mercoledì 25 gennaio 2017

Quello che mi serve per scrivere un racconto – scrittevolezze


I giorni scorsi sono stati un pochetto incasinati, mio padre ha finalmente fatto un'operazione chirurgica da troppo tempo rimandata e io ho scoperto di non avere il dono dell'ubiquità. Ospedale o casa di mamma o casa con pupattola, toccava scegliere e la pupattola non poteva essere portata in ospedale, né poteva stare sola con mia mamma; a casa mia, con i lavori in corso non c'era la possibilità di ospitare mamma, a casa di mamma non c'era la possibilità di ospitare quella tonnellata e mezza di roba che serve per un esserino di neppure settanta centimetri. Alla fine papà, a parte essere stato sgridato dal chirurgo per aver aspettato tanto, se l'è cavata alla grande e io mi sono trovata con trentanove di febbre, forse, dico forse, perché mi sono stancata e stressata un pochetto.
Nei giorni precedenti al ricovero di babbo mi sono fatta un regalo, però, ho scritto un racconto.
Un racconto con cui avevo un conto in sospeso da circa dieci anni, perché fa parte di quella saga a cui appartengono i quattro racconti conclusivi de La spada, il cuore e lo zaffiro. È stato strano riuscire finalmente a mettere su carta eventi che sono stati pensati da più di dieci anni e questo mi ha fatto pensare a cosa sia per me un racconto e a cosa mi serva per scriverne uno. Ovviamente vale per me e solo per me, ma mi piace condividere con voi il mio ragionamento.

Per scrivere un racconto non mi basta conoscere i fatti che devo raccontare.
Non mi basta conoscere in dettaglio i personaggi che vi devono apparire.
Non mi basta conoscere l'atmosfera e il tono del racconto.
Né scegliere il punto di vista e definire fabula e intreccio.

Nel caso specifico andavo a lavorare su un contesto definito da anni. Oltre tutto avevo già tentato due volte di scrivere questo racconto, senza riuscirci, quindi mi era ben chiaro cosa dovesse accadere, quali fossero i personaggi coinvolti, quale il punto di vista.
Per scrivere un racconto ho bisogno di stabilire quale sia il suo nucleo tematico. 
Perché, ho scoperto, il "di che cosa voglio parlare" spesso non coincide al 100% con "il che cosa succede". Questa probabilmente è una fissazione mia. Io amo, ad esempio, i film pieni di sottotesti in cui c'è una vicenda e una vicenda sotterranea. 
Un film che ho adorato, ad esempio, è La talpa, in cui quello che succede è una storia di spionaggio e quello di cui parla è una serie di rapporti traditi, di fiducia, addirittura amori impossibili, e se ne sia valsa la pena. Io ovviamente non sono così brava da creare un sottotesto così forte, ma mi piace sviluppare completamente un tema all'interno del racconto.
Cioè il finale non deve solo concludere una vicenda, anzi, può anche non chiuderla e rimanere un finale aperto, ma deve sviluppare del tutto il tema narrativo. Alla fine il lettore può anche non conoscere la sorte dei protagonisti del racconto, ma il tema narrativo è stato sviscerato.
Sono riuscita a scrivere il mio racconto, di cui da anni conoscevo personaggi ed eventi, quando ho trovato il tema che volevo trattare, o il tema adatto ad essere trattato da questo racconto. In questo caso, come spesso mi accade, il tema ha preso la forma di una domanda, che può essere riassunta più o meno in: fino a che punto conformarsi alle aspettative di chi ci ama? Che mi sembrava interessante o comunque più interessante di un generico "fino a che punto conformarsi alle aspettative degli altri?". Anche chi ci vuol bene, sopratutto chi ci vuol bene, si aspetta qualcosa da noi e ci propone, spesso con le migliori intenzioni, dei modelli di comportamento ma non è detto che questi ci si adattino. Trovato questo scrivere in racconto (se sia venuto bene o male non lo so) è stato facilissimo, 51000 battute buttate lì in una manciata di ore di lavoro, durante le nanne della pupattola e mi è sembrato ridicolo aver impiegato dieci anni per riuscire a scriverlo. Addirittura, appena capito di cosa volessi davvero parlare mi è anche venuto naturale l'incipit, che tutto sommato mi piace anche  e vi riporto:
Le onde lievi riflettevano la luce del sole, dando l’impressione di essere su una distesa di ardente metallo fuso. Il mare era invece freddo e popolato di squali.
Incipit che per altro non ha nulla a che vedere col nucleo tematico, ma con il fatto che le cose andranno per il mio protagonista dannatamente male.

