lunedì 19 gennaio 2015

Di mille Oresti il disperato canto – parte 1/3


Spaventati dalle nostre vendette e dai nostri amori, siete fuggiti.
Avete lasciato cadere in rovina i nostri templi. 

Volete un dio che vi ami, sì, ma non alla follia. 
Volete un dio che punisca, sì, ma solo i malvagi. E più avanti, in un nebuloso Ade oltre la morte, non in questa vita.  
Cullati dai vostri desideri, vi coccolate col pensiero che quella che vedete sia effettivamente la realtà e che nulla vi si sia più da temere da dei i cui nomi avete smesso di pronunciare. Rimane solo il ricordo, vago e sempre più indistinto, di un tempo in cui gli uomini temevano l’ira degli dei. Col tempo, la simpatia per quelle genti è diventata commiserazione e infine derisione. 
Siete liberi, adesso, da quelle paure.

Gli dei, però, non sono scomparsi solo perché voi siete fuggiti. Non ci hanno uccisi le vostre preghiere mancate.
Siamo ancora qui, anche se non ve ne accorgete. 
Vi amiamo e vi odiamo esattamente come allora.
Nulla è cambiato da quelle storie che ancora alcuni di voi studiano, sbuffando, sui banchi di scuola. Le leggete annoiati, senza capire perché si sia protratta anche sulla vostra generazione la tortura di doverle conoscere.  
Eppure quegli eventi si ripetono sempre uguali, che ve ne accorgiate oppure no. 

Prendiamo una città, una qualunque di queste innumerevoli polis, così grandi e ipertrofiche al confronto di quelle in cui un tempo ci adoravate. Non importa quale sia il suo nome, né dove sia collocata. Essa è reale e sono reali le storie che vi accadono. E, cosa ancora più importante, queste storie sono reali anche il tutte le altre città del mondo,  in ogni tempo, o potrebbero esserlo.

Oreste – potrebbe essere Giovanni, Marco, Jacob, Luis, Wolfgan, José o avere un qualsiasi altro nome, ma io preferisco, chiamatemi nostalgico, usare il nome che ha avuto un tempo – guarda sua madre, Clitemnestra, cercando il momento più appropriato per ucciderla.
In passato lei sarebbe stata regina, o prostituta sacra. Oggi è presentatrice, ballerina, cantante, attrice in certi film natalizi che sopravvivono l’arco di una stagione. Tutto di lei ha un valore, le sue labbra, le sue natiche, i seni, lo sguardo. Ha cullato Oreste leggendogli i preventivi dei chirurgi estetici, piccoli investimenti necessari ad aumentare il valore delle singole parti, o del tutto. Ha centellinato il cibo di suo figlio declinandolo secondo i dettami della dieta di turno, cosicché a cinque anni Oreste era già stato vegetariano, crudista, vegano e macrobiotico. Lo ha trascinato nell’eterna processione di porta in porta a mendicare attenzioni da produttori e registi, chiudendolo fuori dalla sua camera da letto ogni qual volta era necessario che il compratore testasse di persona la merce. È stato cresciuto da una schiera di baby sitter sempre diverse a ogni capriccio di sua madre.
Oreste non ricorda neppure suo padre. Agamennone, il primo marito di Clitemnestra, è stato abbattuto da una scure di carte di tribunale quando lei ha scoperto che era un intralcio al suo divenire. 
Oreste ricorda, invece, le sere davanti alla porta chiusa del bagno, con sua madre dentro a vomitare, prezzo abituale da pagare in giornate in cui, per sentirsi al massimo, aveva tirato una striscia di troppo. Ascoltava i gemiti, incapace di capire perché lei gli rifiutasse in quel momento una caramella o una carezza. Ricorda quella volta che si è rimangiato le lacrime per un graffio al ginocchio di fronte alla disperazione di Clitemnestra per una scena tagliata, dieci minuti di notorietà non ottenuta, e lui si è finto grande e le ha dato quel bacio sulla fronte che avrebbe voluto ricevere. 
Chi crederà, oggi, che  un dio gli sussurra nella mente dove affondare il coltello? Di sua madre rimarranno i sorrisi stampati sulle locandine e nessuno crederà che suo figlio non li ha mai avuti, diranno che è pazzo. 
Non ci sarà nessun tribunale, per lui, disposto ad affrontare le Erinni, feroci nella sua mente e a trasformarle in Benevoli. Avrà solo la pace di un ergastolo e il disprezzo della gente.
Parte 1/3
Continua

Racconto scritto alcuni anni fa intorno a un tema che mi sta molto a cuore. 
Per la serie, invece, "piccoli giallisti crescono" vi invito a partecipare a un piccolo gioco letterario insieme ai miei alunni sul blog didattico LiberamenteLibrum

4 commenti:

  1. Bello...e anche il racconto da continuare; ma possono farlo anche i vecchi come me?

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    1. Sì, il gioco sul blog didattico è aperto a tutti. Basta tener presente che è letto da ragazzi di seconda media.

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