venerdì 28 settembre 2018

Padrone del tuo destino – racconto a puntate, capitolo 1

Eccoci con la "storia particolare".
Di tutte le mie remore ho già parlato altrove.
Non mi resta che farvela leggere. 

Questa storia nasce, in modo curioso, da un'affermazione di uno dei personaggi che, nella mia mente, mi spiegava come la sua non può essere considerata, o almeno non in toto, una storia disneyana in cui un ragazzo venuto dal nulla viene salvato dal suo grande talento. Lo è, ma anche no, perché altra gente, che aveva altrettanto talento, non ce l'ha fatta.
Quindi questa è la storia di chi ce l'ha fatta e di chi non ce l'ha fatta. Di chi non è diventato un campione, ma è diventato adulto lo stesso.

I personaggi sono adolescenti, variamente allo sbando nella vita e fanno un buon numero delle sciocchezze che si possono fare a quell'età. Adulti che cercano di metterci una pezza nel modo in cui possono, per il fine che si prefiggono, magari secondo i valori che non sono i nostri. A scanso di equivoci, gli adulti di questa storia sono cresciuti in Unione Sovietica e possono avere un'idea su alcuni aspetti di quel sistema che non coincidono con la mia.

La parte sportiva è stata documentata in meglio possibile, ma si tratta comunque di uno sport che seguo da spettatrice, sono passati quasi vent'anni dal momento in cui questa storia è ambientata e i regolamenti sportivi sono cambiati mille volte e l'errore è sempre in agguato. Infine, questo è una sorta di universo parallelo al nostro. Per quanto possibile luoghi e date delle gare citate sono corretti, ma ovviamente i risultati e il contesto sportivo generale è modificato ad hoc.





