venerdì 13 marzo 2015

Prima che venga il gelo – parte prima

Ho deciso di dedicare il fine settimana alla narrazione.
Parte quindi oggi un racconto lungo che ci terrà compagnia, salvo imprevisti, per 7/8 settimane. Come potete immaginare, quello che state per leggere non è un passatempo di un pomeriggio annoiato, ma una parte del mio cuore.
Come ho già avuto modo di raccontare, l'epopea fantasy a cui ho dedicato tante delle mie energie e del mio tempo, ha finito per frammentarsi in una serie di racconti lunghi che vanno a formare, tutti insieme, un'unica storia, ma che offrono di volta in volta punti di vista differenti.
Sono racconti dal destino segnato. Sono troppo poveri d'azione e con una magia talmente rarefatta da risultare inconsistente per attrarre gli amanti del fantasy eroico. Troppo fantastici, comunque, per gli amanti del mondo reale. Troppo lunghi, salvo poche eccezioni, per essere spendibili in concorsi e/o in antologie. Troppo corti per fare romanzo a sé. 
Sono miei, qualsiasi cosa siano, fantasy intimisti con eroi controcorrente che non amano, o non possono, risolvere i problemi a colpi di spada.
Tutti questi personaggi vivono con me, ormai, da dieci anni, sono quelli che conosco meglio e che amo di più. Tuttavia solo quest'inverno ho scritto un racconto, questo, che potesse essere un inizio, un punto di partenza per tutto il resto. 
Per la prima volta, dopo dieci anni, ho dato voce a uno dei personaggi che fin dall'inizio era vivo e presente nella mia mente, Ven Sender, dando forma a una storia che è insieme un inizio, una conclusione e qualcosa che è compiuto in se stesso. L'idea base che mi ha permesso di dare infine voce a Ven è stato GLI AMORI IMPOSSIBILI.

Trattatela bene, questa mia storia, perché certamente potrei farvene leggere di più belle, di più eleganti, più levigate nella forma. Ma poche di più amate.

PRIMA CHE VENGA IL GELO

  Era stata tutta colpa del cane.
 Se Puk non fosse fuggito per consumare il suo amore impossibile con la femmina di segugio di lord Naris, già destinata a figliare con altri blasonati e argentei segugi, Ven non si sarebbe preso a male parole con il figlio del lord. Se il figlio del lord non fosse stato un infame bastardo, ovviamente, la discussione non sarebbe degenerata in rissa. Se il figlio del lord fosse stato appena un po’ più uomo, poi, non si sarebbe fatto rompere il naso da Ven e, sopratutto, non sarebbe andato a piangere per questo dal paparino. Quindi lord Naris non avrebbe mandato il suo scagnozzo a bussare alla porta dei Sender per chiedere ammenda per il naso del primogenito e per l’onore della femmina di segugio. Se Jug Sender non fosse già stato indebitato non si sarebbe arrabbiato così tanto per quell’ulteriore spesa e non avrebbe spedito Ven in esilio intere lune su nei pascoli autunnali, ai piedi dei monti Dari.
  E se Ven non fosse stato consapevole di quanto disperata si fosse fatta la situazione della famiglia, forse non ci sarebbe andato comunque, a costo di fuggire di casa.
  Ormai, però, sarebbe bastato pochissimo perché suo padre non fosse più in grado di pagare i debiti e dall’insolubilità alla prigionia in miniera il passo era breve. Sarebbe sparito come zio Dan, di cui da due anni nessuno aveva notizie.
  Ven e Puk erano partiti senza protestare troppo. 
  Le pecore del nord sanno resistere all’inverno e alla neve e più a lungo stanno al pascolo e più la loro lana diventa morbida e preziosa. Se Ven avesse mantenuto il gregge al pascolo finché sul fiume non fosse arrivato il gelo, forse avrebbero ricavato dalla lana abbastanza da ripagare i debiti.
  Questo, però, voleva dire lune intere sulle colline erbose, senza altra compagnia che quella delle pecore e di Puk. A diciott’anni, persino le miniere prigione sembravano più allettanti.

  Mentre a Portorso il leylord sbarcava in pompa magna insieme al figlio e alla corte per visitare la Ley del Nord, Ven portava le pecore ad abbeverarsi sotto la cascata.
  Mentre il leyler organizzava spettacoli e feste in occasione dell’arrivo del leylord in tutti i centri urbani della Ley, Ven si assicurava che nessuno degli agnelli si perdesse.
  Mentre chiunque ne avesse l’opportunità andava ad assistere al corteo reale che si spostava dalla costa alle zone di caccia sui monti Dari, ad appena qualche decina di miglia a monte dei pascoli dei Sender, Ven si prendeva cura di un ariete che si era azzoppato.
  Ogni mattina in quelle giornate sempre più brevi, usciva dal capanno seminterrato e trovava lo stesso identico paesaggio. L’erba sotto la brina notturna, i contorni scuri delle montagne e le pecore.

