È finito il quadrimestre, siamo stati travolti da un'influenza stile valanga, di quelle che non risparmiano nessuno, è scesa la neve, ho quasi finito, e non mi sembra sia possibile, il mio primo esperimento di sceneggiatura per fumetti.
Ho quasi finito la prima stesura, quindi il primo step di un lavoro molto più lungo e pertanto tutte le mie considerazione sono parziali.
Tuttavia, obbligandomi a cambiare totalmente approccio alla narrativa, ho dovuto ragionare di nuovo su alcune cose, mettere in dubbio le cose che davo per acquisite e, in fin dei conti, ricominciare da capo.
Insomma, sono dovuta ripartire dalle basi, gestione punto di vista, personaggi, dialoghi, da ciò che credevo di saper fare e ho scoperto che, tutto sommato, ci sono aspetti che non avevo considerato e sarà bene tener conto anche quando tornerò alla narrativa.
TUTTI I MODI IN CUI UN PERSONAGGIO PUÒ PARLARE
Come si fa a far parlare un personaggio? Ma col dialogo, è ovvio.
I fumetti, poi, sono pieni di dialogo.
Sì, però...
Intanto quanto puoi far durare un dialogo in un fumetto, quattro tavole? Immaginando che ogni personaggio abbia una battuta a vignetta e immaginando sei vignetta per tavola (in realtà sono molto meno) abbiamo un massimo di 24 battute. Ogni battuta deve stare sotto le due righe come media.
Sembra tanto, ma è pochissimo, anche perché di dialoghi così lunghi in un albo ne puoi mettere pochi. La maggior parte sono scambi molto più rapidi.
Sì, però, obietterà qualcuno, le psicologie del fumetto sono di carta velina.
Non sempre. E comunque non abbastanza.
Nel caso specifico ognuno dei personaggi principali ha un grosso segreto, c'è un uomo che in realtà è una donna, uno schiavo fuggiasco e un uomo che non è proprio un essere umano. Ci sono sette segrete e tutto un mondo di cui scoprire il funzionamento. Ma le parole per raccontare tutto ciò sono pochissime!
Allora le parole si pesano, una a una, si girano le frasi per essere le più corte e le più dense possibili. Io di mio amo i dialoghi secchi, ma qui ho dovuto potare siepi già rachitiche per arriva a definire interi personaggi con una battuta o due.
Ma i personaggi non parlano solo con le parole. Parlano con la posa del corpo, con i gesti, con gli abiti, con gli sguardi. Nell'immaginare una storia disegnata ho dovuto prestare la massima attenzione alla gestualità dei personaggi, molto di più di quanto non faccia di solito. Quanto cambia, per esempio, a quanto cambi il senso di una battuta, pronunciata guardando il cielo, con una lacrima che spunta dall'occhio, piuttosto che fissando con fare deciso l'interlocutore.
VISIONE INTERNA/VISIONE ESTERNA
In un fumetto lo spazio per l'introspezione è minimo. Non assente, ma minimo. Si può ricorrere al dialogo interiore, ma per poche vignette e per pochi personaggi. Anche qui la personalità deve uscire dai gesti, dal mostrato e dal non narrato.
Per questo esperimento sono partita da personaggi nati in altri contesti e riadattati a nuove condizioni. Però alcuni tratti caratteriali rimanevano quelli, chi è ostinato, chi è aggressivo, chi è un pesce fuor d'acqua all'esterno del proprio ambiente, chi ha una scarsa autostima... Per i primi tre nessun problema, ma per il quarto personaggio, soprannominato dalle mie complici "mezzasega", il coro è stato unanime: "questo non è più mezzasega!". Il problema è stato che è sempre stato un personaggio in gamba in quello che faceva, ma con una forte emotività e un sacco di dubbi. Solo che nella versione a fumetto c'era pochissimo spazio per i suoi dubbi, in parte perché il suo ruolo è essere "l'uomo del mistero" in parte perché è visto esclusivamente o quasi da fuori. E da fuori si percepisce un personaggio deciso con delle priorità ben chiare.
