C'è chi fa della raccolta punti al supermercato uno sport, una sorta di caccia al premio perfetto, con cassetti dedicati alle cartelline di raccolta dei bollini e un mercato clandestino di scambi con tessere che si passano di mano alla ricerca dell'ultimo Punto Fragola.
Ammetto di essere una ben scarsa cacciatrice di punti. Preferisco di gran lunga gli sconti e il drago interiore gode per ogni meno vede sullo scontrino. Tuttavia le cose cambiano se invece dei soliti piatti/coperchi/frullini/asciugamani, mi si mette tra i premi dei libri.
Anche il drago interiore è stato ben felice di investire duemila preziosissimi (?) punti fragola per il cofanetto Le storie della pittura.
All'interno ci sono due libri di Philippe Daverio, Il gioco della pittura e Guardar lontano, veder vicino. Finito il libro del mese del gruppo di lettura, con un giallo medioevale la cui partenza mi convince poco (migliorerà, suppongo, perché è ben scritto, ma pagina 50 si sa già chi è l'assassino, quale il movente e che ne è stato del bimbo scomparso), Daverio si è subito imposto alla mia attenzione.
In realtà Il gioco della pittura si è rivelato una mezza delusione. Un libro editorialmente lussuoso, meraviglioso nell'apparato iconografico, ma presso che inutile a chi già mastichi un po' d'arte. Diciamo un piacevole riassuntone divulgativo per chi abbia dimenticato (o mai seguito) le lezioni di storia dell'arte.
Ben più interessante, anche se non folgorante, si è dimostrato invece Guardar lontano, veder vicino che si concentra sui grandi artisti italiani da Giotto a Caravaggio e, sopratutto, sul contesto storico, sociale e sopratutto culturale che ha reso possibile questa esplosione artistica.
Credo che sia un problema dovuto alla frammentazione dei saperi, al fatto che a scuola le ore di letteratura, storie dell'arte, filosofia, storia, matematica e via dicendo sono separate che ci fanno perdere il senso di interconnessione che sta dietro al reale.
Ogni uomo, che lo voglia o no, che sia in armonia o in opposizione a ciò che capita intorno a lui, è sempre, inevitabilmente, figlio del proprio tempo. Sarà influenzato da ciò che gli accade intorno e, ancor di più, dalle idee che circolano, dalla sua visione del mondo, dalla sua fede, dalle sue letture e frequentazioni.
La cosa interessante del libro di Daverio è il mettere l'accento sul fatto che neppure i grandi geni assoluti, nel caso Leonardo e Michelangelo, possono essere decontestualizzati. Entrambi geniali, intellettuali a tutto tondo, uomini complicati, pur vivendo negli stessi posti e negli stessi anni frequentano ambienti culturali diversi, respirano arie diverse. Di scuola aristotelica e frequentazioni domenicane (ecco, se c'è una cosa che non sapevo e che mi ha davvero stupito è l'idea che Leonardo frequentasse, almeno in certi periodi della sua vita, i domenicani, quelli dell'inquisizione, per intenderci) Leonardo e quindi formato all'osservazione della natura e allo sperimentalismo. Formato in una scuola neoplatonica Michelangelo, ossessionata dalle Idee pure e preesistenti, amico d'infanzia di futuri papi, ma vicino a pensatori in odore di protestantesimo.
Mi sono chiesta, leggendo il libro, che artisti avremmo avuto se le loro formazioni si fossero invertite, se Leonardo fosse stato mandato alla scuola dei giardini medicei, tutta estetizzante e neoplatonica e se a Michelangelo fosse stata data fin da subito una forma mentis più concreta, meno ossessionata dall'assoluto? Sicuramente avremmo avuto due artisti/pensatori ugualmente geniali, ma diversi.
Nelle opere e negli atti di ciascuno di noi c'è tanto la nostra individualità unica, quanto la somma del nostro mondo mentale e del nostro contesto socio-culturale, per non dire i nostri riferimenti filosofici, religiosi e politici. Un Michelangelo non neoplatonico non avrebbe mai scolpito una pietà con una madonna giovanissima, più del proprio figlio morto. Un Michelangelo che non avesse frequentato in gioventù dei futuri papi (meno ben introdotto), con il suo carattere e le sue derive protestanti non avrebbe mai dipinto la sistina.
Quello che trovo che manchi a molti personaggi romanzeschi è questa contestualizzazione, uno studio accurato di qual è il loro mondo mentale, la loro formazione culturale, la loro, consapevole o no, filosofia.
Io vivo in Italia nel 2017, ma da una parte mi raggiungono notizie da tutto il mondo, che mi colpiscono e mi influenzano, dall'altro sono influenzata dal mio mondo mentale, dalla mia formazione. Il fatto che abbia frequentato fino a una certa età scuole cattoliche, pur venendo da una famiglia non praticante, che abbia fatto studi classici, che io abbia letto determinati libri, visto determinati film inevitabilmente mi influenza. Il "personaggio Tenar" non potrebbe essere mosso in modo consapevole senza tener presente tutto questo contesto.