 Quel particolare giorno, tornando verso il capanno dopo il giro mattutino, tuttavia, Ven trovò davanti alla porta un gruppetto di persone.
 Puk aveva preso ad abbaiare con il suo abituale coraggio che lo portava a mostrare i denti e il pelo irto stando ad almeno cinque passi dal nemico. 
  Erano in quattro e lui non aveva neppure un bastone, pensò Ven, quando si rese conto che si trattava di  nomadi Coyranà.
  Avevano tutti quella strana carnagione grigia, color delle rocce, che li faceva sembrare umani solo in parte. Vestivano con abiti di pelli e sete rosse che lasciano scoperte le braccia, nonostante l’aria già profumasse d’inverno.
 C’erano due vecchi, un uomo e una donna, con rametti e piume intrecciati nei capelli grigi, un giovanotto alto perfettamente in grado battersi con Ven e forse di avere la meglio, e una ragazza più o meno della sua età. Anche lei aveva la pelle color della pietra, ma Ven ritrattò subito il pensiero precedente. Nessuna ragazza mai gli era sembrata più femminile. C’era anzi da ringraziare il loro abbigliamento leggero, che lasciava così intuire le curve del corpo. Persino le ossa di uccello legate ai suoi capelli scuri sembravano graziose.
  – Volevamo sapere se avevi una pecora da vendere, macellata. – disse il vecchio.
  Ven rimase perplesso.
  I Coyranà, i figli del vento, non avevano nulla da spartire con la gente delle Ley. Ballavano, cantavano, portavano notizie e ripartivano, come uccelli migratori. Non compravano nulla o quasi nei villaggi. Era opinione comune che rubassero quasi ogni cosa, compresi i bambini.
  – Le mie sono pecore da lana. – rispose Ven.
 Se glielo avesse chiesto la ragazza, avrebbe regalato anche tutto il gregge.
  – Abbiamo buone monete, conio del nord e dell’est, come preferisci. Abbiamo bisogno di cibo per spostarci in fretta e paghiamo bene.
  – Che differenza c’è tra le monete del nord e quelle dell’est? – chiese Ven. – Un delfino d’argento del nord vale come una spiga d’argento dell’est.
  – Non lo sai? Il leylord è morto. Le Ley si faranno guerra.
 Ven sperò di non essere rimasto con la mascella spalancata. I Coyranà mentivano su tutto, ma quasi mai sulle notizie che portavano. Il leylord, signore delle quattro Ley, era morto. Doveva essere accaduto a due passi da lì, mentre lui contava le pecore.
 – Perché la guerra? Gli succederà suo figlio. – disse, sapendo di sembrare uno sciocco.
  – Il giovane Amrod era un amante d’uomini. Il leyler del Nord non lo ha accettato come sovrano.
  – Ah… Beh, certo. Chi vorrebbe farsi governare da un pervertito? 
  Il vecchio si limitò a stringersi nelle spalle.
  – Le vostre leggi sono differenti, immagino. – commentò.
  – Vostre? Siete anche voi sudditi delle Ley… O no?
 Ven non si era mai posto domande sulla condizione giuridica dei Coyranà, fino a quel momento. Scioccamente si chiese se anche loro pagassero le tasse.
  – No. – interloquì la donna anziana. – I Coyranà sono un popolo libero, con un accordo di alleanza con il leylord, non dobbiamo nulla ai leyler. Se il leylord e il suo erede sono morti, non vogliamo essere presi dentro in una guerra tra le Ley. Per questo vogliamo comprare la carne e andarcene. Non abbiamo certo tempo per cacciare.
  Ven era ancora frastornato.
  – Avevate detto che il leylord è morto… È morto anche il suo erede? Come… – poi i tasselli combaciarono. – Il leyler ne ha ordinato la morte!
 Mentre pascolava le sue pecore, dall’altra parte delle colline si era consumata una congiura. E forse era iniziata una guerra. Si passò una mano sul mento. Meglio vendere una pecora e prendere delle monete.
  – Devo macellare la pecora… Ve le dò per due delfini d’argento… Un paio d’ore e potrete portarle via.
  Il vecchio annuì.
  – Torneremo quando sarà pronta. 


 – Continua il prossimo fine settimana  –

6 commenti:

  1. Letta l'introduzione, sapendo come scrivi e amando il fantastico, ho trovato una delle poche eccezioni al mio non leggere racconti. Hai già risvegliato il mio interesse. :)

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  2. Mi è piaciuta l'ironia dell'incipit. Ho dovuto leggere due volte la seconda parte per capire bene i vari giochi politici, però mi piace. :)

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    1. Il problema del fantasy, molto spesso, è proprio quello di portare il lettore nel "qui ed ora" della storia. Per fortuna anche Ven non è molto informato su ciò che gli accade intorno...

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