Non credo di riuscire a fare una recensione dell'ultimo romanzo di Fred Vargas, anche se ci sono parecchie considerazione più o meno legate a questo romanzo che vorrei condividere con voi.
Diciamo quindi che non è una recensione, è un pretesto.
Del resto c'è poco da recensire di un romanzo di Fred Vargas che funzioni, e questo, al netto di un'improbabilità ancora maggiore che in altri della seria di Adamsberg funziona. Ci sono gli ingredienti che il lettore ormai si aspetta di trovare, una bella scrittura, un tono che fa passare dal sorriso alla malinconia (diciamo anche alla tristezza) in mezza riga, personaggi bislacchi, ormai ben noti al lettore e un'indagine improbabile in cui il medioevo si insinua prepotente quando uno (in teoria) meno se lo aspetta. Decisamente più riuscito del romanzo precedente, Tempi glaciali, non ha, ne potrebbe ormai avare quel che di sorprendente dei primi romanzi della serie.
Ormai non ci si stupisce più dei pensieri ondivaghi di Adamsberg, né che le sue ipotesi più improbabili si rivelino invece punti saldi dell'indagine. Anzi, ormai il lettore se lo aspetta, quello slittare da una vicenda realistica a un finale quanto meno improbabile dal sapore di medioevo. Del resto dopo assassini novantenni, cacciatori di vampiri ed elisir dell'eterna giovinezza dovrebbe stupirci che la reclusa del titolo abbia più di un significato letterale?
Ma la domanda che mi ponevo leggendo è: un buon romanzo deve per forza stupire? E ancora di più, deve andare oltre? Proporci nuove visioni del mondo? Sempre?
In generale un gran libro dovrebbe. Eppure io ho preso in mano questo sperando di trovarci un'indagine improbabile, personaggi bislacchi, una buona buona prosa e zero impegno mentale. Esattamente quello che ci ho trovato. E no, non penso che Fred Vargas vincerà mai un nobel per questo. Peggio, credo che Fred Vargas abbia genialità e talento puro, ma preferisca giocare, piuttosto che sporcarsi le mani con la scrittura e andare sul sicuro. Peggio ancora, io gliene sono infinitamente grata.
Ho bisogno, un bisogno quasi fisico, di un intrattenimento che non mi tratti da cretina. Che solletichi il mio essere intellettuale, giochi con la mia erudizione (perché, ammettiamolo, io sto con Dangland), ma che rimanga intrattenimento. Mi ha divertito giocare sul senso della parola "reclusa", subodorando le varie implicazioni già al primo capitolo e ho apprezzato anche che la torbida storia che sta alla base dei delitti su cui si indaga rimanga un pretesto. Non c'è alcun desiderio di approfondimento socio-culturale/storico, anche se il tema che fa da pretesto è tostissimo. Ma, almeno ogni tanto, va bene così.
In Italia, forse non solo ma sicuramente in Italia, sembra che ci debba essere solo l'intrattenimento becero o il socialmente impegnato. L'intrattenimento culturale è guardato con sospetto, ammesso che esista. L'intellettuale in Italia deve sempre essere impegnato e offrire una sua visione del mondo. Deve essere di destra o di sinistra. Deve essere schierato, sempre.
Ora, la buona Fred Vargas è sicuramente un'intellettuale con una sua visione del mondo e che non la manda a dire. Ma non con tutti i suoi romanzi e sicuramente non con questo che rimane solo un giallo bislacco che gioca con lettore, senza voler essere niente di più. E menomale, penso io.
Mi sono venuti in mente dei recenti commenti su Camilleri che, per certi versi, è l'autore italiano che più le può assomigliare.
Ecco, alcune critiche mosse a Camilleri si potrebbero girare alla Vargas. Non penso che ci sia nulla di meno realistico della Parigi di questo romanzo, dove i poliziotti fanno riunione al bar o al ristorante. Dove, certo, si sbattono per trovare gli assassini, ma in generale sembrano avere ritmi di lavoro assai rilassati, chi con il pesce da sezionare sulla scrivania, chi con i ripetuti attacchi di sonno tollerati dai colleghi, senza dimenticare il gatto sulla fotocopiatrice. Dà un'idea della Francia come un paese in cui la vita è dolce persino se lavori all'anticrimine, una visione, insomma, da cartolina e a favore di turisti. E anche qui mi chiedo, che male c'è?
Ci sono libri che hanno una vocazione nello scavare nella verità ma non sempre abbiamo bisogno di quelle storie. Abbiamo anche bisogno di storie consolatori e ben scritte, in cui ognuno, pur con le sue stranezze trova un proprio posto, in cui gli amici dopo un pungo in faccia tornano amici, il tutto in una città Parigi di cui quasi tutto quello che sappiamo è che si mangia assai bene.
C'è bisogno anche di questo, di storie che facciano bene al cuore anche se parlano di orribili delitti.
Il punto, secondo me, è non confondere i due piani, non pretendere analisi sull'oggi a libri che non hanno questo intento narrativo.
A volte un romanzo è solo un romanzo e per me va bene così.
Per voi?
A volte un romanzo è solo un romanzo e per me va bene così.
RispondiEliminaPer voi? Perfetto, anche per me. Un romanzo di Genovesi mi dà tantissimo a livello emozionale e di solito mi insegna pure qualcosa sul mare e sulla Versilia, terra che amo, è già tantissimo. A volte credo che sarebbe necessario semplicemente rilassarsi un po', sembra che siano sempre tutti tesi a trovare la magagna, per sentirsi superiori culturalmente.
Esatto, solo intrattenimento non va bene, ma ogni tanto un sano intrattenimento ben fatto ci vuole.
EliminaNon ho mai letto nulla di Fred Vargas e mi hai incuriosito, entro l'anno vorrei leggere qualche suo libro, mi consigli di partire da questo oppure puoi suggerirmi un altro titolo?
RispondiEliminaHanno fatto dei comodi volumetti con i romanzi più famosi. Con "la prima trilogia di Adamsberg" o "La trilogia degli evangelisti" vai sul sicuro
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