Mi irrita oltremodo quando in un romanzo dei personaggi agiscono come geni solitari del tutto avulsi dal loro contesto, magari perché, appunto "sono geniali". Anche i geni rielaborano idee altrui, arrivano a risultati sorprendenti e unici, ma partendo da una qualche base.
In questi casi si fa sempre l'esempio de I promessi sposi, che funziona proprio perché Manzoni ha ben chiaro quale sia il contesto per ciascun personaggio e ogni personaggio si muove in coerenze sia alla propria personalità, sia al contesto che lo ha formato. Ma non sono solo i grandi autori inarrivabili a fare questo lavoro. Anche senza essere Manzoni secondo me è utile farsi una serie di domande sui propri personaggi.
In che ambiente è cresciuto?
Che studi ha compiuto?
Quali sono i suoi gusti letterari e musicali?
Quali sono i suoi interessi principali e da dove sono nati?
È religioso?
Si interessa di politica?
Quali personaggi del suo tempo segue con più interesse/ha avuto la possibilità di conoscere?
Chi sono e cosa fanno i suoi amici?
Come tutto ciò influenza il suo carattere e la sua quotidianità?
Certo, a questo punto mi viene il dubbio di essere io a farmi troppi problemi eppure contestualizzare nel suo mondo mentale un personaggio mi sembra indispensabile. Voi non trovate?
Mi hai fatto ragionare sul fatto che nel mio romanzo ormai finito "Non è possibile", i protagonisti sono molto contestualizzati e mi ha fatto piacere.
RispondiEliminaPS. Anch'io gongolo per i meno sullo scontrino, non sai quanto
Sandra
:)
EliminaPS: i meno sullo scontrino sono la gioia del drago interiore!
Anche la mia, per mere questioni economiche però!
EliminaLo è. E' indispensabile. Questo non solo per quel genere che chiamiamo "romanzo storico" ma in generale per ogni tipo di narrazione.
RispondiEliminaQuesto discorso vale per tutti i linguaggi possibili. Non ti irrita guardare un film ambientato nel Settecento, per esempio, in cui i personaggi si muovano gesticolando troppo, o con camminate oscillanti e dinoccolate, che svelano l'attore sotto il costume?
Mi irritano anche le attrici con le labbra rifatte nei film storici, sopratutto quando interpretano improbabili popolane...
EliminaNel cinema, però, per la rapidità della narrazione, alcune cose si possono tollerare un pochino di più (non molto, ma un pochino), in un romanzo no.
Io nel cinema faccio molto caso al make up, mi ha sempre colpito come nei film ambientati nell'Ottocento per esempio le attrici siano truccate in un certo modo se il film è stato girato negli anni 50 e in un modo del tutto diverso se è stato girato negli anni 80 o nel 2000. Pensiamo a Via col vento o alle due versioni di Anna Karenina. Il film però può e deve portare tracce sia del contesto in cui è ambientato che di quello in cui è stato girato , e alla fine è una cosa che apprezzo anche se mi rimane il dubbio di come figurerebbero le nostre attrici con un vero trucco in stile settecentesco o ottocentesco, senza mascara ma con le gote rosse per capirci. E ovviamente le sopracciglia non depilate!
EliminaViola, ne hai un esempio nel mirabile film "Orlando".
EliminaEcco, lì il trucco è perfetto.
Non ci avevo pensato, forse che lei mi pare troppo magrolina rispetto ai quadri d'epoca, ma almeno non è bistrata!!
EliminaNon so come mai ma questo post mi ha fatto venire in mente la mia immersione tramite Wikipedia e simili, qualche settimana fa, nella vicenda di Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, di cui ignoravo tutto, partita dalla lettura di una pessima recensione dell'ultimo libro di Buttafuoco. Amo molto i pittori del Rinascimento e ancora di più amo scavare nelle loro vicende di vita personali cercando di contestualizzare le loro opere. Certo che il libro di Buttafuoco è proprio assurdo, ma ti pare si possa prendere le parti di Tassi?! Artemisia ormai è un'icona, un mito!
RispondiEliminaArtemisia è un mito e già allora riuscì a far valere le proprie ragioni, in un'epoca in cui per affrancarsi dagli uomini non era affatto facile. Se volevi essere una donna di pensiero dovevi avere o un nome altisonante (molto altisonante) o essere monaca, preferibilmente badessa, Artemisia è quasi un unicum. Mi sono imbattuta qualche tempo fa in un articolo sulle altre donne pittrici dell'epoca, che c'erano, ma o erano molto facoltose di loro o erano, appunto, monache e per lo più si limitavano a ritratti di famiglia o a temi sacri.
