È da tempo che medito questo post e, dato che il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, giornata in cui di solito si sentono dire un sacco di banalità, si sta avvicinando, ho deciso che non poteva più aspettare.
Nessuno più di me conosce le assurdità e il fanatismo di un certo femminismo. Perché mia madre apparteneva a quelle correnti femministe. Nel suo benintenzionato tentativo di crescermi in modo più possibile neutro, mi ha convinto che gli orecchini fossero come gli anelli al naso delle mucche e che truccarsi volesse dire nascondersi e vergognarsi della propria faccia. Nelle foto dei primi anni delle elementari sono indistinguibile dai maschietti, con i capelli a spazzola e i pantaloni. L'unica gonna rosa che possedevo me l'aveva comprata mia nonna di nascosto e la indossavo solo quando stavo da lei e mia madre era ben lontana.
Per questo, suppongo, negli anni del liceo, quando cercavo un equilibrio tra identità e accettazione, spesso esordivo con "non sono certo femminista, ma..."
Del resto quel "non sono certo femminista" andava e va per la maggiore e nessuno più di me capisce la necessità di prendere le distanze da un certo femminismo.
Eppure oggi, che mi trovo a formare nuove generazioni e a crescere una figlia, di un po' di femminismo sento la mancanza.
Non tanto del femminismo di mia madre, che voleva imporre un nuovo modello femminile che, in quanto imposto, risultava coercitivo tanto quello precedente (e comunque no, i buchi alle orecchie non li farò mai e mia figlia li farà, se vorrà, raggiunta l'età della ragione, perché nessuno è ancora riuscito a convincermi che non sia traumatico quanto la marchiatura del bestiame).
Il femminismo di cui sento la mancanza è quello che non dice che le donne devono, ma che le donne POSSONO.
Che possono partire e scalare l'Everest oppure stare a casa a fare le casalinghe, secondo la loro indole e la loro attitudine. E che una donna che scala l'Everest ha diritto, se lo desidera, a costruirsi una famiglia come quella che fa la casalinga e che nessuna debba considerarsi o essere considerata una donna migliore (un'alpinista migliore in un caso, una cuoca migliore in un altro, in entrambi i casi persone).
Mi manca il femminismo che ha lottato perché l'uguaglianza fosse sancita sul piano legislativo. Perché è troppo facile dimenticare che mia nonna per parte della sua vita non ha potuto votare.
Mi manca il femminismo che ha lottato perché fossero approvate alcune leggi di cui personalmente non voglio che avvalermi, ma che trovo sacrosanto ci siano. Perché è troppo facile dire che l'aborto è male (cosa su cui a livello personale posso anche essere d'accordo) e poi fingere di non vedere se viene praticato al di fuori della legge. È molto più difficile e onesto e faticoso accettare che una pratica che non si riesce a debellare sia legale e operare attivamente perché chi si trova in condizioni di disagio con un figlio non voluto possa crescerlo in modo dignitoso.
Perché, parliamoci chiaro, se una ragazzina molto giovane rimane incinta, per dire, il lui del momento si eclissa e per lei portare avanti una gravidanza è un martirio sociale. Oltre a tutte le difficoltà intrinseche viene additata come zoccola e come se quel figlio fosse una colpa da scontare.
Mi manca un femminismo che spieghi a tutti che una ragazzina incinta non sta espiando una colpa e che ha il sacrosanto diritto a vivere la sua età e la sua condizione insieme, se lo desidera.
Mi manca un femminismo che dica a chiare lettere che il "si fa ma non si dice", magari in strutture non a norma, è assai peggio del "lo si fa in casi estremi in sicurezza e legalità".
Mi manca, mi manca tantissimo un femminismo che metta al centro la solidarietà.
Ci pensavo vedendo un film ambientato negli anni '70 (non in Italia) in cui c'era una manifestazione di solidarietà per la vittima di una violenza da parte di un gruppo femminista.