PADRONE DEL TUO DESTINO




– PARTE PRIMA –



Mosca – Dicembre 2000

Y. si sedette sbuffando sul sedile scomodo. Possibile che fossero tutti così i sedili dei palaghiacci? Il pattinaggio doveva proprio essere una sofferenza per tutti, in modo democratico, atleti e spettatori… E poi non gliene importava niente della gara giovanile che si stava svolgendo sulla pista. O forse non voleva che gliene importasse niente. Se si fossero rivelati tutti mediocri non avrebbe dovuto farsi carico di nessuno di loro. Ognuno di quei ragazzini che volteggiavano sul ghiaccio era un groviglio di ansia, rabbia, paura, problemi di salute, paturnie sentimentali, comportamenti da correggere, studi da portare avanti… Forse doveva darsi all’addestramento dei cani. Esercizio giusto, croccantino, esercizio sbagliato, bastonata e finiva lì. Molto più facile. O forse era lui che non riusciva. Sua moglie più o meno si comportava così con le sue ballerine e la cosa, maledizione, funzionava. Mai una volta che l’avesse vista preoccupata per una di loro. Se una falliva c’erano subito altre candidate per il posto vacante. Lui, però, era un cacciatore di fuoriclasse e i fuoriclasse sono fragili e preziosi. Per niente facili né da addestrare né da lasciar andare…
– Sei già qui? – gli chiese D.
L’uomo più giovane si sedette al suo fianco, facendo ondeggiare i capelli lunghi.
– Fuori nevica – grugnì Y., salutando con un cenno il suo aiutante.
– Così li terrorizzi tutti.
– Quelli che non sanno chi sono mi ignorano. Quelli che lo sanno… Beh, io voglio vedere appunto come se la cavano sotto tensione. Se basto io per spaventarli hanno sbagliato mestiere. Ecco, sono questi i nostri osservati speciali.
Y. passò due fogli a D.
Su ciascuno c’era la foto di un ragazzetto sui dodici anni, un tipino magrolino e tutto naso, G., e un ragazzetto biondo dallo sguardo impertinente, K.
D. annuì.
– Abbiamo già parlato con il padre di questo, vero? – disse, prendendo il foglio con la foto di G. – Un tipo a posto, che si è già informato per le scuole e il pensionato… E questo invece è l’aquilotto Vladivostok… Certo che sarebbe un bel salto da lì a San Pietroburgo…
– Sì.
I trasferimenti erano sempre un problema. Erano ancora bambinetti, abituati ad avere la mamma sempre alle calcagna. Metà degli spettatori, del resto, erano madri ansiose.
– Pare sia il migliore del suo anno e se vuole avere speranze negli juniores…
Da due anni Y. dirigeva il centro federale di San Pietroburgo. La Russia da lì a cinque anni doveva tornare ai vertici mondiale nel pattinaggio, in tutte le categorie. E singoli, a quanto pareva, erano diventati un suo problema. E lui, ovviamente, era diventato il problema con cui doveva scontrarsi chiunque volesse fare del pattinaggio qualcosa di più di un passatempo pomeridiano.
– Ho parlato con quel mio amico – disse D., cambiando discorso. – Ha un posto da operaio. Certo, la paga è quella che è…
Y. fu tentato di accartocciare i fogli che aveva in mano e scagliarli verso la pista.
– Ha sedici anni, zoppica e non ha un titolo di studio decente, non è che si possa aspettare molto di meglio – provò D., ma con dolcezza.
– Una volta ci si prendeva più cura degli atleti.
– Non mi diventare nostalgico proprio tu. Erano altri tempi.
Sì. Tempi in cui si combatteva con lo sport per la grandezza dell’Unione Sovietica. In cui dovevi ubbidire e tacere. Magari morire a trent’anni per un infarto per chissà quali schifezze che ti avevano obbligato a prendere. Però se non altro ci si prendeva cura dei feriti che rimanevano sul campo.
– I… – iniziò.
– Era il migliore, lo so – sospirò D. Ostentava noncuranza, ma anche lui era affezionato al ragazzo. – E viveva a casa tua. Ma si è distrutto un ginocchio. Sono cose che succedono. Devono metterlo in conto, questi ragazzetti che giocano con i pattini. Il ghiaccio è duro e freddo. Ed è spietato come tutte le cose dure e fredde.
Sì. 
Non gliene importava niente al ghiaccio del padre di I., che aveva perso il lavoro, della madre, che entrava e usciva dall’ospedale. Della rabbia ostinata che covava negli occhi scuri di un adolescente che voleva in ogni modo cambiare il destino di chi gli era caro. Il loro destino, però, lo decideva il ghiaccio. Non la volontà e neppure il talento, per quanto fossero indispensabili. Riuscivi a spostare appena una gamba mentre cadevi e te la cavavi con due lividi e vincevi magari le olimpiadi. Non ci riuscivi e rimanevi zoppo per sempre.
Y. sospirò, guardando la pista per cercare di non pensare a quel ragazzo. Nella camera degli ospiti, a casa sua, c’erano ancora delle cose che aveva dimenticato. Un quaderno, un vecchio portachiavi a forma di dinosauro…
Lo sguardo dell’allenatore fu attratto, quasi suo malgrado, da uno degli atleti in pista. 
