Racconto che frullava in testa da un po', scritto durante una nanna insolitamente lunga della pupattola (favorita, parrebbe, dai martelli pneumatici dei muratori che lavorano dall'altra parte del muro...).
I DEMONI DI ZIA MATILDA
Ci sono parenti che non ti ricordi neppure di avere, fino a che un giorno qualcuno ti telefona per dirti che sono morti.
Sinceramente, ero convinto che zia Matilda fosse trapassata già da un pezzo. Nei miei ricordi zia Matilda non solo è sempre stata vecchia, ma decrepita. E non è una questione di memoria che distorce. A quanto mi ha detto l’avvocato, se ne è andata serenamente all’età di 110 anni e considerando che non ho ricordi di lei precedenti ai quattro o cinque anni, non l’ho mai vista sotto gli ottanta. A gli occhi di un bambino di cinque anni una vecchia di ottanta ha già un piede e mezzo nella fossa. Forse non solo agli occhi di un bambino. Ho il sospetto che parecchi parenti in attesa di eredità l’abbiano preceduta dall’altra parte…
Io non la vedevo almeno da dieci anni, ma c’è stato un periodo, quand’ero bambino, in cui la frequentavamo spesso.
Unica sopravvissuta della generazione di mio nonno, ci teneva a tenere i rapporti con nipoti e pronipoti. Era il tipo di prozia dalle guance piene che faceva le torte di mele e lo zabaione col marsala, che a Natale rinunciava alla pensione per mettere cinquantamila lire nella busta di ciascun pronipote.
Abitava in una vecchia cascina, in paese, con il giardino, l’orto e il pollaio e per noi bambini di città andarla a trovare voleva dire cercare i lombrichi sotto le pietre da dare alle galline, impastare torte di fango e far diventare i pantaloni verdi d’erba sulle ginocchia. Ci fu un momento nella mia infanzia in cui zia Matilda fu davvero molto amata, per la disperazione di mia madre che non capiva come solo in un’ora nel cortile della zia riuscissi a distruggere tutto ciò che avevo indosso.
Nel fondo del giardino di zia Matilda c’era il capanno degli attrezzi. Nessuno di noi bambini c’era mai stato e di solito era chiuso con una catena e un lucchetto. Dentro c’era conservato il becchime per le galline e, dato che uno dei nostri divertimenti preferiti era nutrire il pollame, quando era il momento aspettavamo religiosamente fuori mentre la zia entrava, si chiudeva la porta alle spalle, prendeva la giusta quantità di mais e grana verde e tornava fuori. Avremmo giurato, però, che, dentro il capanno, la zia parlava con qualcuno. Persino noi bambini, però, sapevamo, che dopo una certa età si diventa tutti un po’ strani…
Una volta mi capitò di sentire i miei che parlavano di lei.
– Com’è che non si è mai sposata? – stava chiedendo mia madre.
– Be’, sai, ha i suoi demoni…
Poi la conversazione proseguì a voce così bassa che non riuscii a seguirla.
Da quella volta mia madre insistette perché io non mi trovassi mai da solo con la zia. Chiesi spiegazioni, perché non era facile. Se ad esempio ero fuori a giocare con i cugini e mi scappava, entravo in casa e zia Matilda mi accompagnava in bagno. Mia madre non addusse spiegazioni particolari, ma ribadì che non dovevo farlo e basta. Piuttosto la tenevo fino a che non scappava anche alla cugina Caterina, allora potevamo entrare tutte e due in casa e andare in bagno a turno. Quindi capii che non potevo stare da solo con la zia perché “aveva i suoi demoni”…
Arrivò il giorno in cui, fatalmente, mi trovai da solo a casa della zia. Mia madre aveva non so che impegno e mio padre, non sapendo dove piazzarmi, aveva optato per la vecchia parente. Conoscendo le fisime di mamma, però, si era assicurato che ci fosse anche Caterina, ma arrivati là scoprimmo che la cugina era stata trattenuta a casa da un malanno improvviso. Mio padre, preso alla sprovvista, adottò una soluzione tipica.
— Ricordati di dire a mamma che Caterina c’era – mi sussurrò prima di andare.
Io per un po’ rimasi in ansia, temendo che la zia mi spingesse in un forno dopo essersi assicurata che ero abbastanza cicciottello o facesse una qualsiasi delle altre cose che potevo attribuire a una signora “che aveva i suoi demoni” e fui un poco deluso quando invece zia Matilda mi propose di andare a giocare fuori mentre lei preparava una variante di zabaione al cacao. Forse ero ancora troppo magro per essere cucinato.
Da solo, però, era tutto meno divertente e finii per bighellonare in cortile senza neppure troppa voglia di sporcarmi. Come accade nelle fiabe a questo punto, scoprii che il lucchetto del capanno era stato dimenticato aperto.
