lunedì 15 ottobre 2018

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – letture


Ho già raccontato della mia antipatia per quei libri proposti a ciclo continuo alle insegnanti di lettere "per sensibilizzare i ragazzi" verso una qualche tematica.
Libri spesso scritti a tavolino, che trattano inevitabilmente una qualche disgrazia, a volte con una distanza tale da chi tale disgrazia la vive davvero da risultarmi sgradevoli. Poiché Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è ormai considerato un classico del genere, me ne sono tenuta a lungo lontana.
E mi sbagliavo.

La recensione positiva di un'amica lettrice mi ha per fortuna indotta alla lettura di quello che forse è un libro scritto a tavolino e su commissione, ma con raro tatto.
Mark Haddon è uno scrittore per ragazzi e non è difficile immaginare il suo agente che chiede un romanzo sulla disabilità mentale. "Fai una cosa tipo Ray Man, ma con un adolescente", immagino sia stata la richiesta.
Nell'introduzione alla mia edizione, scritta dallo stesso autore, più o meno lo si legge tra le righe, ma si legge anche la cura che l'autore ci ha messo nell'affrontare un tema che sapeva sensibile e l'amore che ha infuso nel proprio protagonista.

Christopher ha 15 anni e un qualche disturbo dello spettro autistico (l'autore ci tiene a specificare di non incasellarlo in una sindrome specifica, alla faccia della quarta di copertina e di wikipedia). Non riesce a decriptare le emozioni altrui e per questo il mondo gli sembra popolato da alieni potenzialmente ostili. Il suo sogno ricorrente è di isolarsi dal resto dell'umanità, nello spazio o nella profondità degli abissi, dove nessuno lo possa spaventare e lui possa restare solo con le proprie passioni. Perché di passioni Christopher ne ha molte, la matematica, la scienza e l'investigazione. Il suo mito è Sherlock Holmes.
Così, quando trova il cane della vicina ucciso, decide di indagare. Un'indagine che lo porterà a scoprire la verità sui propri genitori.

Il tutto è raccontato da Christopher stesso, con il suo linguaggio acuto e oggettivo, la sua incapacità di capire una metafora e il suo amore per la matematica. Lo stile tutto particolare del romanzo, che l'autore spiega essere stata la sfida più difficile, privo di metafore, senza quasi accenni ai sentimenti e continue digressioni matematiche, è probabilmente la chiava del successo del romanzo. Lo rende semplice e particolare insieme, un raro caso in cui la semplicità linguistica è tutt'altro che assenza di stile.

Devo dire, però, che ciò che davvero mi ha colpito è stata la caratterizzazione dei genitori di Christopher. In questo genere di storie i genitori tendono a essere o demoni o santi. Indifferenti fino alla crudeltà o totalmente dediti alle problematiche del figlio. In questo caso, invece, sono semplicemente umani. Il padre, che abbiamo modo di conoscere meglio, è un genitore sinceramente affezionato, attento, fiero delle capacità del figlio, di cui sostiene a spada tratta il diritto a svolgere l'esame di ammissione all'università. È anche capace, però, di madornali errori, di  scatti d'ira, di comportamenti ambigui. È un uomo logorato dal doversi occupare di un figlio disabile, che, pertanto, non sempre agisce per il meglio. La madre la si scopre a poco a poco, col procedere della trama, ma emerge anche qui una donna profondamente umana, che, nonostante ci provi con tutta se stessa, fatica  a trovare il giusto modo per interagire col figlio.