Erano tutti ragazzini tra gli undici e i quindici anni, anche se quelli sopra i quattordici che ancora non avevano cambiato categoria erano proprio scarsi. Questo poteva averne una dozzina. Era magrolino, con i capelli così chiari da sembrare bianchi. Non aveva un costume, neppure di quelli artigianali prodotti da madri o zie volenterose, solo una tuta bianca, per altro con delle tracce di macchie non del tutto cancellate. Indossava dei pattini vecchissimi, di seconda o terza mano, eppure si muoveva nei minuti di riscaldamento come se fosse il padrone assoluto della pista.
– Quello chi è? – chiese Y.
– Mah, siamo a metà, questi sono mediocri senza sper…
Anche D. si era fermato a guardarlo.
– Adesso si ammazza – mormorò D.
Il ragazzo stava provando un salto, un Loop, con una partenza del tutto sbagliata. 
Riuscì comunque a portare a termine due rotazioni e ad atterrare in modo quasi discreto.
– Non ha la più pallida idea di come si salti – disse Y.
E neppure di come si impostava una trottola, constatò un attimo dopo. Eppure c’era quella sicurezza istintiva, ai limiti dell’arroganza, di chi sa di essere nel proprio elemento.
Chi lo allenava?
A bordo pista c’erano alcune facce note, tecnici di società giovanili con cui Y. aveva già avuto a che fare e un uomo che non aveva mai visto, accompagnato da una giovane donna di forse venticinque anni. A quanto pareva il ragazzo era con loro. L’allenatore e… la sorella? La zia? Cicciottella com’era non poteva avere molto a che fare con il pattinaggio.
– Fammi un favore, D., vai a capire chi è.
– A quest’età, se non hai le basi ci vuole un miracolo – sbuffò D., ma si stava già alzando.
Ci voleva un miracolo, certo. Eppure Y. si rese conto di attendere con trepidazione l’esibizione del ragazzo.
Eccolo.
La tuta bianca era proprio il costume con cui si esibiva… Quindi? Non aveva un allenatore in grado di spiegargli i fondamentali, non aveva nessuno che gli preparasse un costume decente, ma aveva un coreografo, a quanto pareva. Perché la cosa che stava mettendo in scena aveva senso. Era un fiocco di neve, sospinto da vento, destinato a sciogliersi. Non c’era un singolo elemento tecnico che non andasse rifatto da capo eppure riusciva a dare una coerenza al tutto. Aveva un modo di pattinare che catalizzava l’attenzione, quel qualcosa che non può essere insegnato ed era perfettamente a tempo con la musica. Il resto… Y. cercò di essere oggettivo. In uno sport in cui si dà il massimo entro i venticinque anni a dodici alcune qualità le devi già avere o è inutile buttare via il proprio tempo. La corporatura del ragazzo andava bene. Aveva l’ossatura esile, ma una buona muscolatura, poteva in effetti sviluppare il fisico del pattinatore. L’impostazione tecnica era un disastro, ma qualcuno gli aveva cucito addosso una coreografia amatoriale, certo, ma calibrata sui suoi mezzi e che il ragazzo aveva saputo eseguire in sintonia con la musica. Se non poteva avere il ragazzo voleva quanto meno parlare con il coreografo.
Anche i giudici avevano apprezzato la performance, regalandogli un primo posto temporaneo che lo avrebbe fatto rimanere nei primi quindici al termine della giornata. Il giudizio gli regalò anche il nome del ragazzo, V. Mai sentito. Ma a quanto pareva veniva da un posto sperduto sul circolo polare, una di quelle città minerarie ai limiti della depressione.
– Non ha un coreografo – disse D., tornando a sedersi al suo fianco.
– Come sarebbe a dire che non ha un coreografo?
– Non ce l’ha. L’ha fatta il ragazzo la coreografia, sulla musica che ha scelto.
– Stai scherzando?
– No, ma non farti illusioni, lui non lo possiamo prendere.
– Genitori che ti hanno morso?
– Padre in galera. La donna è l’assistente sociale. Un incubo burocratico solo portarlo qui.

7 commenti:

  1. A me è piaciuto molto e credi ti faccia piacere se ti dico che mi ha in qualche modo ricordato Natallia

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    1. Beh, c'è molto di quel mondo lì, che io ho conosciuto per altri motivi.

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  2. Bello. Alcuni passaggi notevoli, che vanno dritti al punto, come "Il ghiaccio è duro e freddo. Ed è spietato come tutte le cose dure e fredde." Alla prossima puntata.

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    1. È una storia di ragazzi (o di adulti che sono stati ragazzi) in un mondo duro e freddo, con tutte le conseguenze del caso.

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  3. Ciao Tenar, ho letto la prima parte con piacere.
    Mi è piaciuto il dialogo e l'attenzione che riservato ai personaggi, molto ben delineati.
    Aspetto la seconda parte.

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  4. Interessante... vado a leggere la seconda parte ;)

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