Da dentro provenivano dei rumori. Una sorta di frinire e fruscii di qualcosa che si muoveva. Ne usciva un’odore strano, che riconobbi come alcolico.
Inutile dire che misi dentro la tesa.
Quello che vidi fu un animaletto dall’aspetto simile a quello di una scimmia, ma ricoperto da penne rade, come la gallina che tutte le altre beccavano, intento a succhiare del liquido trasparente da una bottiglia. Con le zampe posteriori prensili teneva già pronta una ciotola che sembrava contenere del vino rosso.
Un altro animaletto simile, ma dal pelo fulvo e con due cornini ritorti da ariete che spuntavano dalla fronte stava invece fumando tre sigarette. Lì vicino un altro dall’aspetto vetusto, con la pelle cascante, stava impilando delle vecchie monete in torri ordinate. Fu il primo a vedermi e si girò digrignando i denti gialli, ma ancora affilati.
Feci un passo indietro, urtando, credo, un rastrello, che cadde percuotendo un secchio di latta. Mi girai di soprassalto.
Dietro il secchio caduto stava una quarta creatura. Questa aveva seni prosperosi, ma attributi decisamente maschili, anche se forse vi era anche una piccola vulva, cosa che all’epoca non ero in grado di appurare. Si toccava con le mani sia i seni che il pisello in un modo che non avevo mai visto fare e che pure mi affascinava. Il volto scimmiesco, ma a suo modo affascinante, aveva un’espressione di piacere che io di certo non avevo mai avuto, neppure con lo zabaione.
– Vieni via, sei un po’ piccolo per farci amicizia.
La voce di zia Matilda ruppe l’ipnosi in cui ero caduto e con vergogna mi resi conto che stavo infilando le mani nei pantaloni.
– Vieni, è ora di merenda – continuò la zia, con dolcezza.
– Chi sono? – chiesi.
Ne avevo visto un altro. Aveva messo un piccolo cappio attaccato a una trave nel soffitto e sembrava intenzionato ad impiccarcisi, zia Matilda, però, non sembrava preoccupata. Aveva in mano una bottiglia di grappa che con naturalezza mise in mano alla creatura spennacchiata, in sostituzione a quella già svuotata.
– I miei demoni – rispose, tranquilla. – Un sacco di gente ne ha uno addosso, ma non lo sa trattare a dovere. Io li tengo bene e non permetto che vadano in giro a saltare su chicchessia.
Di colpo non mi interessava più.
– Andiamo a giocare a rubamazzo, zia? – proposi. – Però ci puntiamo dei soldi. La busta di Natale. Se vinco io mi ci metti due cinquantamila dentro, se perdo ti do la mia collezione di figurine dei calciatori. Potremmo anche giocare a tris, io punto la mia macchinina nuova, quella che cambia colore se la metti nell’acqua calda, tu cosa ti giochi?
La zia mi fissò con attenzione, senza tuttavia riuscire a farmi smettere di parlare. Avevo una voglia matta di tornare a casa a giocare. A dire in vero non avevo voglia di giocare. Avevo voglia di vincere. Vincere cose.
– Ecco, immaginavo. Sciò! Via! Torna a cuccia – gridò, con lo stesso tono con cui scacciava le galline.
Dalla mia spalla scese un’altra di quelle creature, magra e con gli occhi furbi. Aveva in mano delle carte e mi accorsi che ne era rimasta una sulla mia spalla. Un due di picche.
– Andiamo a far merenda – disse la zia.
Io annuii. Non avevo più voglia di giocare.
– Dove si trovano i demoni? – chiesi.
– Un po’ ovunque, sulle spalle delle persone più impensabili – rispose la zia.
Sospirò e parve soppesarmi.
– Più avanti, magari, ti spiegherò come prenderli senza farti male. Per ora, però, sarà il nostro segreto.
Io annuii. Adesso che il Demone del Gioco era sceso dalla spalla tutta la mia attenzione era rivolta all’imminente zabaione.
Come pattuito, raccontai che Caterina era stata con me tutto il pomeriggio. Tornai ancora da zia Matilda, ma trovai sempre il capanno chiuso. Qualche volta, furtivo, mi ci avvicinai. Sentii ancora l’odore della grappa del Demone dell’Alcool e persino i versi osceni e affascinanti di quello della Lussuria, ma non ci entrai più.
La primavera seguente a papà fu offerto un lavoro lontano e ci trasferimmo. Nonostante i buoni propositi, finimmo per andare a trovare sempre meno zia Matilda.
Una volta, un paio di anni dopo, sentendo parlare di un uomo vittima del demone dell’alcool chiesi se il demone avesse le piume. Tutti mi guardarono in un modo così strano che ritenni in caso di non parlarne più.
In effetti ho raccontato questa storia a una sola persona.