Una riflessione tutta particolare sorge poi nel lettore italiano, sopratutto se, come me, è un prof. Christopher è un ragazzo con una spiccata intelligenza logico matematica e tuttavia frequenta una scuola differenziata. È evidente che nessuno dei suoi compagni sta al suo livello. In Italia sarebbe inserito in una classe qualsiasi con un insegnante di sostegno e potrebbe riuscire molto bene in molte materie, se non in tutte. Mentre pensavo tra me che il sistema italiano è meglio mi sono imbattuta nel piano orario di Christopher e mi sono resa conto che molte delle cose che gli stavano insegnando avevano senso. Come prendere i mezzi pubblici, come prendersi cura di se stessi... Ora, con un buon insegnante di sostegno le stesse cose un Christopher le imparerebbe comunque e in più potrebbe interagire con compagni "normodotati" che a loro volta imparerebbero ogni giorno qualcosa da lui. Quindi in teoria il sistema italiano è meglio, sopratutto per ragazzi come Christopher che hanno buone o ottime capacità cognitive. Poi però... Però oggi nessuno degli insegnanti di sostegno era in classe, nella mia scuola, perché tanto per cambiare ci sono stati problemi con le graduatorie. Qualcuno è stato riconfermato, qualcuno no. Quindi domani alcuni ragazzi troveranno il loro prof si sostegno e altri no. Molti Christopher soffriranno terribilmente la cosa, perché più di altri hanno bisogno di ritualità e certezze e quindi non so. Forse è meglio un sistema non ottimo ma che funzioni? O forse dovremmo pretendere tutti che il sistema funzioni? Non so, certo è che leggendo questo libro e pensando ai vari Christopher che ci sono nella scuola italiana mi è venuto un po' di magone. Anche se il nostro sistema sulla carta è indubbiamente migliore.

10 commenti:

  1. Ho adorato questo libro, molto di più per rimanere in tema dell'altrettanto noto Se ti abbraccio non avere paura. Lo lessi appena uscì, prestatomi da una mia amica insegnante, che, come tu dici, lo lesse un po' per dovere. Anni dopo a corto di libri in vacanza lo comprai per rileggerlo e la magia non si era affievolita, anzi. A parte che mi piace rileggere la parte del gioco delle porte e delle auto, che capisco a fatica :) ma tutto l'insieme merita tanto. Ci feci pure un lavoro per un incontro a scuola, che poi purtroppo saltò per colpa di una organizzatrice poco efficiente, ahimè.

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    1. Sì, questa volta lo consiglio davvero ai miei alunni.

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  2. È stata mia cugina a parlarmi di questo libro e io l'ho subito piazzato nella mia wishlist. Mi ha fatto piacere ritrovarlo qui.
    Gli insegnanti di sostegno, già, chi insegna sa quanto siano indispensabili e in Italia non mancano mai i casini. Le cose sono buone in teoria, poi all'atto pratico ci impantaniamo in cavilli e lacci che ti fanno davvero pensare che sia meglio un sistema non ottimo ma che funzioni. Invece dovremmo pretendere che ciò che di buono abbiamo sia anche ben utilizzato.

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  3. L'ho letto quasi subito dopo la sua pubblicazione, e condivido le parole della tua recensione. Anch'io lo consiglierei come lettura.

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  4. Ho apprezzato molto il libro quando è stato pubblicato, e lo rileggerei volentieri.

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  5. L'ho letto qualche anno fa e mi piacque, anche se apprezzai di più un altro libro di Mark Haddon intitolato 'Una cosa da nulla'. La storia di Christopher mi portò le tue stesse riflessioni, anche se la sua forma di autismo mi sembrava non grave, considerato quello che riesce a fare nel libro, lo dico perché purtroppo il figlio di un mio amico è autistico ed ha davvero meno autonomia. Credo che ciascuno di questi ragazzi abbia comunque bisogno di un percorso personalizzato che non può essere lasciato solo alla scuola.

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    1. Come dice l'autore nella presentazione alla mia edizione, non bisogna ricondurre Christopher a una sindrome specifica, perché i disturbi dello spettro autistico sono molti e molto diversi da loro. In ogni caso sono ragazzi che hanno bisogno di aiuto, non di essere parcheggiati con l'ultimo arrivato, spesso non adeguatamente formato.

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