In Italia negli ultimi mesi gli episodi di violenza a danni delle donne non sono mancati, ma la solidarietà non l'ho vista.
Ho visto cose agghiaccianti dette da donne ad altre donne.
Due fatti, più di altri, mi hanno agghiacciata (per sensibilità personale, suppongo).
Il caso della ragazza sfregiata dal suo ex che torna a lavorare come addestratrice di otarie e a cui alcuni sedicenti animalisti augurano le peggio cose perché nella struttura per cui lavora, a sua insaputa, potrebbero esserci stati maltrattamenti agli animali.
A parte la follia del prendersela con lei (se un'ipotetica collega in un'ipotetica altra classe ha un comportamento scorretto io non ne ho colpa e probabilmente neppure lo so), la follia più follia è che le "peggio cose" avevano a che fare con quanto già aveva subito.
Ancora peggio, per la mia sensibilità, il caso delle ragazze straniere che accusano di stupro due carabinieri.
Mentre i magistrati nelle ore immediatamente successive andavano parlando di "gravi indizi di colpevolezza" e, almeno per uno dei dei due indagati di "precedenti da tenere in considerazione", si scatenava ogni sorta di commento, non solo al bar o su fb, ma anche su i mezzi di comunicazione gestiti, in teoria di professionisti.
Invece di essere preoccupati dal fatto che, nella migliore delle ipotesi, in questo caso si avevano dei tutori dell'ordine che in servizio si facevano gli affaracci propri e nella peggiore un reato grave, tanti blateravano di ragazze che volevano incastrare i carabinieri a fini estorsivi e di atteggiamenti provocanti. Molti di questi erano donne.
Da ex studentessa turista all'estero ho pensato a tutte le volte in cui una persona armata e in divisa avrebbe potuto avvicinarmi. Come mi sarei sentita? Inerme e terrorizzata. Cosa avrei fatto? Tutto il possibile per limitare i danni e uscirne viva.
Cosa caspita è accaduto al nostro paese perché il primo pensiero fosse contro le vittime?
Perché mai la solidarietà alle vittime è stata data solo in forma personale e a macchia di leopardo?
Ho scelto dei fatti accaduti mesi fa per evitare di citarne altri su cui il polverone è ancora alto, eppure non in un caso c'è stato un movimento di solidarietà nei confronti delle vittime.
Gli atti di violenza in sé mi spaventano fino a un certo punto. Quello che mi terrorizza è questo dilagante pensiero che sia la vittima a dover dimostrare di essere tale, non il presunto colpevole a dover dimostrare la sua innocenza, come avviene in qualsiasi altro genere di accusa. L'idea che la vittima sia un pochino colpevole perché "provoca", "se l'è cercata", "non era certo una santa". Mi terrorizza il fatto che a esprimere queste opinioni siano altre donne.
Sento la mancanza di un certo femminismo. Fatico a trovare siti e luoghi di incontro che trattino questi temi non perché "è la giornata contro la violenza sulle donne e dobbiamo farlo" e si adoperino sul territorio per combattere la disparità di genere.
Mi interrogo, come prof, come mamma, ma anche come autrice su come si possa fare. Non giungo, però, a risposte rassicuranti, perché l'azione del singolo, quando si tratta di smuovere mentalità, a meno che non sia eclatante, agisce solo fino a un certo punto.
Mi manca un femminismo che spieghi a tutti che una ragazzina incinta non sta espiando una colpa e che ha il sacrosanto diritto a vivere la sua età e la sua condizione insieme, se lo desidera.
Mi manca un femminismo che dica a chiare lettere che il "si fa ma non si dice", magari in strutture non a norma, è assai peggio del "lo si fa in casi estremi in sicurezza e legalità".
Mi manca, mi manca tantissimo un femminismo che metta al centro la solidarietà.