Anche se con il passare degli anni ci ho pensato sempre meno non l’ho mai dimenticata del tutto e ogni tanto, crescendo, ho finito per chiedermi cosa fosse successo davvero in quel capanno. La mia ragazza, ai tempi dell’università, studiava psicologia. Quando le raccontai dei demoni di zia Matilde mi disse con dolcezza, ma senza troppi giri di parole, che ero stato abusato e la mia mente aveva creato la storia degli animaletti a forma di scimmia per proteggersi. Che ora i ricordi stavano emergendo e avrei dovuto farmi aiutare, se volevo diventare un adulto sereno. In caso contrario la cosa mi avrebbe rovinato la vita.
In effetti rovinò quella relazione. Io non avevo nessuna voglia di farmi psicanalizzare e non mi sentivo addosso alcun trauma e la mia ragazza continuava a insistere che invece dovevo parlarne, farmi ipnotizzare, che lei voleva aiutarmi ma non sapeva come fare. Ogni volta che ci vedevamo finiva col piangere per il mio supposto trauma e alla fine la mollai. Decisi che probabilmente mi ero immaginato tutto e non volli più né pensarci né parlarne. Da allora, probabilmente, non parlai più di zia Matilda.
Fino a questa mattina.
Mi ha telefonato un avvocato di Milano, un tizio piuttosto importante, non il genere di frequentazione che avrei attribuito a zia Matilda. Mi ha informato del decesso e ha spiegato che nel testamento la zia aveva specificato che gli immobili sarebbero andati a me, mentre i risparmi e i, suppongo pochi, gioielli, agli altri pronipoti. La casa, il terreno e il capanno, quindi, sono miei.
– È successa una cosa strana, però, che forse è bene che sappia – mi ha raccontato l’avvocato, prima di passare alle istruzioni legali. – Sua zia, nonostante l’età, era ancora autonoma. I vicini, non vedendola da due giorni, hanno chiamato i carabinieri, che l’hanno trovata morta nel capanno. Infarto, nulla di sorprendente, considerato tutto. La cosa strana è che i due carabinieri hanno portato fuori il corpo, chiamato chi di dovere, ma non sono rientrati in caserma. Uno si è suicidato quella sera stessa, dopo aver perso al casinò di Lugano tutti i suoi averi e l’altro ha accoltellato un vecchio amico di sua moglie, convinto che ne fosse l’amante.
– Appena usciti da capanno di mia zia, eh? – ho mormorato.
– Già…
Questo racconto mi è piaciuto un sacco, così come mi piace tanto che tu quasi quasi pubblichi più spesso ora che c'è la pupattola. Un bacino a entrambe. Sandra
RispondiEliminaQuando riprenderò a lavorare sarà assai meno facile, temo...
EliminaSe la pupattola dorme con l'accompagnamento del martello pneumatico prevedo tempi duri :)
RispondiEliminaBel racconto. Io i miei demoni li vedo sotto forma di gatti: invariabilmente mi fanno fare quello che vogliono. Il Persiano sa cosa intendo. ;)
Adesso fa nanna con accompagnamento di documentario...
EliminaTutti i gatti fanno sempre quello che vogliono, i demoni riescono a far fare anche a te quello che vogliono loro (sì, lo so, spesso ci riescono anche i gatti...)
Bello!!!!
RispondiEliminaTi auguro che la pupattola continui a dormire ... il mio pupattolo grande il primo pomeriggio che ha dormito è stato quando aveva tre mesi e sotto le frecce tricolori ...
Le frecce tricolori ancora ci mancano... Per il momento sembra essersi assestata e fa una nanna verso metà pomeriggio (con grande gioia della mia scrittura).
EliminaBello! Spero in altri sonnellini e aspetto altre storie incredibili.
RispondiElimina:)
EliminaBello. Mi ha fatto venire in mente il "gobbo sfaccendato" di Alda Merini, chissà perché.
RispondiEliminaMi è piaciuto un po' meno il finale. :-)
I demoni in libertà, si sa, non sono una buona idea...
EliminaTu riesci sempre a stupirmi con la tua grande fantasia nelle idee e semplicità nella prosa, cura nei dettagli. E Ci fai tornare bambini in pochi attimi. Sapessimo tutti scrivere così...
RispondiEliminaC'è un refuso da correggere: testa al posto di tesa.
Ho proprio scritto di fretta, se ce la faccia sistemo il tutto.
EliminaPer il resto :)
Direi le stesse cose di Helgaldo. Brava.
RispondiElimina:)
EliminaMi è piaciuto molto, condivido!
RispondiEliminaMi ha ricordato vagamente il film The Babadook, soprattutto nel finale :)
Non l'ho visto... Temo mi faccia paura...
EliminaSei brava, brava, brava. E quando racconti dal punto di vista dei bambini fai sempre centro. :)
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