Questo mi ha dato molto da pensare sulla gestione dei personaggi e di quanto la percezione del lettore possa essere diversa da quella dell'autore e tra la discrepanza tra le sue azioni e la sua percezione di sé. Di fatto mi sono resa conto di non essere mai stata contenta di ciò che veniva percepito di questo personaggio. Nei racconti chi li ha letti ha dato troppo peso a quello che lui pensava di se stesso e poco ai risultati ottenuti, nella sceneggiatura quelle stesse persone hanno potuto vedere solo i risultati e di fatto non lo hanno riconosciuto.
La riflessione che ho fatto è che forse ho sbagliato in entrambi i casi e nel narrare qualcuno bisogna trovare un grande equilibrio nel raccontare ciò che sente di essere e ciò che è, sopratutto nel caso vi sia una grossa discrepanza. Se non avessi tentato questo esperimento non mi sarei resa conto che a volte l'ottica nella mia narrazione è troppo focalizzata su ciò che il personaggio pensa di essere.
RACCONTARE ATTRAVERSO L'AMBIENTE
Lo sappiamo tutti che l'ambiente non è solo un palcoscenico neutro su cui si muovono i personaggi, ma deve diventare lui stesso personaggio. Con così poche parole, tutto deve essere funzionale alla storia. Ogni oggetto inquadrato, ogni arredo, ogni particolare paesaggistico. Non c'è spazio per luoghi neutro. Eppure quando scrivo narrativa a volte ho pensato un po' sbuffando a una mezza pagina di descrizione d'ambiente, quelle parti che non mi piace scrivere, che pure devono esserci... Ecco, forse adesso ne colgo appieno le potenzialità.
Insomma, al di là degli esiti dell'esperimento in sé, questo provare un nuovo approccio alla narrativa mi ha dato davvero molti spunti, che volevo condividere con voi.
Abbiamo lavorato praticamente in sincronia e x me è stato un confronto davvero bello. Le mie stringate conclusioni almeno per ora sono che devo lavorare per evitare o almeno ridurre gli spiegoni nei riquadri e farli assorbire da ulteriori dialoghi o ambienti molto evocativi. Fortuna che ho un super illustratore al mio fianco.
RispondiEliminaSì, avendo visto un assaggio, posso confermare che il tuo illustratore è super. Spero davvero che il vostro progetto vada in porto!
EliminaGrazie per la condivisione.
RispondiEliminaA proposito, mio fratello è un fumettista.
sinforosa
Tuo fratello è un fumettista?!
EliminaAh, che tentazione chiedergli alcune dritte!
Veramente molto interessante questo pezzo. Questo tuo esperimento dove incappi in tutta una serie di problematiche e pensi a cose che prima non avevi mai pensato (presumo) è davvero bello. E' bello che un autore si metta in gioco in questo modo e cerchi nuove soluzioni e nuovi approcci.
RispondiEliminaÈ molto divertente. Come sempre, più che l'arrivo conta il viaggio.
EliminaSapessi quanti dialoghi ho dovuto riscrivere per una mera questione di spazio... e quante volte ho cambiato l'espressione di un volto perché non ero sicuro su quale fosse la smorfia più adatta per rendere un certo stato d'animo...
RispondiEliminaNo, fidati, lo so...
EliminaE hai fatto bene, perché davvero fare un parallelismo fra narrativa scritta e sceneggiatura di un fumetto può essere utile su molti fronti. Chissà, forse nella scrittura creativa potrebbe aiutare immaginare una data scena più che come se fosse quella di un film, come se fosse quella di una striscia disegnata. Secondo me, soprattutto nella gestione dei dialoghi, si potrebbero ricavare un sacco di idee buone.
RispondiEliminaLa gestione dei dialoghi è interessantissima, perché devi far dire molto in pochissimo.
EliminaPer certi versi la tua narrazione dei dialoghi stringati al massimo, nell'ambito di un fumetto, mi ha ricordato la difficoltà di scrivere un copione teatrale. Anche lì non ti puoi permettere di dilungarti con parole e concetti! In entrambi i casi si tratta comunque di una bella palestra anche per le forme della scrittura.
RispondiEliminaSì, per imbarcarmi in questa follia ho comprato un manuale che mette a confronto i vari tipi di sceneggiatura evidenziandone similitudini e differenze. Diciamo che a teatro i personaggi li puoi fare parlare di più. Nel fumetto hai proprio le parole contatissime, ma i concetti di base sono gli stessi.
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