Ci pensavo vedendo un film ambientato negli anni '70 (non in Italia) in cui c'era una manifestazione di solidarietà per la vittima di una violenza da parte di un gruppo femminista.
In Italia negli ultimi mesi gli episodi di violenza a danni delle donne non sono mancati, ma la solidarietà non l'ho vista.
Ho visto cose agghiaccianti dette da donne ad altre donne.
Due fatti, più di altri, mi hanno agghiacciata (per sensibilità personale, suppongo).
Il caso della ragazza sfregiata dal suo ex che torna a lavorare come addestratrice di otarie e a cui alcuni sedicenti animalisti augurano le peggio cose perché nella struttura per cui lavora, a sua insaputa, potrebbero esserci stati maltrattamenti agli animali.
A parte la follia del prendersela con lei (se un'ipotetica collega in un'ipotetica altra classe ha un comportamento scorretto io non ne ho colpa e probabilmente neppure lo so), la follia più follia è che le "peggio cose" avevano a che fare con quanto già aveva subito.
Ancora peggio, per la mia sensibilità, il caso delle ragazze straniere che accusano di stupro due carabinieri.
Mentre i magistrati nelle ore immediatamente successive andavano parlando di "gravi indizi di colpevolezza" e, almeno per uno dei dei due indagati di "precedenti da tenere in considerazione", si scatenava ogni sorta di commento, non solo al bar o su fb, ma anche su i mezzi di comunicazione gestiti, in teoria di professionisti.
Invece di essere preoccupati dal fatto che, nella migliore delle ipotesi, in questo caso si avevano dei tutori dell'ordine che in servizio si facevano gli affaracci propri e nella peggiore un reato grave, tanti blateravano di ragazze che volevano incastrare i carabinieri a fini estorsivi e di atteggiamenti provocanti. Molti di questi erano donne.
Da ex studentessa turista all'estero ho pensato a tutte le volte in cui una persona armata e in divisa avrebbe potuto avvicinarmi. Come mi sarei sentita? Inerme e terrorizzata. Cosa avrei fatto? Tutto il possibile per limitare i danni e uscirne viva.
Cosa caspita è accaduto al nostro paese perché il primo pensiero fosse contro le vittime?
Perché mai la solidarietà alle vittime è stata data solo in forma personale e a macchia di leopardo?
Ho scelto dei fatti accaduti mesi fa per evitare di citarne altri su cui il polverone è ancora alto, eppure non in un caso c'è stato un movimento di solidarietà nei confronti delle vittime.
Gli atti di violenza in sé mi spaventano fino a un certo punto. Quello che mi terrorizza è questo dilagante pensiero che sia la vittima a dover dimostrare di essere tale, non il presunto colpevole a dover dimostrare la sua innocenza, come avviene in qualsiasi altro genere di accusa. L'idea che la vittima sia un pochino colpevole perché "provoca", "se l'è cercata", "non era certo una santa". Mi terrorizza il fatto che a esprimere queste opinioni siano altre donne.
Sento la mancanza di un certo femminismo. Fatico a trovare siti e luoghi di incontro che trattino questi temi non perché "è la giornata contro la violenza sulle donne e dobbiamo farlo" e si adoperino sul territorio per combattere la disparità di genere.
Mi interrogo, come prof, come mamma, ma anche come autrice su come si possa fare. Non giungo, però, a risposte rassicuranti, perché l'azione del singolo, quando si tratta di smuovere mentalità, a meno che non sia eclatante, agisce solo fino a un certo punto.
Tua mamma e la mia devono essere gemelle, quanto disprezzo mostra ancora oggi quando parla di buchi alle orecchie (io ormai ne ho 5....! ). Ricordo bene il caso sul (presunto?!) stupro delle due straniere. A prescindere dal fatto che sia vero o falso, mi colpì che la prima informazione che ebbi al riguardo fu "le due avevano appena stipulato in patria una assicurazione contro lo stupro". Ma è il modo di dare la notizia 😲
RispondiEliminaInfatti il modo in cui è stata data la notizia è aberrante.
