Abbiamo mandato la nostra creatura letteraria a un editore, il nostro racconto a un concorso, a una selezione editoriale, a una rivista, cartacea, on-line. Dopo un'attesa che ci è parsa eterna (probabilmente lo è stata) ecco che arriva la risposta. Il nostro testo sarà pubblicato e non ci vengono chiesti in cambio denaro o acquisti improbabili!
Da questo momento in poi dovremo rapportarci a un editore o al curatore dell'antologia o della rivista. Aiuto!
Per quel che mi riguarda, io ho commesso ogni sorta di errore. Sono socialmente inetta o quanto meno inappropriata, in quanto timida parlo poco, ma in compenso con una pessima scelta dei tempi. Ho rischiato di offendere senza alcuna intenzione. Mi sono ritrovata (più volte!) a collaborare contemporaneamente con due persone che tra loro non andavano d'accordo. Sono stata danno collaterale in litigi altrui. In litigi altrui ho cercato di salvare il mio rapporto con l'uno e con l'altro risultando inopportuna con entrambi. Insomma, sono un pessimo esempio.
Ecco però quello che mi è sembrato di capire.
TUTTO QUELLO CHE L'EDITORE NON È
– L'editore non è tuo benefattore
Se qualcuno sceglie di pubblicare un tuo scritto è perché tale scritto è piaciuto ed è aderente alla sua linea editoriale e/o adatto a quel particolare progetto. Né più né meno. Non ti ha salvato la vita né ti sta facendo la carità.
La stima, il rispetto e la fiducia sono basi necessarie per un rapporto che non può che essere paritario.
– L'editore non è il tuo migliore amico
Spesso un rapporto editoriale sano che si basa sul rispetto reciproco e la passione comune si trasforma in amicizia. Questa, sia chiaro, è un'ottima cosa. Però, se chiamiamo un nostro caro amico idraulico per sistemare la caldaia, dovremo comunque pagarlo e se la caldaia poi non funziona chiederemo un risarcimento. Il rapporto professionale e quello amicale meno si mescolano e meglio è. Non potete offendervi se il vostro scritto non viene pubblicato. L'editore, in quanto amico, non vi deve niente. L'editore non può chiedervi, in quanto amico, di riscrivere all'ultimo momento o di rinunciare a quanto vi spetta.
Col tempo ho capito che questo è il punto più importante. Stimare, rispettare ed essere amici è bellissimo, ma quando si parla di lavoro, l'aspetto amicale va lasciato fuori. Mescolare le due cose è la ricetta ideale per il litigio, che l'oggetto sia la caldaia o un racconto.
– L'editore non è tuo marito/tua moglie
Come mio marito mi aspetto di avere in comune una visione del mondo. Spesso dei gusti. Se mio marito arriva a casa dicendo di voler andare al cinema a voler vedere un cinepanettone io chiamo il medico. Se la cosa persiste, l'avvocato divorzista.
Un editore, magari, può pubblicare noi e l'equivalente di un cinepanettone, se ritiene che entrambi rientrino nella sua linea editoriale e abbiano un mercato.
Sta a noi decidere se ci riconosciamo abbastanza in quell'editore per pubblicare con lui. Ma non possiamo offenderci a livello personale per le sue scelte. Non lo abbiamo sposato!
PUBBLICARE TRAMITE EDITORE VUOL DIRE CHE NON C'È SOLO IL TUO NOME IN COPERTINA
C'è anche quello dell'editore. Nel caso di un'antologia c'è spesso anche quello del curatore. In una rivista il responsabile/redattore capo/direttore o che altro.
L'autopubblicazione vi lascia signori e padroni del vostro scritto, l'editoria tradizionale no. Alla fine il prodotto è più solo mio, ma nostro.
Questo implica alcune cose:
– L'editore ha il diritto di non pubblicare ciò che non è aderente alla sua linea editoriale.
Un romanzo capolavoro come Lolita no avrebbe potuto essere pubblicato da una casa editrice gestita da monache di clausura tra una vita di santo e l'altra.
Questo vuol dire che quanto riceviamo una lettera di rifiuto che ci dice che l'opera non rientra nella linea editoriale, spesso non ci stanno mentendo. E non dobbiamo offenderci.
– Un buon editore/curatore dovrebbe esplicitare la linea editoriale/il tono dell'antologia/rivista, in modo da capire se quella tal opera si può sposare o no con il progetto. Il racconto porno per l'antologia di Natale delle suore potrebbe non essere una buona idea.
– Alla fine entrambe delle due parti devono essere soddisfatte del prodotto. Alla pari. Magari dopo aver fatto entrambe un passo indietro.
Questi vincoli possono stare stretti, ma sono insiti nel rapporto autore/editore. La strada autarchica oggi c'è. Si chiama autopubblicazione, ma è un'altra strada (non sbagliata o inferiore, solo diversa, con regole sue proprie che io non conosco).
TRA TE E L'EDITORE STA IL CONTRATTO
Sempre, come in qualsiasi rapporto di lavoro.
Il contratto, prima che venga firmato, non è scritto con il sangue. I punti che vi sono esplicitati possono essere discussi, patteggiati e rivisti.
