può esserlo una partita di calcetto, quindi è credibile che non desiderassero coinvolgere altre persone.

      Elimina
    5. C'è anche da dire che c'è un numero massimo altre al quale il gioco diventa ingestibile. Noi siamo sempre stati super inclusivi, ma giocare in un gruppo di dieci significa non fare nulla per quasi tutta la sera e magari essere così lontani dal narratore da faticare a seguire la storia. (Non che volendo non si possano trovare soluzioni pratiche, come quelle adottate da noi di spezzare il gruppo).
      Di certo ti posso dire che ho sempre visto bramosia negli occhi dei giocatori maschi alla proposta di una ragazza di venire anche solo a vedere.

      Elimina
  2. Non vedo l'ora di vederla, come del resto la nuova serie di Sherlock!!

    RispondiElimina
  3. Non sono durata dieci minuti, così come con le altre storie originali di Netflix. Hanno un modo di proporre le tematiche che mi irrita, non c'è grazia, puntano solo allo shock dello spettatore sperando di costringerlo a guardare il resto della storia. Esempi: "sense8" e "Dirk Gently's holistic detective agency" (che volevo tanto guardare perché c'è Elijah Wood ma è improponibile).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Shock dello spettatore? E dire c'è il difetto che ho trovato io è che fosse fin troppo rassicurante! Non so che dirti, ma io darei a questa serie più di dieci minuti per mostrare quel che vale, secondo me può valerne la pena

      Elimina