lunedì 16 dicembre 2013

Scrittevolezze - Dialogando


Finora le mie "scrittevolezze" non sono andate molto nel tecnico, perché, secondo me, ormai in rete ci ci sono millemila siti che propongono risorse e lezioni di scrittura creativa in modo molto più chiaro e sistematico di quanto potrei fare io. Tuttavia ho deciso di aggiungere anche la mia personale visione su alcune questioni base delle scrittura, diciamo delle "teorie avanzate" da tenere presente, se si vuole, oltre alle lezioni base. Ritornando all'esempio di ieri di scrittura e arti marziali, ci sono tecniche base che un po' tutti i praticanti devono conoscere e poi delle tecniche che variano da stile a stile, anche da praticante a praticante e che possono essere applicate oppure non a seconda delle necessità. Conoscerle, comunque non fa male a nessuno.
Partiamo dal DIALOGO
Quindi, in qualsiasi buon blog o sito di scrittura (Anima di Carta, tanto per citarne uno linkato a lato) trovate cose imprescindibili sul dialogo, a cui mi sento di aggiungere qualcosina in più di puramente personale e asistematico.

Il dialogo è un costrutto artificiale e non naturalistico
Questo, credo, è l'assunto base per scrivere un buon dialogo. Un dialogo serve a narrare qualcosa, a portare avanti la storia e quindi è un momento funzionale della narrazione. Non può e non deve essere la riproduzione naturalistica di un vero dialogo. Questo per vari motivi. 
- Quando parliamo molto spesso, di fatto, se fossimo in una storia, perderemmo tempo. Spessissimo non acquisiamo nuove informazioni, non cambiamo idea o stato mentale, ci limitiamo a rafforzare i nostri rapporti sociali o a scambiarci notizie contingenti (tipo: cosa preparo per cena) di cui a un esterno non potrebbe importar di meno.
- Quando parliamo usiamo moltissimo il linguaggio non verbale, diamo per scontate informazioni pregresse, ci interrompiamo, maltrattiamo la grammatica. Quando parliamo davvero il nostro unico scopo e capirci tra noi che partecipiamo alla discussione, non rendere tale discussione comprensibile a un esterno.
In una storia il lettore deve capire cosa i personaggi dicono, chi sta parlando e il dialogo deve portare avanti la vicenda. Quindi al diavolo il naturalismo, che non esiste neppure nella letteratura verista. Le domande base che da autore dobbiamo porci sono:
- Il lettore capisce chi sta parlando?
- Il lettore capisce di cosa si sta parlando?
- Il lettore acquisisce le nuove informazioni che gli stiamo dando?
- Il lettore si sta annoiando?
Ovviamente il risultato che dobbiamo ottenere sono tre sì e un no. Quindi per il primo sì dobbiamo avere ogni personaggio caratterizzato anche in un suo modo di parlare (che dipenderà dal suo modo interiore, dal suo vissuto etc, etc). Per il secondo dobbiamo e il terzo dobbiamo avere dei passaggi chiari  e non didascalici di informazioni, se non cadiamo nella noia. Se una o più battute del nostro dialogo si possono tagliare e il lettore non si perde, allora sono superflue e devono essere tagliate.

Il lettore non va imboccato
Questa è una mia convinzione personale su cui si può essere d'accordo o meno. Secondo me un dialogo è tanto più efficace quando più è secco. Emozioni dei personaggi, toni di voce, cambiamenti di tensione sono tanto più forti, quanto più il lettore li avverte dalle parole dei personaggi. Se l'autore è costretto a segnalarli (es: – Sei davvero tu? – domandò con sorpresa) sta già fallendo nel suo intento. Nella mia testa i dialoghi ideali sono quelli dove l'autore interviene solo il minimo indispensabile per far capire chi sta parlando. Tutto il resto deve trasparire dalle parole dei personaggi.