Un'altra cosa mi ha colpito.
Per scrivere un racconto devo lasciare aperta la porta dell'imprevisto e del non conosciuto.
Quando parto a scrivere qualcosa io di solito l'ho lungamente pensato, ho modulato nella mia mente almeno le prime frasi, conosco i passaggi principali, la scansione del racconto e ho un'idea abbastanza precisa della lunghezza (qui stimata infatti tra le 50000 e le 60000 battute). Però non tutto può essere calcolato e calcolabile, se no non è più scrittura, è contabilità. Un sacco di autori fanno della buona contabilità narrativa, tot pagine, tot colpi di scena, tot dialoghi, tre atti, picco drammatico e tutto il resto. Se ci devi campare lungi da me dire che non sia giusto. Io però vivo la narrativa anche come uno spazio di libertà. Qualcosa nello scrivere mi deve stupire. In questo caso gli eventi erano già decisi da anni, ma di fatto c'era un personaggio che non avevo mai portato in scena.
Di lui credevo di sapere tutto, l'aspetto e il carattere, l'ho anche modulato su un personaggio storico per me parecchio affascinante. E niente, ho scoperto che mi è antipatico. Ho scoperto, mentre lo scrivevo, che non era poi così idealista o lineare nel suo agire. Cosa che me lo ha reso subito più interessante e più umano, ma che non mi aspettavo. Il mio protagonista ne è innamorato, ma io, scrivendo, ho avuto il forte sospetto che il sentimento non fosse poi così ricambiato. Ma non indago oltre, lascio l'ombra, il non detto e il non narrato, perché forse non tutto deve essere noto agli autori, che conoscono i destini, ma sulle anime forse è bene che lascino aperti spirargli di interpretazione.

Tutto questo discorso è partito da un racconto che probabilmente non pubblicherò mai, ma mi ha dato modo di pensare. Più o meno ho capito cosa mi serve per scrivere un racconto.
A voi cosa serve?

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24 commenti:

  1. Risposte
    1. Certo che te lo mando (se non riprendevo in mano il corpus per l'antologia forse non l'avrei mai scritto). Magari però prima lo rileggo quando mi è passata la febbre (e speriamo che sia già domani sera, se no chissà cosa mi trovo a dire...)

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  2. Felice per tuo papà, questo mi preme dirtelo. Sto un po' trascurando di commentare e in questo momento sto cercando di fare un recuperone su diversi blog/post. Per scrivere un racconto mi serve di solito un'idea forte che mi faccia abbandonare il solito predominante lavoro sul romanzo di turno. O anche un'occasione: concorso, Natale. Il tuo incipit mi piace molto. Sandra

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    1. L'occasione, certo, ma, come dici, tu, serve un'idea forte in aggiunta a trama e personaggi.

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  3. È sempre utile portarselo dietro, il dono dell'ubiquità. :P

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  4. Ho appena scritto un racconto per partecipare a un concorso, e anch'io l'ho fatto a partire da un'idea che avevo da un po’ in stand-by. Per scriverlo (oltre alla motivazione) a me soprattutto è servito aver chiara l'atmosfera che volevo "esplorare". Diciamo che in questo caso all'inizio conoscevo il protagonista e nient'altro, ma quando ho trovato l'atmosfera, ho potuto inventare il nocciolo della trama e il finale, e quindi iniziare a scrivere.
    Buona guarigione a tuo padre…

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    1. Sì, c'è sempre un momento in cui sei pronto a partire. A volte ci vuole un'ora a trovarlo, a volte anni.
      Ps: grazie di cuore

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  5. Il sottotesto è fondamentale; senza, la storia perde profondità. Per quanto possano esserci eccezioni (penso a Holmes, ad esempio: immagino che il lettore tipo cerchi il meccanismo oliato nella trama, più che il sottotesto) di sicuro anche le storie di genere che più pretendono una trama traggono beneficio dall'esistenza di un livello diverso, che ponga il lettore davanti a uno dei temi che la vita ci chiede di affrontare tutti i giorni.