Non ha senso vergognarsi nell'esprimere, in fase di contrattazione, un dubbio o un dissenso. La prelazione mi sta stretta? I diritti vanno ceduti per mille anni? Se ne parla. L'editore, del resto, non è né il tuo benefattore né il tuo migliore amico, il tuo rapporto con lui è, almeno all'inizio, professionale. Se non si arriva a un accordo, niente lacrime. In linea di massima, se lo scritto è valido, ha più da perdere l'editore a non pubblicarlo.
Se il contratto ti chiede di vendere l'anima, allora non ne vale la pena.
Non basta che sia un contratto non a pagamento. Quella è la condizione sine qua non. Non vi può chiedere di sobbarcarvi chissà quali impegni di promozione (o, peggio, di vendita delle copie). Non può essere un matrimonio indissolubile come neppure quelli medioevali. Non può essere la fiera della vaghezza (sarà pubblicato non si sa quando, non si sa in quante copie, non si sa con che prezzo di copertina, non si sa con quali diritti riconosciuti all'autore, pagati non sia quando...).
Non è detto che, solo perché un contratto vi viene proposto, vada necessariamente firmato. A volte è il caso di dire no. La letteratura insegna che l'anima non si vende mai.
D'altro canto un contratto è necessario. Non si lavoro sulla simpatia, sull'amicizia o sulla parola. Neppure se si è amici da anni. La caldaia la voglio con la garanzia, anche se me la vende mio fratello.
Una volta firmato il contratto va rispettato. Da entrambe le parti. Come in ogni rapporto lavorativo, entrambe le parti possono rivalersi.
IN CONCLUSIONE
Fate amicizia col vostro editore/curatore/responsabile! Andare a bere una birra con lui, ridete e scherzate.
Però, quando si arriva al contratto o al rispetto del suddetto, non pensate all'arte, alla scrittura, ma alla caldaia. La volete funzionante e con la garanzia.
Mi sembra un ottimo post. Io ho commesso un botto di errori, dico sempre che gli editori sono come i fidanzati: si cambiano cercando di trovarne uno migliore. E il libro è il figlio di questo rapporto, l'autore è la madre e l'editore il padre. Adesso vado molto più cauta, ma vanno bene anche gli errori: si impara e i libri usciti erano/sono comunque buoni, l'editoria comunque rimane complicata, ma, tanto come per i ristoranti, ci sono quelli buoni e quelli pessimi, e infine va pure a gusti: tutti a dire che nel posto dove il mio capo fa la cena di natale ogni anno si mangia benissimo, io non gli do manco il 6 politico.
RispondiEliminaIl rapporto che descrivi è un po' troppo emotivo per i miei gusti. Intendiamoci, stimo e vado d'accordo con le persone con cui collaboro e con cui ho collaborato (un salutone a tutti!), chiacchiero volentieri con loro, ci vado fuori a cena se capita, ma non sono fidanzati! Innanzi tutti gli ex mi hanno fatto stare malissimo e non voglio che nessun editore, mai, possa avere questo potere su di me. Inoltre di fidanzati ce ne può essere uno alla volta, mentre si può collaborare con due editori per due progetti diversi senza alcun problema.
EliminaCome autrice sono madre del mio pargolo letterario, l'editore è bene che lo veda invece come una fonte di guadagno. Solo così farà di tutto per promuoverlo.
Poi, certo, l'editoria è un mondaccio, sia autori che editori non possono essere tali senza un ego spropositato, il che rende il litigio assai frequente. E poi, certo, va a gusti.
Io non ho ancora esperienze editoriali tali da consentirmi di rispondere con competenza a questo post. Di una cosa però sono certa: quando arriverà il momento, spulcerò tutti gli articoli di "praticamente".
RispondiEliminaHai mai scritto qualcosa sull'agente letterario? è una cosa su cui sto riflettendo, per un futuro ancora abbastanza lontano, ma che spero possa saltarmi presto addosso.
Certo che c'è: http://inchiostrofusaedraghi.blogspot.it/2014/01/scrittevolezze-lagente-letterario-chi-e.html
EliminaViene dal tempo in cui non avevo ancora diviso i "Praticamente" dalle "Scrittevolezze"
Sei meglio di Wikipedia!
EliminaGrazie mille! :)
Ho salvato questo post, col voto di cinque stelline su cinque, nella cartella intitolata: "Voglia il Cielo che un giorno ti possa servire".
RispondiEliminaTi ringrazio. E spero ti serva il prima possibile.
EliminaApprovo ogni singola sillaba. Anche le virgole. :P
RispondiEliminaP.S. complimenti per la bella notizia. :)
Ahimé, nessuna particolare buona notizia, il discorso era generale. Però, insomma, in quanto autori pubblichiamo anche e, presto o tardi, questi ragionamenti devono essere fatti. L'editoria non è un mondo per ingenui.
EliminaMi piace questa tua serie di post. Credo di aver fatto in questo campo errori peggiori dei tuoi, e dunque condivido pienamente quello che consigli. Quello tra autore ed editore è un rapporto di affari, ma tendiamo a dimenticarcene...
RispondiEliminaBello il paragone con la caldaia :D
Non voglio negare il bello della relazione affettiva, però c'è anche una parte tecnico/pratica di cui a volte ci dimentichiamo (io in primis).
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