Il dialogo è come una scala
Il dialogo porta avanti la storia. Quindi dall'inizio alla fine del dialogo deve avvenire un, magari minimo, cambiamento nei personaggi (interiore, di stato d'animo, di consapevolezza). Possiamo dire che i personaggi, o almeno il personaggio principale, dall'inizio alla fine del dialogo si sposta da A a B. Idealmente ogni battuta è un passo o uno scalino di questo spostamento. A ogni battuta deve cambiare qualcosa, nel tono, nella tensione, nello stato d'animo nel personaggio. Se questo non avviene, quella battuta è inutile e può essere tagliata. Potete immaginarlo come una scala o come una partita a tennis in cui a ogni colpo il giocatore cambia assetto e posizione. 
L'idea del tennis è anche utile per visualizzare il concetto che, in una narrazione, ogni dialogo è una partita. I personaggi parlano per ottenere qualcosa (informazioni, chiarimenti, conferma, affetto...) e quindi davvero, ogni loro battuta, è come il colpo del tennista volto a ottenere la vittoria.
I dialoghi non sono "momenti morti", anzi, spesso sono il cuore emotivo delle storie, il momento dello scontro di personalità. Più si sente la tensione dello scontro nelle parole dei personaggi e più il dialogo funziona.

Qualche buon dialogo
Colline come elefanti bianchi di Hemingway.
Probabilmente il dialogo più famoso della storia della letteratura. Due personaggi aspettano un treno e parlano. Non accade nient'altro, l'autore interviene pochissimo. Eppure il lettore rimane avvinto alla pagina.

Le avventure di Sherlock Holmes di Doyle.
Lo ripeto da sempre, l'abilità di Doyle è quasi tutta nel dialogo. Lasciate perdere gli spiegoni finali dei racconti e vi renderete conto che Sherlock Holmes è delineato con poche descrizioni e poi dal dialogo, che è quasi sempre secco e fulminante. Noi non sappiamo mai o quasi con quale tono Sherlock Holmes parli ed è per questo che il personaggio funziona.

... E uno pessimo
Mi piange il cuore a dirlo, perché stiamo parlando di un romanzo per me essenziale, ma uno dei peggiori dialoghi è il capitolo Il consiglio di Elrond de Il signore degli anelli. Una marea di informazioni di cui il lettore sul momento non capisce l'utilità. Battute lunghissime di personaggi mai incontrati prima. A un certo punto sfido chiunque a ricordarsi chi sta parlando in quel momento e a riassumere quanto detto prima. Eppure è un dialogo molto naturalistico. Io credo che a una conferenza internazionale (perché di questo si tratta in fin dei conti) si parli più o meno così. Ma narrativamente non funziona.
Poi, per carità, è anche la dimostrazione che una grande storia sopravvive a un pessimo dialogo, anzi, la ricchezza di quel capitolo viene apprezzata in una seconda (o terza o quarta) lettura. Ma quasi nessuno vi dirà che Il consiglio di Elrond è il suo capitolo preferito all'interno de Il signore degli anelli

Voi cosa ne pensate? Come fate dialogare i vostri personaggi?

5 commenti:

  1. Il dialogo croce e delizia. Io lo uso moltissimo, convinta pure di saperlo gestire bene, ma poi l'editore mi ha detto: "scrivi il discorso diretto come non puoi aver letto da nessuna parte!" No, non significa che sono originale, solo "sbagliata" e ho dovuto rivedere le mie convinzioni a riguardo. In effetti a volte mi perdo: il dialogo è lungo e non si capisce più chi dice cosa.

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    1. Il dialogo è tra le parti più tecniche della narrazione. A posteriori quelle due lezioni di drammaturgia seguite contro voglia e allora non capite adesso mi sembrano essenziali. E comunque scrivere e riscrivere è l'obbligo per tutti.

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  2. Ecco il bastian contrario, a me laparte del consiglio di Elrond non dispiaceva, un paio di cosette che si sono detti, a parte:" Buttiamo l'anello tra le fiamme del monte Fato" me le ricordo ancora, per esempio l'opportunintà di dare l'anello a Tom Bombadil. C'é da dire che le parti che preferisco del Signore degli Anelli sono altre!

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    1. È il capitolo più denso di informazioni del romanzo e alla fine noi fan amiamo pure quello, però ricordo la prima lettura. C'è un elfo che riassume mezzo silmarillion poi un nano che parte anche lui da Durin a raccontare le cose e io a quel punto ero completamente persa (e pure un po' annoiata). È l'unica parte che ho fatto davvero fatica a leggere. Poi, appunto, io amo il Signore degli Anelli, anche se ha dentro un pessimo dialogo

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  3. Ho scoperto da poco questo blog e sto rovistand fra gli scaffali dei vecchi post.
    Trovo le tue "scrittevolezze" interessanti e mi piace il tuo tono poco cattedratico e più collaborativo.
    Complimenti e grazie.

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