EliminaMentre i magistrati stavano già dicendo "fermi, ci sono prove che almeno uno dei due carabinieri non è uno stinco di santo" (ora il processo è in corso, ma ci sono prove pensanti a carico e dei precedenti) uscivano notizie in cui le presunte vittime erano presentate come quasi sicure colpevoli.
E non mi pare che ci siano state grandi manifestazioni di solidarietà.
Quanto alle nostre madri, beh, abbiamo avuto un'infanzia interessante, ma anche un po' straniante.
Forse la tua mamma esagerava, tuttavia la comprendo e l’approvo. L’idea di fondo era quella di essere sé stesse senza dover per forza compiacere gli altri, inclusi i maschi. Nel corso degli anni, purtroppo, la donna è ritornata a mettersi in mostra, cambiando o modificando persino i connotati, come se l’apparire fosse più importante dell’essere. Oggi, più che ai maschi, la donna sembra presa dalla smania di stupire e compiacere il mondo intero, anche e soprattutto quello virtuale. Quante immagini postate su f.b. per ricevere un complimento di approvazione.
RispondiEliminaDonna tu vali per quello che sei non per come appari, ricordalo.
sinforosa
Sì, a me sembra che ci sia un regresso su alcune tematiche e che siano le donne, spesso, le peggiori nemiche delle donne, le prime a criticare le altre per come si vestono, cosa fanno o non fanno, cosa è giusto fare in circostanze in cui non c'è una scelta giusta.
EliminaQualcosa nel femminismo è andato decisamente storto...
Penso che il femminismo, come tutti gli -ismi d'altronde, debba "solo" evitare di diventare troppo talebano. Rivendicare dei diritti è sacrosanto; fare crociate non contro il "nemico" ma contro il tuo stesso sodale perché "colpevole" di non appoggiare la causa mi sembra eccessivo. Per dire: certi commenti velenosi contro le donne che dichiarano di non voler lavorare perché vogliono occuparsi a tempo pieno dei figli li ho letti da parte di donne femministe, ed avevano una ferocia da far paura.
RispondiEliminaInfatti la premessa è proprio che conosco gli eccessi e li trovo ridicoli e dannosi. L'essere stata una bambina infagottata in abiti informi dal colore indefinito non mi ha reso una donna migliore, solo una più insicura.
EliminaPerò quello che vedo in questi anni è un ritorno alla donna oggetto che si merita sempre e comunque il male che le capita. E non mi piace per niente.
Il vero problema è la categorizzazione, secondo me.
RispondiEliminaOgni caso va preso a sé. Oggi invece si racchiude tutto sotto un certo nome e via.
Questo fa male soprattutto alle donne e al femminismo.
Purtroppo ci si dimentica il vero senso di una battaglia e ci si basa su un confronto di genere: gonna no, pantaloni sì, dove sta scritto che una donna debba cucinare o stirare, e cose simili.
Però mi ha colpito molto il messaggio di Sinforosa, sai?
Ha ragione, ma quel che dice vale anche per gli uomini...
Moz-
C'è una generale insicurezza che ci rende tutti più smaniosi di apparire e più aggressivi. Ma quando le vittime dell'aggressività e della cattiveria altrui sono già vittime di violenze e maltrattamenti la cosa mi sembra vergognosa.