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    1. Sottotesto, Watson, il sottotesto è il segreto, sempre.
      Non potrei mai scrivere un apocrifo senza un tema in sottotesto. Poi ci vuole anche un buon giallo. Infatti faccio una fatica immane (divertente ma immane) a scriverli

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    2. Si vede che non ho mai provato a scriverne uno :)

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    3. Puoi provare a leggere i miei, se ti va ;)

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  6. Ho visto di recente La talpa, m'è piaciuto molto.
    Riguardo al tema della storia mi trovo d'accordo, vorrei parlarne anche io in un articolo.
    E concordo: ciò che succede è una cosa, il tema della storia è un'altra.
    Una volta pensavo che non fosse necessario il tema - mi pare, anzi, lo avessi detto in un commento da Chiara tempo fa - ma ora mi sono accorto che a me le idee nascono più sotto forma di temi che di successione di eventi.
    D'accordo anche sull'imprevedibilità di certi elementi nella storia. A me piace la struttura, ma quando la creo so che mentre scriverò dovrò modificare qualcosa, per forza. Non puoi calcolare tutto.

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    1. Sì, concordo e non si può calcolare tutto, probabilmente non si deve. Quando io inizio a scrivere ho un'idea molto precisa sul cosa accadrà, quando e come, ma deve rimanere uno spiraglio di incertezza e possibilità altra.

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  7. In effetti, più in generale, quando si racconta una storia non si racconta "una trama" ma, al contrario, si usa una trama per sviluppare altri argomenti, idee, pensieri. Una trama fine a se stessa spesso è terribilmente vuota e fredda.

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    1. Ci sono trame che hanno una loro storia intrinseca e momenti in cui vogliamo solo una storia, senza sottointesi o, peggio, morali. Però a me, come a te, spiace appunto sviluppare argomenti, idee e pensieri.

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  8. Bello questo concetto del tema all'interno di un racconto, sai che non ci avevo mai pensato? Bello l'incipit, secondo me il racconto devi pubblicarlo, soprattutto perchè questo racconto ha aspettato tutto questo tempo è adesso che è nato lascialo volare :-)

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    1. Beh, il pubblicarlo non dipende solo da me (50000 battute sono decisamente troppe per il blog), ma sono contenta che l'incipit ti sia piaciuto.

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  9. Ti invidio perché qualsiasi follia caotica stia capitando nella tua vita a ogni momento riesci a chiudere fuori il mondo e scrivere.
    Io ogni giorno mi riprometto di aprire il file del romanzo o almeno di fare cinque minuti di brainstorming ma il mio unico neurone ancora funzionante si dedica sempre ad altro.

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    1. In realtà non è proprio così (purtroppo). Ho un romanzo da terminare e non ho testa per farlo. Ho un romanzo da rivedere e ho il terrore di farlo. I racconti sono progetti circoscritti che si risolvono in una manciata di giorni, quindi mi risulta più facile immergermi in essi nei ritargli di tempo, ma non scrivo quanto vorrei o con la costanza che vorrei.

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  10. Questo articolo mi è piaciuto moltissimo! Adesso però mi hai messo la curiosità di chi sia questo personaggio storico che improvvisamente ti è diventato antipatico...

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    1. Non è un personaggio fantastico, inspirato a un personaggio storico. Il mio personaggio mi è diventato antipatico, quello originale, poveretto morto giovanissimo, no.

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  11. Leggo questo post nel giorno esatto in cui, dopo avere scoeprto di non avere avuto risultati a un concorso, ho riletto il racconto e mi sono detta: in effetti non è granché, ma ho fatto bene a scriverlo perché mi serviva la possibilità di parlare di un tema che si agitava da qualche parte dentro di me. Quindi ti do ragione: c'è più nel racconto di quello che sembra (anche all'autore), ed è una parte che forse non riesci a sviluppare se non accetti la parte più misteriosa dello scrivere.

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    1. Scrivere non mi interesserebbe molto se non ci fosse la parte misteriosa.

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