EliminaSono d'accordo sul fatto che un personaggio di un romanzo vada ben contestualizzato. Se poi si scrivono romanzi storici, questo è ancora più importante. Mi viene spesso da storcere il naso davanti ai tanti romanzi di questo tipo - ma anche film e serie TV - che falliscono l'obiettivo del realismo. Su tradimento, parità dei sessi, razzismo e altri temi delicati di solito i personaggi di queste opere ragionano come uomini di oggi. Il che farà anche loro onore, ma spesso stona con un ambientazione per esempio medioevale.
RispondiEliminaPer il futuro, ho in mente di scrivere un romanzo che sia quasi una parodia/critica di questo tipo di storie. Una storia in cui un uomo del passato si ritrova a viaggiare nel tempo fino al mondo di oggi, e il suo comportamento viene considerato riprovevole, visto che, per esempio, considera le donne inferiori e non ha paura di dimostrarlo. Sarà poco "politically correct", ma altrimenti la storia sarebbe poco realistica :) .
Io avevo immaginato un Catone il Censore catapultato ai giorni nostri... Poveretto...
EliminaSì, certo, è molto importante. Contestualizzare i personaggi è già entrare nella storia con la giusta dose di immedesimazione. Sto leggendo "la famiglia Karnowski" di Singer e fin dalle prime pagine si respira l'aria di fine ottocento con protagonisti ebrei che vedi muoversi e fare le cose esattamente come immagini possibile a quell'epoca.
RispondiEliminaSì, penso che sia importante anche per le storie ambientate ai giorni nostri, ci ragionavo l'altro giorno guardando "il caso Spotlight" in cui la formazione se vogliamo "cattolico-bene" dei protagonisti da un sapore del tutto diverso alla vicenda. Il film racconta l'inchiesta sui preti pedofili di Boston e, da profana, pensavo che i giornalisti fossero per lo più protestanti e quindi avessero vissuto con relativo distacco la cosa, invece erano tutti cattolici e questo da un sapore del tutto diverso alla vicenda.
EliminaQuella di Leonardo aristotelico è pura bestemmia. Meno male che Raffaello, che ne sapeva di più di Daverio sul suo illustre contemporaneo, lo ha rivestito (nella Scuola di Atene) dei panni, a lui più consoni, di Platone.
RispondiEliminaAdesso mi getti nel dubbio. Non ho molto più del Vasari in casa e sulla formazione di Leonardo è stato scritto tutto e il contrario di tutto (perché si parla di formazione e di influenze anche indirette). Sicuro il neoplatonismo a Firenze lo si respirava nell'aria, ma qualche frequentazione aristotelica io la ricordo (mi era sfuggito che fossero domenicani), Toscanelli ad esempio gravitava un po' in entrambi i mondi filosofici, per quel che ne capisco io.
EliminaOltre però non so andare, quindi illuminami.
PS: ho solo una conoscenza da gran curiosona sull'epoca, quindi mi fa davvero piacere se approfondisci.
EliminaE' un discorso lungo e complesso, ma sinceramente pensavo che l'interpretazione proposta da Daverio appartenesse ormai alla preistoria degli studi leonardeschi, a cose, per dire, come "L'uomo e la natura" della Feltrinelli.
EliminaLeonardo, come Platone e prima di lui Pitagora, era interessato al principio numerico della realtà, e nella sua pittura lo contrapponeva alla caotica istintività michelangiolesca. Non per niente i cinque solidi platonici li ha disegnati e costruiti lui, non Michelangelo.
Se è il personaggio di un romanzo storico per forza, anche perché il lettore medio non è detto che conosca bene l'epoca in cui è ambientato, quindi un po' di "infodump" (come lo definiscono quasi sprezzantemente certi puristi della scrittura) è necessario. Se il romanzo si svolge nel mondo contemporaneo magari può essere più semplice: con poche allusioni si contestualizza in modo chiaro anche per chi legge.
RispondiEliminaNon credo che queste informazioni vadano date esplicitamente, quanto che l'autore le debba ben conoscere per far muovere in modo credibile i personaggi, se no il rischio è di creare figure del tutto incongrue rispetto al mondo in cui vivono e al modo in cui vivono
EliminaIn un romanzo storico la ricostruzione della mentalità di un'epoca è uno dei diversi requisiti per i quali non è sufficiente uno studio da wikipedia (no, nemmeno "intere notti" passate a leggere su internet).
RispondiEliminaOgni tanto ci sono dei personaggi storici che mi parlano in testa e vorrebbero che scrivessi di loro; grazie per avermi ricordato che dovrà passare ancora parecchio tempo prima che io possa accontentarli.
Conosco quella sensazione e so che non è per niente facile tenerli a bada.
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