EliminaCondivido appieno il tuo approccio. Hai scritto quello che io, dopo aver letto il titolo su Facebook e prima di leggere il post, avrei voluto dire nel mio commento. Ovvero, che secondo me la donna non raggiunge la cosiddetta parità con l'uomo rinunciando alla propria femminilità, come spesso sembra essere richiesto dai cultori delle "quote rosa", ma ottenendo dal Sistema la libertà di essere se stessa in ogni circostanza, la possibilità di scelta. Io non rinnego il corpo in cui sono nata, né il gusto che l'educazione ha inculcato in me. Non accetterei mai di farmi crescere i peli sulle gambe e sotto le ascelle (conosco una ragazza che lo fa) per non essere considerata una "donna oggetto", perché questo mi porterebbe a dar ragione a un sistema patriarcale che giustifica certi comportamenti. Invece, quello che si deve capire, è che una donna in minigonna e tacchi a spillo vale quanto una casalinga e quanto una manager rampante, e che tutte e tre hanno diritto alla propria libertà di scelta, e a esprimere il proprio sé come meglio credono.
RispondiEliminaEspressioni come "una donna che porta i pantaloni" o "una donna con le palle" dovrebbe essere eliminate dalla parlata comune, perché l'assenza di discriminazione non deve dipendere da una mascolinizzazione della donna, ma dalla possibilità per quest'ultima di esprimere la propria femminilità senza che essa attivi un preconcetto.
Tra i casi di "vittima incompresa", mi è venuto in mente anche quello di Asia Argento...
Sottoscrivo ogni tua parola.
Elimina"non dice che le donne devono, ma che le donne POSSONO"
RispondiEliminaMi piace questa espressione, è più o meno il principio che cerco di seguire nell'educazione delle mie figlie.
Riguardo la mancanza di solidarietà, invece, sono sottilmente in disaccordo: le vittime di cui parli sono innanzi tutto persone e meritano solidarietà in quanto tali, in nome della dignità umana prima ancora che del femminismo.
Questo non toglie che ancora oggi esista una discriminazione dei sessi e che debba essere combattuta attraverso la legislazione, la comunicazione (dei mass media) e l'educazione.
Noi come genitori, tu anche come professoressa e autrice, possiamo agire solo fino ad un certo punto... ma non sarà questo a scoraggiarci, vero? =)
Non sarà questo, spero!
EliminaHo letto il tuo post tutto d'un fiato, inutile dire che concordo con tutto quello che hai scritto. Anche a me manca un certo tipo di femminismo, ma manca soprattutto quella solidarietà tra donne di cui ci sarebbe tanto bisogno. Inorridisco quando leggo di certi attacchi alle vittime di stupro fatto proprio da altre donne e mi chiedo come sia possibile (e mi stupisco tutte le volte).
RispondiEliminaSolidarietà, questa sconosciuta.
EliminaIl femminismo di cui senti la mancanza tu è anche quello che cerco di portare avanti io. A volte anch'io mi sento un po' sola, nella vita reale, ma internet mi ha permesso di incontrare gruppi di persone che la pensano come me e combattono contro gli stereotipi di genere!
RispondiEliminaFortuna che internet serve anche a questo, perché è il mondo virtuale (virtuale fino a un certo punto) che rivela spesso la crudeltà agghiacciante delle donne contro le donne.
EliminaQuello che trovo davvero agghiacciante è la mancanza di solidarietà tra donne. Il trinciar giudizi senza un minimo di compassione e senza nemmeno conoscere il contesto è tipico del nostro tempo: si leggono due righe su un giornale e subito si comincia a scagliare pietre. E il più delle volte si va anche dietro al gregge.
RispondiEliminaGià. Sig.
EliminaTrovo il tuo post bellissimo e condivido ogni tua singola parola.
RispondiEliminaPurtroppo anche il femminismo cede ai dettami che regolano i movimenti di stampo politico e culturale. Si impone in quanto pensa di essere portatore di una verità assoluta, credendo di fare del bene.
Spero che prima o poi si arrivi a questo tipo di femminismo, più ricco di possibilità e meno di doveri :)
In realtà è un femminismo, quello in cui mi riconosco, con attivisti che ne hanno espresso gli ideale molto meglio di me. Ma non sembra esserci stato un ricambio generazionale e sembra del tutto sparito. Rimane il fantasma del femminismo "talebano", mentre i vecchi stereotipi sembrano godere di ottima salute
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